Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’Amministrazione bassanese raggiunse uno dei punti più alti nel suo tentativo di rendere manifesta ed evidente l’eccellenza civica con la sistemazione della biblioteca e del museo, oltre che dell’ospedale e del ginnasio. Un altro mattone per la costruzione dell’identità municipale, corollario indispensabile di quanto già ottenuto con la concessione del titolo di città regia. La questione della sede degli istituti di cultura prese avvio nel 1822, quando lo scienziato Giovanni Battista Brocchi donò alla cittadinanza il suo patrimonio scientifico e culturale, alla quale si aggiunse poi, all’inizio degli anni trenta, quella dell’adeguamento del ginnasio e dell’ospedale[69]. La loro soluzione ruotò attorno all’acquisizione del convento di San Francesco da parte del Comune, problema che impegnò i suoi reggitori per alcuni anni, e talmente a fondo che mise in forte contrapposizione favorevoli e contrari, facendone emergere la mancanza di unità. Tutto rimase praticamente irrisolto fino a quando le sale dell’ex convento francescano non furono liberate dagli ammalati che vi stavano ormai da più di cento anni. Il trasferimento nei nuovi locali dei Riformati, realizzato nel novembre del 1831 dal direttore Pietro Agostinelli, sollevò però nelle autorità governative più di una perplessità per le modalità in cui fu realizzato: durante la stagione fredda, nottetempo e soprattutto senza la necessaria autorizzazione. Il delegato vicentino Marc’Antonio Pasqualigo riferì che dietro l’azione sconsiderata del medico vi poteva essere l’intenzione di favorire chi aveva sostenuto la sua candidatura al posto di direttore, Giuseppe Bombardini in primis[70]. Proprio lui infatti, divenuto responsabile del ginnasio, e Luigi Caffo, che lo aveva sostituito al seggio in centrale, furono gli artefici dell’acquisizione della nuova, prestigiosa, sede. L’affare parve già realizzato dopo aver ottenuto l’imprimatur del Viceré, tanto che il Consiglio decise il 31 agosto 1832 di procedere all’acquisto con la maggioranza assoluta dei voti. Il Governo intervenne però a maggiorare il prezzo convenuto, ritenendolo penalizzante per l’ente di gestione del nosocomio. L’Amministrazione a questo punto tergiversò perché l’intervento era stato interpretato come un tentativo di forzare la mano ai possidenti. Attorno all’assessore Domenico Martini, il medico che aveva sostituito Agostinelli, e al deputato centrale Carlo Michiel, si costituì una maggioranza avversa che in altre due sedute respinse alla fine del 1833 il provvedimento, nonostante lo stesso Antonio Marinoni, allora commissario distrettuale, fosse intervenuto in prima persona a suo sostegno[71]. L’acquisto di San Francesco, come aveva portato ad una rottura all’interno del Consiglio[72], causò un vero e proprio conflitto istituzionale. Il Governo infatti, grazie alle buone arti del deputato Caffo, prese il 13 aprile 1834 una decisione favorevole all’acquisizione dell’edificio, sostituendosi in qualche modo alla volontà dell’ente locale. I quattro assessori capitanati da Martini, dato che il podestà Giovanni Battista Roberti[73] aveva preferito mantenersi neutrale, ricorsero direttamente all’arbitrato dell’imperatore, il quale diede loro ragione e dispose l’azzeramento della pratica. Trascorsero altri quattro anni, tra inutili restauri e polemiche, fino a quando il 18 aprile 1838 il consiglio comunale non si dichiarò favorevole all’operazione. A farlo tornare sulla sua decisione pesò forse il fatto che la vendita dell’immobile era avvenuta in modo più regolare, mediante asta pubblica e non a trattativa privata come in precedenza, ma soprattutto l’azione di una Congregazione municipale del tutto diversa, presieduta dal Giacomo Rizzo, un podestà ben voluto ed energico, molto diverso dal Roberti, anziano e privo di carisma. Bombardini fu artefice anche della concessione agli arcipreti di Santa Maria in Colle delle prerogative di abate mitrato, analoghe a quelle del vescovo[74]. Su sua richiesta il presule udinese Zacaria Bricito (fig.7),

7RitrattoZaccariaBricito

7. Ritratto di Zaccaria Bricito, acquaforte. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inc.bass. 1932. Su richiesta di Giuseppe Bombardini, il presule udinese Zacaria Bricito bassanese di nascita, intercedette presso la Santa Sede per ottenere il titolo e le prerogative di abate mitrato, analoghe a quelle del vescovo, per l'arciprete di Bassano.

bassanese di nascita, intercesse presso la Santa Sede per ottenere il titolo: «Unica città regia nel Veneto senza essere capoluogo di provincia, popolata da oltre dodicimila abitanti, con ordine di nobiltà, con clero numeroso, con undici chiese sacramentali, con un convento di cappuccini, una casa delle Suore di Carità, un vasto ospitale, un orfanatrofio maschile ed uno femminile, una casa di ricovero, un monte di pietà assai dovizioso, con un ginnasio, due scuole maggiori, maschili e femminili, un ateneo e un gabinetto di lettura, una biblioteca e pinacoteca civiche, visitate con invidia dagli stranieri; città distintissima per religione e per opere di carità, sembra invero meritevole dei benigni riguardi del Santo Padre»[75]. Parole che sembrano descrivere in maniera calzante, passo dopo passo, il percorso fatto sulla via della dignità civica da Bassano, da un centro che si sentì sempre un capoluogo, ma che lo fu però solo in pectore.  

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