Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Non può sfuggire a un lettore di testamenti – fonte di cui abbiamo più volte sottolineato possibilità e valenze interpretative – la presenza pervasiva e il forte radicamento dei frati Minori a Bassano. Fino all’avanzato Quattrocento, quando si stabilirono nel monastero di Santa Caterina gli Eremitani di Sant’Agostino, essi rimasero l’unico ordine mendicante presente nella cittadina della Marca, anche se il loro stanziamento subì fra XIII e XIV secolo un’interessante e ancor poco studiata evoluzione. La loro presenza in ecclesia Sancti Donati in capite pontis de Baxano è documentata per la prima volta dalla nota lettera di Gregorio IX indirizzata al ministro e ai frati dell’ordine dei Minori e datata 20 ottobre 1227[80]. Vi si evince che essi avevano ottenuto quel luogo – una chiesetta originariamente benedettina – grazie all’intervento del presule vicentino Ziliberto e che il pontefice lo prendeva sotto la protezione apostolica per il fatto che i frati, «indossata la corazza della giustizia e imbracciato lo scudo della fede (induti lorica iustitiae, assumpto scuto fidei)… l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la Parola di Dio (galea salutis gladio Spiritus, quod est verbum Dei) si erano accinti in modo coraggioso e con costanza a debellare, anzi piuttosto a catturare le piccole volpi che devastavano la diocesi di Vicenza e le regioni vicine, in modo particolare Bassano e le terre dei nobili figli di Ezzelino da Romano». L’analisi di Andrea Piazza[81] effettuata su questo testo importante ha ben chiarito le dinamiche religiose e politiche in cui si situa l’intervento di Gregorio IX, preoccupato non soltanto dell’espansione del fenomeno ereticale ma anche della situazione problematica venutasi a creare all’indomani delle vicende che avevano portato Alberico da Romano a impadronirsi di Vicenza, costringendo il vescovo Ziliberto ad abbandonare la diocesi. La lettera ai Minori di San Donato, associata ad una seconda epistola di ugual tenore al vescovo di Padova e al patriarca di Grado, da diverso tempo “fedeli collaboratori” del pontefice, suonerebbe dunque – nell’interpretazione dello stesso Piazza – come il tentativo di sottrarre il gruppo minoritico di San Donato alla dimensione locale di un contesto, quello bassanese, assai importante per il radicamento signorile dei da Romano; un monito dunque ai due figli di Ezzelino II, Alberico ed Ezzelino, «a non costruire la potenza della famiglia contro gli interessi della Chiesa»[82]. Sappiamo bene come andarono le cose in seguito. La politica del nuovo signore della Marca, Ezzelino III da Romano, nei confronti delle Chiese locali ci è nota in molte sue sfaccettature, compresa quella della accertata “ostilità” verso i frati Minori nelle città da lui assoggettate[83]. Praticamente sconosciuta è invece la storia dei Minori di San Donato, il cui silenzio documentario, interrotto solo da qualche “briciola di testimonianza”, si protrae senza soluzione di continuità per tutta la durata del regime ezzeliniano. Fra le briciole si può senz’altro annnoverare il testamento di Zilio Teco degli Offreducci da Marostica, che scampò, a differenza degli altri membri della sua famiglia, all’arresto da parte di Ezzelino ma fu costretto a vivere agli “arresti domiciliari” in quel di Vicenza. Il suo testamento, redatto nel 1253[84] e non casualmente presso i frati Minori della stessa città, elenca insieme a quello di Bassano pressocché tutti i conventi minoritici del Veneto, divenuti ricettacoli silenziosi dei “rifugiati politici eccellenti” e degli oppositori del regime ezzeliniano. Silenzio documentario non significava però assenza dalla vita religiosa. Le istituzioni – è stato detto – a Bassano e nelle altre città governate dal signore della Marca «seguivano una strada che solo provvisoriamente poteva essere interrotta»[85] e i frati Minori, come dimostrano i testamenti sopravvissuti, rimasero comunque protagonisti della vita religiosa dei fedeli: attraverso la predicazione nelle loro chiese, facendosi confessori e guide spirituali di uomini e donne, nella lotta all’eresia e operando per la costruzione di quella societas christiana che il pontefice e la Chiesa andavano progressivamente disegnando.
