Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Patrono per eccellenza, venerato a Bassano come santo già alla fine del Trecento e insignito di un culto speciale durante la pestilenza del 1630 (ACB, Atti del Consiglio, gennaio 1630)[1], con patrocinio derivato da interpretazione semantica del nome Bassiano (fig.1; tav.14)

1TitoChiniSanBassiano

1. Tito Chini , San Bassiano. Bassano del Grappa, Tempio Ossario. L'immagine primo novecentesca del santo patrono, raffigurato secondo l'iconografia canonica, in abiti vescovili con la cerbiatta.

divenne e rimane espressione di consapevolezza collettiva, traduzione civile di una funzionalità spirituale non riservata alla sola sfera della devozione privata. Appare chiara l’imprescindibilità del legame tra storia civile e storia religiosa: il patrono è coinvolto, quasi corresponsabile del presente e del futuro, assumendo il ruolo di defensor civitatis e, si direbbe, di defensor hominis; a lui viene affidata la sicurezza della civitas, garantita dalle reliquiae che ne significano anche la forza ecclesiastica. Siracusano di nascita, figlio del prefetto Sergio, Bassiano viene inviato a Roma per completarvi gli studi; profondamente toccato dalla memoria lì vivissima delle persecuzioni e dei martiri che avevano segnato il cristianesimo, istruito dal presbitero Giordano riceve il battesimo; eludendo l’imposizione paterna all’apostasia, lascia l’Urbe. Da Ravenna il rifugiato Bassiano, divenuto sacerdote, è chiamato (373 ca) a succedere al vescovo di Lodi nella giurisdizione metropolitana di Milano. Nel contesto della scarna biografia trasmessa dalle fonti[2], brilla l’amicizia con Ambrogio, con il quale condivide l’ascetismo del vir Dei e che assisterà alla morte (397); non è noto se presenziò al battesimo di Agostino (387). È testificata la presenza al fianco di Ambrogio al concilio di Aquileia (3 settembre 381) di cui lo stesso Ambrogio, da sette anni vescovo di Milano, era stato ispiratore[3]; in effetti quell’importante evento – nel quale Bassiano ebbe modo di conoscere i vescovi di tutte le sedi regolarmente rappresentate dell’Italia settentrionale, dell’Illirico, della Gallia e dell’Africa; un legato proveniva forse da Antiochia – nasce come espressione della politica antiariana del vescovo di Milano, in tutto condivisa dal vescovo di Lodi, come Ambrogio deciso a stroncare definitivamente l’arianesimo in Occidente. L’approfondita conoscenza della Scrittura e della tradizione cristiana aveva sempre più lucidamente convinto i due vescovi che l’eresia ariana, condannata come eretica nel concilio di Nicea (325), negava la sostanza stessa della fede[4]; e Bassiano si rivela l’uomo delle certezze che, una volta conquistate, non è lecito rimettere in discussione, quando si tratta di certezze della fede cristiana:[5]Victoria crucis in Trinitatis fide consistit, recita l’icastico slogan di Cromazio[6]; anche la forma crucis di molte basiliche si diffuse proprio subito dopo il concilio di Aquileia[7]. Di Bassiano non si conoscono opere scritte; è pervenuta però la memoria di un vescovo dall’anima eminentemente pastorale e di austero ascetismo[8]; sintomatica la partecipazione al concilio di Milano (390) che condannò il monaco Gioviniano per le sue tesi contro l’ascetismo cristiano, particolarmente contro la verginità e il digiuno: la firma del vescovo di Lodi si trova con quella del vescovo di Milano nell’epistola sinodica inviata al vescovo di Roma, papa Siricio.La condanna fu ribadita da Girolamo nell’Adversus Iovinianum (393), trattato durissimo attraverso il quale le dottrine del teologo eretico sono state rese note[9]. Sepolto nella sua cattedrale (409), le spoglie, traslate a Milano nella distruzione di Lodi (1158), tornarono nel 1163 a Lodi ricostruita dal Barbarossa. Leipsana di san Bassiano, custodite nel Duomo di Santa Maria in Colle (altare dei Santi Protettori), proiettano la tutela della città, mediata dai compatroni[10], al luminoso periodo martiriale. Esse stesse martyres, eco di memoria.

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