Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’avvio della seconda dominazione austriaca chiuse una fase ventennale di guerre e di precarietà economica e aprì un periodo di difficile transizione caratterizzato dal passaggio da un’economia di guerra ad un’economia di pace (fig.15).

15AntonioMarinoni

Fig. 15. Antonio Marinoni, Veduta di Bassano da San Vito verso il Margnan. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 290. Inquadratura canonica della città dipinta dal maggior paesaggista bassanese di quegli anni in modi che appartengono alla grande tradizione europea di quel periodo.

Nella prima metà dell’Ottocento il distretto di Bassano, non costituiva ancora un’entità territoriale stabile, ma la sua composizione ed estensione furono soggette ad alcune variazioni. Se nel 1818 la popolazione contava 31.462 abitanti, 10.477 dei quali risiedevano nel capoluogo, con la riorganizzazione territoriale avvenuta nel 1853 questa aumentava a 42.164, 12.344 dei quali risiedevano a Bassano. Si trattò di un aumento graduale che interessò non solo il capoluogo, ma anche i Comuni minori. L’estensione del distretto nel 1829 era di 21.500 ettari, di questi 11.119,77 erano distribuiti in piano, 1.404 in colle e 8.301 in monte; una superficie minore, pari a 952,9 ettari, era occupata dall’incolto, da fabbricati o da infrastrutture[139]. Per quanto concerne la distribuzione della proprietà della terra fra i gruppi sociali, si riprodusse anche a Bassano la situazione presente nel resto del Veneto dove la nobiltà, nonostante il progressivo disfacimento dei patrimoni di molte famiglie dell’aristocrazia, mantenne la sua secolare posizione di predominio[140]. I passaggi di proprietà furono in generale modesti anche se la notevole quantità di terre immesse nel mercato ebbe la conseguenza di abbassarne il prezzo[141]. La situazione era destinata a mutare nel corso dell’Ottocento, ma senza produrre modifiche di grande rilievo, la borghesia espandeva la sua presenza nella proprietà della terra, ma il regresso della nobiltà era lento, come lento era il mutamento del criterio di gestione dei fondi. I dati relativi alla distribuzione della superficie agraria per classi di ampiezza della proprietà mancano: possiamo contare solo su quelli che si riferiscono all’inizio del secolo. Le aziende superiori ai 50 ettari erano ancora presenti, ma rilevanti erano quelle di media grandezza, comprese fra i 5 ed i 50 ettari, molto diffusa era la piccolissima proprietà, specie nelle aree di montagna, spesso insufficiente al sostentamento di una famiglia contadina[142]. Uno dei maggiori censiti di Bassano, Parolini Alberto Pietro, (con una rendita di scudi 28.206, 96), possedeva proprietà in diversi Comuni e frazioni del distretto, queste risultavano più estese nelle zone di pianura e in città[143]. La fluttuazione del possesso si accentuava in ragione del ristagno sottraendo gli scarsi capitali circolanti all’investimento produttivo e alle opere di miglioria fondiaria[144]. Non bisogna dimenticare che la proprietà fondiaria e immobiliare, restava l’elemento fondante su cui si basava il credito di un individuo nel duplice significato di considerazione sociale e di garanzia di solvibilità. Inoltre la condizione di possidente consentiva l’accesso agli organi di rappresentanza politica o di categoria. La terra costituiva anche il pre-requisito per la partecipazione agli appalti dell’amministrazione statale[145]. Essa si trasformò in uno strumento per ottenere credito, data l’assenza di banche disposte a sostenere imprese commerciali e industriali, inoltre rappresentò, per l’imprenditore o il commerciante, l’unica via per ottenere anticipazioni in denaro effettivo: il mutuo ipotecario fu il signore assoluto dei rogiti notarili nel Lombardo-Veneto[146]. Tuttavia i rapporti fra chi possedeva la terra e chi la coltivava risultano assai più vischiosi dell’equilibrio