Il dopo-Ezzelino sembra essere per i frati di Bassano una strada tutta in discesa: un favore sempre crescente da parte dei fedeli e la scelta, condivisa con molti altri conventi della Marca, di penetrare nel tessuto vivo della cittadina conquistando a partire dagli anni Settanta[86] uno spazio più centrale e prestigioso per costruire una nuova chiesa e un nuovo edificio conventuale[87]. La chiesa di San Francesco, edificata, lo si è visto poco sopra, sullo spazio dove prima sorgeva un ospedale per i poveri fu consacrata dal vescovo di Vicenza il 26 maggio 1331[88] e divenne rapidamente il punto di riferimento per i ceti trainanti della società bassanese, apertamente munifici, attraverso provvedimenti pubblici[89] e privati, verso i frati e verso la loro nuova dimora. Ai legati, progressivamente più generosi verso i Minori, si deve aggiungere anche la scelta della sepoltura, elemento certamente non secondario – gli studi lo hanno da tempo acclarato – per determinare gli orientamenti devozionali dei fedeli. Per gli uomini e per le donne del medioevo, oltre a rappresentare il luogo in cui il corpo avrebbe atteso di ricomporre l’unità dell’individuo nel giorno del giudizio universale, la tomba era anche lo spazio fisico di incontro fra il mondo dei morti e quello dei vivi, i quali potevano influire sul cammino di salvezza dei trapassati mediante le buone opere e soprattutto mediante le preghiere e le attività di commemorazione dei defunti. Messe commemorative e preghiere di suffragio era ciò che chiedevano ai frati Minori di San Francesco i fedeli di Bassano, desiderosi di essere sepolti nella nuova chiesa o nel cimitero attiguo: ne abbiamo esempi numerosi negli atti di ultime volontà, che andremo ad analizzare più da vicino, ma anche nelle testimonianze artistiche o epigrafiche ancora presenti nell’edificio. Merita a questo proposito un breve indugio la vicenda già nota[90] del ricco e prestigioso Boninsegna, raccontata da un’iscrizione tuttora visibile sull’architrave della porta principale di San Francesco (tav.12). Attraverso una modalità espressiva da letterato di buona levatura culturale, su cui gli studiosi si sono spesso intrattenuti, la scritta narra che nell’autunno del 1306 Boninsegna aveva lautamente finanziato la facciata della chiesa, affinché sotto un’edicola retta da quattro colonne trovasse spazio adeguato anche la sua tomba. Ma oltre a questa testimonianza epigrafica anche il vaglio di un nutrito grappolo di testamenti redatti nel XIV e nel XV secolo mostra con evidenza tutta la risonanza della chiesa francescana sulla società bassanese, in particolare su quella benestante e altolocata. Maria Bovolini – il cognome è quello di una delle famiglie che contavano – nel 1332, gravata da pesante malattia, alla presenza di due frati Minori, chiese di essere sepolta aput ecclesiam Sancti Francisci vicino al monumento sepolcrale del marito e incaricò la badessa del monastero di San Giovanni di riscuotere una serie di affitti in denaro da devolvere ai frati del convento minoritico[91]; successivamente anche altre esponenti della medesima famiglia, Dionora e Viviana, espressero le medesime preferenze sulla scelta dell’ultima dimora, anteponendo il sepolcro della famiglia d’origine a quello dei rispettivi mariti[92]. Predilezioni analoghe, lo abbiamo già visto, si riscontrano all’interno della famiglia Polla durante gli anni della peste nera di metà Trecento e nei testamenti redatti nel corso della seconda metà del secolo da altri esponenti di casate di un certo prestigio come i Carezati, i Fabris[93], i Forcatura[94], i Trabucchi o i Blasi. Non ci si può esimere, a proposito di quest’ultima famiglia, dalla citazione del documento del 1373 che attesta la decisione del padre guardiano, frate Francesco, di ricompensare Andrea Blasi per i suoi preziosi servizi e benefici con una sepultura seu monimento murato iacente in dicto loco Sancti Francisci sub porticali ecclesie ipsius loci. Non deve stupire il fatto che del monumento vengano specificate addirittura le confinanze: a mane Andrea de Polla, a monte murus dicte ecclesie, a sero porticalle ipsius loci et a meridie domina Beatrix a Nogaria uxor Cosse de Cittadella; gli studi hanno infatti da tempo reso noto il grande affollamento di tombe che contribuivano a quella “facies marcatamente funeraria” degli edifici religiosi degli ordini mendicanti[95]. Nei primi decenni del secolo XV il favore dei Bassanesi non venne meno: famiglie notabili vecchie e nuove, cui si affiancarono membri dei ceti artigianali e mercantili in ascesa, continuarono a prediligere il tempio francescano, almeno fino a quando non si affacciarono sulla scena religiosa della cittadina altri protagonisti dell’allargatasi famiglia mendicante, di cui parleremo