Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Lo sparuto gruppo di Bassanesi presente a Venezia si trovò a rappresentare quei possidenti ai quali la costituzione aveva affidato il potere nell’ambito di quella che è stata definita l’autonomia comunale[17]. Asserzione che nel contesto locale assunse il significato che tutti gli amministratori, indistintamente, in misura più o meno rilevante, rientravano nel novero dei proprietari terrieri. Non tutti però vivevano dei redditi fondiari in maniera esclusiva. Tra di loro si trovavano persone le cui entrate provenivano anche, se non in prevalenza, dal commercio, dalla manifattura e, in misura minore, dalla professione. La proprietà fondiaria fu normalmente caratterizzata dalla stazionarietà, mancava cioè di continuità ed era situata in più comuni del distretto, a volte anche in distretti diversi[18]. Significativo, anche se estremo, fu il caso di Alberto Parolini[19] il quale, tra i maggiori estimati, al momento di presentarsi candidato al seggio di deputato centrale nel 1826, risultò avere possedimenti in ben tredici Comuni censuari del Bassanese, oltre che nel resto della provincia vicentina[20]. Questo ebbe una conseguenza anche in termini di rappresentanza perché i proprietari, oltre ad avere residenza in luoghi diversi da quello principale[21], per tutelare meglio i propri interessi furono presenti in più amministrazioni comunali[22]. Se la possidenza fu il tratto che accomunò le diverse componenti della classe amministrativa, ciò che invece li divise fu il ceto sociale. Se guardiamo al fulcro dell’amministrazione locale, alla carica di podestà[23], la nobiltà svolse un ruolo di accentuata preminenza: sei degli otto personaggi succedutisi in questo arco di tempo provenivano infatti da questa categoria e tutti traevano i loro redditi prevalentemente dalla terra. Lo stesso può dirsi per i deputati provinciali e centrali, teoricamente rappresentanti degli imprenditori urbani, e con una percentuale ancora maggiore[24]. Gli aristocratici ricoprirono infatti in entrambi i casi in quei collegi i sei settimi dei seggi assegnati complessivamente alla città. Il sistema di governo, prevedendo la gratuità di quasi tutte le cariche, agevolò la partecipazione più della nobiltà che della borghesia. Quest’ultima infatti trovò nell’impegno quotidiano degli affari quell’ostacolo che i primi non avevano, mantenendosi in genere con le sole rendite fondiarie. La funzione podestarile, che prevedeva un impegno burocratico assiduo, e per di più senza emolumenti, difficilmente poté essere assunta da un borghese. Lo stesso può dirsi per quella di deputato centrale che, pur comportando un lauto appannaggio, doveva essere svolta per parte dell’anno a Venezia, lontano dai propri interessi e con costi di rappresentanza ragguardevoli. L’aristocrazia bassanese, quella presente nel blocco dominante locale, non disponendo ab antiquo di titoli di governo territoriale, era debitrice del proprio status al fatto di aver fatto parte del consiglio cittadino in tempi più o meno remoti. Apparentemente un fronte unico, reso coeso dall’esercizio collettivo del potere, ma in realtà diviso in alleanze di lignaggi in concorrenza tra loro per mantenere il proprio blasone e per trasmetterlo ai propri discendenti. La città, con le sue mura, le sue strade e i suoi palazzi, fu il teatro della loro attività e la fonte della loro preminenza perché erano nobili in quanto cittadini, nei tempi passati come alla soglia dell’Ottocento. Un’eccezione in questo senso si può considerare il titolo comitale acquisito dai due rami dei Roberti o dai due dei Remondini, seppur in epoca molto tarda, nel 1756 i primi e nel 1796 i secondi. Alcuni erano dei parvenus assoluti, in quanto avevano conquistato la condizione aristocratica in tempi ancora più recenti, dopo la caduta della Repubblica Veneta. Questo fu il caso ad esempio di Francesco Parolini e di Domenico Maello, che lo ottennero dal consiglio cittadino nel gennaio del 1801, per la generosità dimostrata in occasione della colletta organizzata per far fronte alla contribuzione forzata imposta dalle truppe francesi che minacciavano di saccheggiare la città. Lo stesso può dirsi anche per Giuseppe Bombardini che ottenne il suo agognato titolo solamente il 3 maggio 1818, grazie alla liberalità araldica del governo asburgico, ansioso di procurarsi la leale collaborazione delle classi agiate. La nobiltà gli venne assegnata ex novo, direttamente dall’imperatore e vantando, oltre al classico more nobilium, dei meriti artistici di rilievo in quanto iscritto a numerose accademie letterarie, veneziane e non[25]. Obbiettivo che si può dire fosse stato perseguito con grande tenacia in quanto era stato proprio lui, per dare ulteriore lustro alla città ad attivarsi da deputato centrale per ottenere dalla Commissione Araldica il riconoscimento del collegio nobile bassanese, distinto da quello vicentino, come era stato in antico regime[26]. Quasi per nulla presenti negli organi di governo cittadino, né negli altri, almeno in prima persona, furono gli elementi di provenienza patrizia. Nemmeno nel Consiglio Comunale troviamo i Morosini, i Cappello, i Dolfin, i Querini, i Soranzo o i Corner, gli ultimi discendenti di quei gruppi parentali che avevano esercitato durante la dominazione veneziana, direttamente o indirettamente, il potere su questo territorio[27]. Unica eccezione rilevata in questo senso è quella del veronese Carlo Michiel, presente a più riprese nella rappresentanza comunale a far le veci della moglie Caterina Pisani, proprietaria di ingenti fondi ad Angarano[28]. L’aristocrazia ebbe forse un ruolo meno prevalente in seno alla congregazione municipale, dove l’impegno burocratico era meno assiduo e tra le cui fila è possibile trovare numerose personalità di estrazione borghese, almeno nella sua fascia più alta. Trattandosi di un organo tecnico operativo, soprattutto in presenza di un personale comunale piuttosto limitato, la carica richiedeva conoscenze specifiche di amministrazione, di diritto, se non anche di contabilità: un bagaglio culturale che in linea generale poteva essere in possesso più di un borghese conduttore di manifatture o di commerci che di un nobile proprietario terriero che delegava ai propri agenti l’amministrazione dei fondi. Tali sono Domenico Berti, commerciante molto facoltoso, tra i maggiori estimati cittadini, assessore tra il 1816 e il 1825; Giacomo Rizzo, proprietario di tre negozi in città, in carica tra il 1820 e il 1823, ma poi anche podestà e deputato centrale; Pietro Mercante[29], «il più ricco capitalista del distretto di Bassano», membro della municipale tra il 1823 e il 1836, come poi il figlio adottivo Giovanni Battista Vanzo Mercante dal 1858; Angelo Chemin detto Palma, «uno dei più ricchi negozianti di quella città in oggetti di seta e panni», membro della congregazione tra il 1826 e il 1842; eccezionale la longevità amministrativa di Giovanni Battista Cantele[30], commerciante e proprietario di una fabbrica di cappelli di paglia, presente dal 1823 al 1846. Il mondo delle professioni è invece scarsamente rappresentato, anche in seno alla congregazione municipale. Costituisce un’eccezione il medico Domenico Martini[31], in giunta dal 1833 al 1845 e lo furono, ma per più brevi periodi, anche gli avvocati Vettore Tattara fu Valerio, Giovanni Battista Roberti[32](fig.3)

