Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Si è abbastanza insistito fino a questo momento sull’intervento del comune e del consiglio cittadino nelle vicende delle chiese di Bassano, mettendo primariamente in risalto il saldo e robusto accordo creatosi fra organismi di governo e clero pievano e la costante dimensione di controllo esercitata su quest’ultimo da parte delle autorità bassanesi. è bene tuttavia ricordare, con le parole di Antonio Rigon, che l’intervento dei laici nella Chiesa locale si attuò, soprattutto fra XII e XIII secolo, anche ad altri livelli[60] e che forti motivazioni religiose unite alle necessità di sopperire ai bisogni di una società sempre più mobile e dinamica, ove si creavano nuove forme di ricchezza ma anche nuove e drammatiche povertà, ispirarono la creazione di strutture assistenziali destinate all’accoglienza e al sostentamento dei poveri e dei malati. Inutile qui indugiare sulla malattia che assai più di altre – e forse come nessun’altra nel passato – fu percepita in stretto collegamento con giudizi negativi inveterati che traevano la loro origine primariamente dai testi scritturali e che le numerose credenze popolari avevano contribuito ad ampliare[61]. La lebbra e i malati di lebbra furono infatti uno dei problemi maggiormente avvertiti nei centri insediativi medievali, senza distinzione alcuna fra città o quasi città, e gli ospedali dei “malsani” (che tale era la denominazione spesso utilizzata per i malati di lebbra) si diffusero in modo capillare nel corso del XII secolo in tutti o quasi tutti i principali centri della Marca[62]. L’esistenza di un ricovero per i lebbrosi di Bassano viene menzionata per la prima volta alla fine del XII secolo in un ristretto gruppo di atti testamentari, in cui si registrano piccoli lasciti in denaro da devolvere ai malati. Si tratta delle ultime volontà di Gerardino Camposampiero, esponente di una nota famiglia signorile padovana, e di quelle assai più conosciute di Speronella da Vivaro, già moglie di Ezzelino II da Romano[63], che destinò 100 soldi ai “malsani” di Bassano allargando la sua beneficenza anche ai lebbrosi dei centri e delle città vicine[64]. Non specificano tali documenti, redatti a Padova, dove fossero ubicati i lebbrosi e le lebbrose, ma dagli statuti cittadini del 1259[65] si evince chiaramente la loro collocazione extra terram Baxani. Benché gli statuti non lo chiariscano, è probabile che il primitivo luogo di ricovero dei malsani fosse quella stessa area situata lungo il fiume Brenta (in piena consonanza con l’ubicazione di molti lebbrosari sorti lungo il corso dei fiumi) ove alcuni secoli più tardi fu eretto il Lazzaretto. Nei pressi di questo luogo all’inizio del XIII secolo, secondo quanto afferma Franco Signori, si trasferì un piccolo gruppo di monache benedettine[66], che per un tempo imprecisato si dedicò alla cura e al servizio dei lebbrosi dimoranti in quel luogo. Altri luoghi di ricovero, oltre a quello peculiare destinato all’accoglienza dei lebbrosi, arricchirono nel tardo medioevo il panorama assistenziale bassanese, benché, differentemente da contesti analoghi ben studiati e ricchi di documentazione[67], non si riesca valutare nel dettaglio la loro risonanza nella società di Bassano. Alcune donazioni[68] effettuate al rector della Domus Dei nella seconda metà del Duecento e una solitaria erogazione testamentaria della più volte citata Miralda ai poveri dello stesso istituto non sono ovviamente esemplificative della sua vitalità civica né della ripercussione di tale vitalità sui fedeli. Gli statuti cittadini tuttavia ci raccontano a questo proposito che il massaro dell’istituto fu incaricato dal podestà di exigere omnia legata relicta ospitali Domo Dey de Baxano (sia quelli in denaro superiori a dieci soldi, sia quelli consistenti in beni mobili e immobili) e successivamente di effettuarne un preciso inventario scritto[69]. Pur in assenza di altri atti testamentari il provvedimento delle autorità comunali ci conferma in modo implicito che i cittadini bassanesi condividevano ampiamente gli indirizzi della pietà dell’epoca, sovvenendo con i lasciti pro anima alle diverse forme di povertà e marginalità locale, benché il problema degli indigenti fosse avvertito dalla società civile anche attraverso iniziative che andavano al di là della preoccupazione sul destino e la salvezza dell’anima. La guida dell’ospedale era affidata, come si è detto, a un rettore indicato nella documentazione con la qualifica di frater e afferente con buona probabilità all’ambiente dei penitenti legati ai seguaci di Francesco d’Assisi. Solo tale connessione con la famiglia minoritica può infatti spiegare l’avvio di una serie di acquisti di terreni nell’area contigua alla Domus Dei effettuati a partire dagli anni Settanta del Duecento da un certo frate Roberto, rettore dell’ospedale: l’operazione immobiliare servì infatti per ampliare il fondo su cui avrebbero dovuto sorgere, di lì a poco, la chiesa e il convento di San Francesco, destinati ad ospitare in un’area più viva e centrale i Minori, fino a quel momento stanziati nella più periferica chiesa di San Donato in capite Pontis. A farne le spese fu ovviamente l’ospedale della Domus Dei che il comune di Bassano stabilì di spostare in un altro luogo ubi videbitur esse magis utile et congruum[70]. Per la verità dovette passare diverso tempo prima che le autorità comunali prendessero la decisione di edificare nuovamente un altro istituto assistenziale denominato Domus Dei, collocandolo tuttavia nella più decentrata contrada dei Bò[71]. Contemporaneamente all’azione dei comuni, che a Bassano come in altri centri, grandi e piccoli, diedero vita in tempi diversificati a strutture ospedaliere “pubbliche”, non si deve dimenticare la fitta maglia della carità laicale messa in moto da singoli cittadini, i quali attraverso donazioni o lasciti testamentari determinarono la nascita di numerosi istituti di assistenza. Presenta tali connotati anche l’ospedale fondato nel 1308 da Giacomino Blasi con il sostegno dei due nipoti, Peranzano e Martino[72]. Il ricco bassanese, esponente di una famiglia di rilievo del ceto dirigente locale[73], si impegnò a dotare un ospedale per ospitare pauperes, infirmos, peregrinos, transeuntes et debiles in un terreno di sua proprietà, situato in hora que dicitur extra Portam a Leonibus lungo la strada per quam itur ad Campum Marcium, sul quale decise di far erigere anche una cappella, soggetta alla chiesa matrice e dedicata a San Giovanni Battista. L’ubicazione dell’ospedale non sembra davvero casuale: posizionato non lontano dal luogo su cui sorgeva la Domus Dei, esso era probabilmente destinato a porre riparo alle carenze assistenziali provocate dalla soppressione del precedente ospizio. Nelle intenzioni del fondatore il nuovo istituto, destinato ad accogliere 12 malati, avrebbe dovuto essere amministrato da un priore, la cui scelta sarebbe stata per sempre riservata ai discendenti maschi della famiglia Blasi. Va detto ancora – con l’impegno di tornare a parlare di tali presenze femminili – che presso l’oratorio di San Giovanni e in stretto collegamento con le attività dell’ospedale, trovarono dimora anche alcune religiose mulieres provenienti dal convento di San Donato (fig.7),