in seguito. Anche un manipolo di atti testamentari redatti dal notaio Tomio de Sclaveto nel 1401[96] non fa che confermare l’affezione alla chiesa dei Minori, soprattutto da parte delle donne[97]; un’affezione condivisa con la fraternita del Corpo di Cristo e con i pauperes Christi, spesso scelti a discrezione dell’esecutore testamentario. Il convento minoritico, subissato di continue richieste di sepolture, non aveva altresì perduto la capacità di accendere nuove vocazioni e di rispondere alle istanze religiose, di chi, come il prestatore di denaro fiorentino Francesco del fu Lodovico, in adulta etate desiderava abrenunciare huic seculo et eius pompis ed entrare nella religio del “beato padre serafico san Francesco”, per servire Dio e il beato Francesco in “vera povertà” e in “santa umiltà”. Prima di fare il suo ingresso nell’ordine Francesco, nel 1407, effettuò una ricca donazione di mille e trecento lire di denari piccoli (ricavate dal recupero dei suoi crediti) al convento femminile vicentino di Santa Chiara, detto la Arcella, a condizione che la badessa se ne servisse per acquistare una serie di possessiones nel territorio Bassanese con cui dotare in perpetuo una cappella dedicata alla Vergine Maria nella chiesa di San Francesco di Bassano[98]. Il motivo della donazione alle sorores di Santa Chiara, per beneficiare in realtà il convento maschile, è ormai noto: dopo che Giovanni XXII negli anni Venti del Trecento aveva cancellato le disposizioni dei suoi predecessori, con cui la Sede Apostolica si riservava la proprietà e il dominio di ogni bene dei frati, lasciando loro soltanto l’uso di tali proprietà, era stato necessario cercare nuove soluzioni che conciliassero l’evidenza della Regola – secondo la quale i Minori non dovevano possedere nulla di proprio – con il flusso continuo di lasciti dei fedeli. Orientare la beneficenza verso le sorores dell’Arcella, abilitate a possedere come tutti gli altri monasteri femminili, costituiva la possibile soluzione (messa in atto non solo a Bassano ma in molti altri contesti[99]) alla necessità di salvaguardare, almeno formalmente, il divieto non aggirabile espresso dalla regola di Francesco d’Assisi, a patto però che le rendite derivanti dal legato fossero devolute alla chiesa di San Francesco e alla sua nuova cappella. Il fatto che il vicino monastero femminile di San Giovanni – nato come comunità femminile assai vicina ai Minori di Bassano – dalla metà del secolo XIV avesse assunto la regola agostiniana, aveva indotto il prestatore fiorentino ad effettuare la sua donazione al convento femminile di Vicenza. In coda a quest’ultima osservazione relativa al ruolo del francescanesimo femminile vale la pena di esaminare sinteticamente le vicende della comunità bassanese di San Giovanni[100]. Dopo l’ingresso dei Minori nel nuovo convento di San Francesco, il locus di San Donato era stato occupato da un gruppo di donne che avevano assunto un imprecisato habitus religionis. Giovanni Mantese le qualificò come sorores de penitentia, ma quello che è certo, stando alla documentazione pubblicata dallo studioso, è che esse vivevano senza una regola approvata dalla Sede Apostolica, che dopo la fondazione dell’ospedale di San Giovanni, avvenuta, lo ricordiamo, nel 1308, una parte di tale gruppo femminile si era trasferito da San Donato a San Giovanni per dedicarsi all’assistenza dei malati e dei pellegrini e infine che nella coscienza dei testatori esse venivano frequentemente assimilate al minoritismo bassanese. Non è un caso che la già citata Maria Bovolini, devotissima ai frati Minori, abbia incaricato proprio la badessa di San Giovanni della riscossione di alcuni fitti da devolvere ai frati di San Francesco, con un procedimento assai simile a quello che abbiamo visto documentato nella donazione del prestatore fiorentino[101]. La storia di tale comunità femminile andrebbe complessivamente rimeditata alla luce del non sempre lineare rapporto fra l’ordine dei frati Minori e i gruppi di donne che crebbero intorno ai conventi. Allo stato attuale della ricerca di più non è possibile aggiungere, salvo constatare che durante l’episcopato del vescovo di Vicenza, Francesco Temprarini, la comunità, rappresentata da soror Francischa vicaria monasterii Sancti Donati de Angarano, a nome delle sue consorelle sollecitò accoratamente il presule affinché concedesse loro viam et ordinem secundum quod ambulare, lamentando il fatto che sia all’interno del monastero di San Donato sia nella chiesa di San Giovanni esse vivevano quasi oves errantes utpote non habentes aliquam de regulis per Sedem Apostolicam approbatis[102]. Il vescovo comprendendo la loro richiesta concesse a Francesca la regola di sant’Agostino.

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