3RitrattoGianBattistaRoberti

3. Ritratto di Gian Battista Roberti, olio su tela. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv.387. Nella congregazione municipale è possibile trovare numerose personalità di estrazione borghese, almeno nella sua fascia più alta. Tra questi Giovanni Battista Roberti.

e Luigi Caffo. Quest’ultimo, di estrazione nobile, «dotto in diritto civile e espertissimo nei pubblici affari»[33], è da ricordarsi anche per essere stato il primo podestà, dal 1816 al 1820, e quindi in successione deputato centrale e provinciale, tra il 1833 e il 1847, oltre che animatore del Quarantotto bassanese. Non infrequente tra gli amministratori la figura dell’uomo di studi, letterari o scientifici, prestato alla gestione della cosa pubblica: Giuseppe Bombardini, poeta arcadico di facile ispirazione con il nome di Eulidemo Olineo[34]; Alberto Parolini, naturalista di dimensioni europee; Giovanni Battista Roberti fu Tiberio, esperto e collezionista di memorie cittadine; Giovanni Battista Baseggio[35], appartato poligrafo dai vastissimi interessi, storia, religione, filosofia, arte, numismatica, scienze e letteratura.116
In seno alla classe dirigente bassanese non si presentarono grandi problemi a reclutare cittadini disposti a ricoprire cariche di amministrazione locale, né d’altra parte a rappresentare la città nei collegi provinciale e centrale. Nel corso delle sedute consiliari nelle quali si decidevano le terne di candidati, le ‘voci’ furono numerose e le votazioni molto combattute: segno che l’impegno pubblico era appetito. Si registrarono alcuni episodi di renitenza alla carica, ma in maniera sporadica e in genere non a causa di dissenso politico. Fu il caso ad esempio del nobile Giacomo Pietro Stecchini[36](fig.4)