san donato - Copia

7. Facciata della chiesa di San Donato. Bassano del Grappa, fraz. Angarano. Primo insediamento dei Frati minori nel territorio bassanese; al loro spostamento nella chiesa urbana, la chiesa è retta da religiose, alcune delle quali si spostano poco dopo nell'ospedale di San Giovanni.

luogo che da poco tempo era stato lasciato libero dai frati Minori, trasferitisi nella nuova chiesa di San Francesco. Se questo esempio isolato è sufficiente a farci percepire le possibilità d’azione della carità dei fedeli è necessario altresì completarne il quadro soffermandoci sulle iniziative che nascevano non da esperienze individuali ma da una religiosità vissuta in comunione con gli altri, nelle associazioni confraternali (fig.6).

Chiesa S.Giovanni e Piazza Liberta

6. Veduta della piazza Libertà, già San Giovanni nell’assetto settecentesco. La fondazione dell’ospedale di San Giovanni (nei pressi della chiesa) e di una cappella avviene all’inizio del Trecento.

Benché – come ripetutamente è stato messo in rilievo[74] – il “prossimo” a cui si rivolgevano tali istituzioni fosse spesso un prossimo tutto interno ai sodalizi, la costruzione, il mantenimento e l’attività all’interno di un ospedale rimasero per le confraternite la forma più consueta di sovvenzione e di aiuto verso il prossimo, tanto da far parlare anche di recente del rapporto “confraternite-assistenza” come di un binomio interdipendente e complementare[75]. Bassano non costituisce un’ eccezione a questo panorama generale, potendo contare – siamo ormai nell’avanzato XV secolo – sia sull’ospedale della Misericordia, gestito dalla fraglia dei Calegari o dei Cerdoni[76], sia su altro importante sodalizio, sorto in conseguenza del grande movimento penitenziale dei Bianchi e dedito anch’esso all’assistenza e al ricovero di pellegrini e di bisognosi in genere. Si tratta della fratalea di Santa Maria e di San Paolo de batutis albis, a cui il pellettiere Zambello, cittadino bassanese in stretta relazione con il movimento religioso creato da Pietro Malerba, fece dono nel 1451 di un’ampia casa pro hospitali edificando[77]. Che la dimensione della cura e dell’assistenza fosse annoverata in modo peculiare fra le opere di misericordia proposte ai membri delle confraternite lo dimostra con una certa evidenza anche una veloce perlustrazione degli statuti promulgati dai sodalizi bassanesi tardo medievali: da quelli di Santa Maria e di San Paolo[78], che invitavano i ministri e i confratelli a visitare i malati, anche in caso di pestilenza, a quelli molto simili nelle linee di fondo elaborati dalla confraternita del Corpo di Cristo, anch’essa insediatasi presso la chiesa di San Giovanni nella feconda temperie spirituale di fine Trecento/inizio Quattrocento e assurta in brevissimo tempo a grande successo soprattutto fra le testatrici di Bassano[79].

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