Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Con una continuità nient’affatto sorprendente per un’istituzione pievana ma decisamente importante per l’inquadramento ecclesiastico e religioso dei fedeli[10], la chiesa di Santa Maria (fig.2; tav.9)

Chiesa di S.Maria in Colle - Copia

2. Collegiata di Santa Maria in Colle, XVI secolo. L’attuale costruzione, sul colle più alto della città,  corrisponde all’ampliamento cinquecentesco della chiesa ed ingloba l’edificio altomedievale e la pieve trecentesca.

non vide mai venir meno l’interesse della comunità bassanese nei suoi confronti. Il luogo su cui sorgeva, il sito di Margnano, non era del resto privo di valenze simboliche né di significato politico, come attestano da un lato le fantasiose congetture sette-ottocentesche della storiografia locale, tese a dimostrare la preesistenza di un tempio a pianta rotonda dedicato agli dei Mani e a Plutone[11]; dall’altro le recenti ricostruzioni storiche, che non lesinano considerazioni, anche altisonanti, sull’importanza del nucleo insediativo più antico di Bassano – il locus di Margnano, appunto – e sul suo ruolo politico di rilevanza addirittura regionale[12]. L’idea dell’insediamento di Margnano quale crocevia strategico per un’area assai vasta, ha origine dal fatto che vi si svolse nel 998 un’importante assise giudiziaria, cui parteciparono oltre ai messi imperiali di Ottone III anche le più rilevanti autorità politiche e religiose della Marca Veronese. Tale assise si realizzò, come si è già detto, in una località assai prossima alla chiesa battesimale di Santa Maria. È dunque assai probabile che la sua importante posizione in un luogo di non trascurabile significato abbia contribuito a mantenere viva nei Bassanesi la devozione verso la pieve; una devozione che si espresse in modo continuativo nel corso degli ultimi secoli del medioevo con numerosi provvedimenti di natura “pubblica” relativi al patrimonio della chiesa, alle decime di sua pertinenza, alla preoccupazione per una ufficiatura costante e regolare e per la cura materiale dell’edificio, trasformato, a partire dal primo Duecento, da primitiva ecclesiola (in seguito divenuta subterranea), in una più ampia costruzione a tre navate[13]. Anche quando la rete degli insediamenti religiosi si ampliò notevolmente nell’area bassanese e si fece sentire la concorrenza di centri monastici assai dinamici in grado di polarizzare la devozione dei fedeli – si pensi primariamente alla forte capacità attrattiva di un monastero come quello di Campese –, quando ad inizio Duecento presero piede esperienze religiose maschili e femminili variamente collegate al proliferare delle religiones novae (il pensiero corre soprattutto alle vicende di San Donato inizialmente abitata dai frati Minori e successivamente da una comunità femminile ad essi legata), quando l’ingresso dei frati Minori nella nuova chiesa di San Francesco sul finire del secolo XIII trasformò in modo evidente il volto sacro di Bassano (fig.1; tavv.12-13)

fronte san francesco001

1. Facciata della chiesa di San Francesco, inizio del XIV secolo. La chiesa dei frati minori costituisce, a partire dagli ultimi decenni del XIII secolo,  il primo grande insediamento monastico urbano.