proprietario: le vicende politiche che fecero subentrare i nuovi possidenti alle vecchie classi spodestate non influirono se non in misura minima sulla forma dei patti colonici e dei contratti d’affittanza, con grave danno dei titolari di minuscoli appezzamenti e dei mezzadri. Nel distretto di Bassano, a differenza di quanto accadde in buona parte della provincia, dove prevalse l’affitto, l’area condotta a mezzadria coprì quasi i tre quarti del totale nel comune di Rosà e oltre la metà in quello di Cassola; quote più limitate (20%) nei comuni di Bassano, Mussolente, Rossano e Marostica[147]. La situazione ci viene descritta da uno fra i più noti esponenti delle istituzioni culturali cittadine, l’abate Giuseppe Jacopo Ferrazzi[148]: «La proprietà è molto divisa. Non sono pochi i villici che posseggono due o tre campicelli…di cui campano assai contenti. Gli altri sono mezzajoli: per la casa rispondono una discreta pigione, cui è aggiunta la gravezza di alcuni lavorecci e di poche grascie e regalie di uova, in capponi o in carne salata. Un 20 o 25 campi al più bastano a sostenere una famiglia di villici [...][149]». Il rapporto di mezzadria riscosse ampi consensi tra i proprietari in quanto, liberandoli dai gravosi oneri della gestione quotidiana, li rese direttamente partecipi degli utili ricavati dal lavoro dei coloni. Il sistema di partizione vigente, quello del canone in generi, prevedeva che solo la sesta parte del prodotto del frumento andasse al contadino, al quale veniva addebitata la spesa per il seme, mentre quello del mais venisse diviso a metà. Il colono era costretto a fondare il proprio sostentamento sul mais, mentre il frumento, che era commerciabile vantaggiosamente, veniva accaparrato in quota maggiore dal proprietario[150]. L’uso frequente di esigere il fitto in natura, in cereali e specialmente in frumento, costrinse il colono a coltivare ripetutamente quelle piante sullo stesso suolo con una forte intensità, questo sistema fu una delle cause principali che impedì o ritardò il progresso dell’agricoltura nella regione. Nella zona pianeggiante era diffusa la colonia parziaria. Le terre concesse erano piccoli poderi, di regola chiusure dai 5 ai 20 ettari di estensione, dove il proprietario sosteneva inizialmente le spese per la fornitura degli attrezzi e degli animali, dividendo con il lavoratore gli utili della stalla. All’atto di vendita del bestiame il padrone recuperava le spese sostenute per il suo acquisto e poi divideva gli utili rimanenti a metà. Il colono pagava un canone di fitto per la casa e per il prato, mentre i prodotti venivano divisi a metà. Sulla proprietà gravavano inoltre una serie di diritti reali, quote fisse in generi, che a Bassano erano costituiti dalle “cerche”, una raccolta di elemosine paragonabile alle decime ed al quartese in quanto a esosità[151]. La staticità del rapporto mezzadrile ben si conciliava con l’endemica carenza di capitali che nell’Ottocento costituì l’ostacolo incomparabilmente più grave allo sviluppo di tutta l’agricoltura veneta[152]. Gli ultimi anni della dominazione asburgica nel Veneto videro le campagne prostrate dalla difficile congiuntura agraria. Solo poche colture e la crescita dei prezzi dei cereali riuscirono a mitigare la durezza dei tempi resi ancor più difficili dallo scoppio della Seconda Guerra d’Indipendenza, dal ricorso al prestito forzato nel 1859 e dalla Guerra di Secessione americana esplosa tra il 1861 e il 1864[153]. Solo il frumento diede ancora buoni raccolti e costituì l’unica fonte di guadagno dei contadini e dei proprietari. Nel 1861 le prospettive si rivelarono positive anche per altri prodotti agricoli: i raccolti furono buoni ed il vino e la seta non subirono i danni disastrosi degli anni precedenti[154]. La ripresa dell’agricoltura tuttavia non migliorò la situazione generale dell’economia.    

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