4FrancescoRoberti

4. Francesco Roberti (Bassano 1789 – 1857), Ritratto di Pietro Stecchini, olio su tela, 1814ca. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv.103. Si registrarono alcuni episodi di renitenza alla carica di podestà, come quello del nobile Giacomo Pietro Stecchini nel 1820, per il soverchio impegno derivato dai troppi incarichi ricoperti in quel momento.

o del borghese Giovanni Battista Cantele che rinunciarono alla carica di podestà: il primo nel 1820, per il soverchio impegno derivato dai troppi incarichi ricoperti in quel momento; il secondo nel 1823, per l’assiduità richiesta dagli affari commerciali e per problemi di famiglia. Entrambi continuarono comunque il loro impegno nell’amministrazione della cosa pubblica, rispettivamente come deputato provinciale e come assessore municipale. Lo stesso Giuseppe Bombardini, già citato più volte, podestà ininterrottamente dal 1846 al 1862, si dimostrò renitente a portare la «non leggera soma» quasi ad ogni rinnovo della carica[37]. Ancora nel 1855 i ranghi della municipale risultavano al completo. Solo dopo la pace di Villafranca, all’inizio degli anni Sessanta, pur non mancando le possibili candidature, i vuoti nei seggi non mancarono. Tale renitenza preoccupò anche il delegato provinciale Giovanni Battista Ceschi che, in un suo rapporto alla presidenza di luogotenenza, lamentò il «sommo bisogno del municipio di assessori, non essendovene attualmente che due in carica»[38]. La situazione generale della provincia non era facile perché nella vicina Vicenza l’Amministrazione comunale risultava commissariata per la difficoltà di trovare candidati disponibili e perché in altre località della provincia molti Consigli andavano deserti[39]. Nell’agosto del 1862, dopo sedici anni di servizio quasi ininterrotto, a ottantuno anni di età, Bombardini lasciò definitivamente il suo posto[40]. In concomitanza con la nomina del successore Francesco Compostella il momento difficile sembrava superato, tanto che nel 1866, alla vigilia del passaggio al Regno d’Italia, i ranghi della municipale risultavano nuovamente al completo. Il governo asburgico poté contare sulla buona volontà della possidenza bassanese anche per ricoprire i seggi alla centrale e alla provinciale. Le campagne elettorali per accaparrarsi il voto del Consiglio comunale furono anzi un palcoscenico appetito e di competizione accanita. Soprattutto nel caso del seggio in centrale, lautamente retribuito e di maggior prestigio. Fu il caso, ad esempio, del già più volte citato Giuseppe Bombardini che, tra il 1819 e il 1820, si adoperò con energia per veder confermato il posto di deputato non nobile di Vicenza e poi nel 1826 di quello di Bassano. Fu anche quello di Alberto Parolini figlio di Francesco che tentò a più riprese di conquistarsi lo stesso incarico, prima per Bassano, nel 1824 battuto da Leonardo Stecchini figlio di Girolamo, nel 1832 battuto da Luigi Caffo e nel 1839 da Giacomo Rizzo; poi nel 1846 azzarda un tentativo anche a Vicenza, ma con gli stessi esiti; arriverà in centrale solo nel 1856, dopo la sospensione dell’istituzione causata dai moti rivoluzionari. Quello che sembrava impossibile in molti capoluoghi, rinvenire candidati disposti a ricoprire la carica di deputato, a Bassano era relativamente facile[41]. La disponibilità dei possidenti bassanesi ad impegnarsi nell’amministrazione della cosa pubblica fu così ampia che nel 1859, ad esempio, si verificò il caso di quattro cittadini presenti contemporaneamente tra i seggi veneziani della centrale e quelli vicentini della provinciale[42]. Proprio lo stesso anno in cui ricorse il momento di frizione più acuta con la linea governativa: il deputato Francesco Compostella si assentò volontariamente dalle sedute, associandosi in tal modo alla protesta espressa dai colleghi Giovanni Battista Branzoloschi Zanechin e Giovanni Battista Sale contro il nuovo prestito forzoso imposto alla provincia[43].

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