e quando lo spostamento del cuore urbanistico bassanese fece assumere un ruolo di primo piano alla chiesa di San Giovanni, molti furono gli uomini e le donne che continuarono a testimoniare la loro devozione per l’antica istituzione pievana. A supporto di tale osservazione valgano, solo a titolo di esempio, alcune scelte testamentarie effettuate dai Bassanesi tra la fine del Duecento e l’inizio del secolo successivo, scelte che vale la pena di leggere un po’ più nel dettaglio. Le ultime volontà di domina Miralda, moglie di un notaio, esprimono il fermo proposito che l’altare della chiesa di Santa Maria venga ornato con decoro e che i suoi sacerdoti – dall’arciprete Gislardo al sacerdote Pietro, che l’aveva confessata e in seguito le aveva somministrato il sacramento dell’estrema unzione – ricevano un’adeguata somma di denaro[14]. Il testamento non contiene riferimenti alla scelta della sepoltura, che invece la vedova bassanese Cecilia Scanafede, dispone con precisione proprio nel cimitero di Santa Maria de Castello, destinando anch’essa parte dei beni in conzamento et ornatu dei diversi altari della chiesa – in particolare quelli di Santa Maria, di Santa Caterina, di San Martino e di San Nicolò – ed effettuando lasciti in denaro sia per l’arciprete Gislardo sia per l’eremita che ivi dimorava[15]. Analogo orientamento favorevole alla chiesa matrice si riscontra anche in altri testatori che indirizzarono la loro beneficenza verso i frati Minori o verso altri luoghi di culto bassanesi, senza tuttavia trascurare la chiesa pievana nei periodi difficili che la cittadina si trovò ad affrontare in concomitanza con le esiziali epidemie tre e quattrocentesche. Così si comportarono, nell’anno di peste per eccellenza, il 1348, alcuni esponenti della nota famiglia Polla[16]: il notaio Riprando, munifico verso la confraternita di San Bartolomeo che aveva sede nella chiesa di Santa Maria[17] e il dominus Tisio quondam ser Iohannis Leonardi de Polla, spiccatamente orientato al termine della sua vita verso il convento dei frati Minori ma non dimentico dell’arciprete pievano, beneficiato con un lascito di 25 soldi[18]. Più di un secolo dopo, nel corso di un altro terribile anno pestilenziale, il 1478, anche una testatrice di Valstagna, trovatasi a morire proprio a Bassano, fece un’offerta alla chiesa di Santa Maria affinché vi si facessero dipingere le immagini della Vergine e dei santi Sebastiano e Rocco, sempre più invocati dai fedeli dell’epoca a protezione dal terribile morbo[19]. Parallelamente agli atti privati stipulati dagli uomini e dalle donne vissuti nei secoli che qui ci interessano, come si è detto poco sopra anche la documentazione pubblica di Bassano – in particolare la produzione statutaria del secolo XIII[20] e i registri di deliberazione consiliarie tre e quattrocentesche[21] – trabocca di provvedimenti indirizzati alla chiesa matrice, la cui amministrazione (del patrimonio, delle decime[22], del thesaurus ecclesiae e persino delle offerte devolute alla chiesa per mezzo delle ultime volontà dei fedeli[23]) da sempre afferiva alla sfera di competenza del consiglio cittadino. Gli organismi politici bassanesi di fatto esercitarono con continuità un robusto controllo sia sulla scelta degli arcipreti della pieve, sia sul loro operato, tenuto sotto costante e rigorosa osservazione e talora duramente sanzionato nel corso delle sedute consigliari[24]. Nella lunga teoria di arcipreti della chiesa matrice di Bassano[25], è stato giustamente rilevato che fra Due e Trecento molti sacerdoti furono anche notai[26], benché in generale la documentazione superstite non consenta di tracciarne profili accurati lungo il corso dei secoli in questione. Tuttavia, a differenza di quanto è stato possibile stabilire per un centro non privo di analogie con la realtà bassanese come Monselice – su cui l’episcopato padovano fin dal primo Duecento cercò di rafforzare la propria autorità, inviando come rettori della pieve membri del capitolo cattedrale[27] –, non risulta che gli arcipreti di Santa Maria provenissero da un contesto sociale diverso da quello locale[28]. Detto in altre parole la documentazione bassanese due e trecentesca – almeno fino alla nomina, peraltro pesantemente contestata, di Lazzarino Ferrari[29], sulla cui scelta pesò la volontà del vescovo di Vicenza Giovanni Castiglione[30] – non lascia intravedere elementi utili a dimostrare una qualche forma di controllo sulla pieve da parte degli ordinari vicentini, a dimostrazione del fatto che le complesse vicende politiche bassanesi, prima e dopo lo sviluppo della signoria ezzeliniana, non furono certamente ininfluenti sul piano della giurisdizione ecclesiastica[31]. Come si diceva in precedenza, le figure di arcipreti locali due e trecenteschi che si prestano alla costruzione di un breve medaglione biografico sono davvero poche. Ciò vale – mi limiterò solo a qualche laconico esempio –, per l’arciprete Gislardo, imperialis notarius, che rimase alla guida della pieve nei decenni finali del XIII secolo (con certezza dal 1284 al 1300) e che fu destinatario di alcuni lasciti in denaro da parte di testatori bassanesi[32]. Successivamente all’arcipretura di Gislardo per incontrare personaggi ben documentati nella vita religiosa bassanese bisogna arrivare al pieno secolo XV, mentre per quanto riguarda il Trecento possiamo in buona sostanza concordare con il giudizio espresso da Gina Fasoli sulla scarsità delle fonti disponibili e sulla mancanza di episodi e figure degne di grande rilievo. Un po’ meno oscura – ma soprattutto per l’ostilità politica che dovette affrontare in seno al consiglio della città e non per quanto riguarda invece la sua attività di “uomo di Chiesa” – ci appare invece la figura di Lazzarino Ferrari, per lunghissimo tempo arciprete di Santa Maria a cavaliere fra il XIV e il XV secolo. L’arrivo a Bassano del prelato, originario di Parma, si situa nel difficile contesto degli anni di governo visconteo e il suo legame forte con un vescovo politicamente assai connotato, come il milanese Giovanni Castiglione[33] – che normalmente abitava a Verona nel palazzo del duca di Milano – lo rese una figura a tratti invisa all’élite politica bassanese, che in più occasioni cercò di esonerarlo dalla carica di arciprete, con accuse relative alla sua dubbia moralità, chiedendo al vescovo di Vicenza di potersi scegliere un arciprete ydoneum, iustum et bonum[34]. Sebbene nessun dato esplicito ci informi in modo chiaro sul suo rapporto con i fedeli, alcuni segnali emergenti dalla documentazione residua e alcune iniziative che lo videro protagonista, aprono spiragli non del tutto trascurabili in relazione al suo operato pastorale, che vale la pena di osservare più da vicino. In quell’ampia e ricca messe di documenti che sono gli atti di ultime volontà fa infatti capolino nei primi anni del Quattrocento una singolare devozione alla fabbrica del duomo di Milano: cittadini e cittadine di Bassano effettuarono lasciti in denaro anche di una certa consistenza per la costruzione del maggior edificio religioso milanese. Non si possono qui ignorare tutti gli avvertimenti degli studiosi sugli ineludibili condizionamenti, formali e sostanziali, cui erano soggetti uomini e donne accingendosi a dettare le loro ultime volontà e ha sicuramente ragione chi sostiene che una tale devozione non si giustifica se non con una martellante azione di propaganda da parte della politica viscontea[35], tuttavia il fatto che essa attecchisse con discreto successo anche a Bassano sta comunque a dimostrare un certo grado di credibilità dell’arciprete nell’orientare i suoi fedeli verso una devozione del tutto estranea all’orizzonte religioso locale. Proseguendo ancora nell’analisi dei frammenti documentari che riguardano l’arciprete Lazzarino si può asserire che procedano in direzione della cura e della valorizzazione della pieve di cui era titolare sia la dichiarazione con cui ribadì fermamente la giurisdizione della pieve sulla chiesa di San Giovanni[36] (che per la sua posizione centrale rispetto al nuovo sviluppo urbanistico di Bassano aveva acquisito, come si è detto, un ruolo di primo piano nella vita religiosa, arrivando anche ad accogliere il fonte battesimale della pieve)(fig. 3),

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3. Fonte battesimale della chiesa di Santa Maria in Colle, XV secolo. Il fonte battesimale tuttora presente.

sia la decisione di effettuare, poco dopo il suo insediamento, l’inventario di tutti i beni spettanti alla chiesa di Santa Maria. Desta un certo stupore in chi non è estraneo a fonti di questo genere, vedere sciorinare lungo l’atto notarile un patrimonio librario davvero invidiabile, che non sfigura neppure al confronto di analoghi elenchi inventariati in sedi vescovili di prestigio molto maggiore[37]. Si tratta di una lista di codici e quaterni di argomento prevalentemente liturgico che attesta anche l’esistenza di un vero e proprio “archivio documentario”, consistente in unus bancus picei a duobus caltis cum cartis veteribus ecclesie[38]. Il fatto che nell’elenco compaiano un ricco “guardaroba” sacerdotale e abbondanti paramenti d’altare induce ad ipotizzare la persistenza di un clero plurimo anche nel corso del Trecento, così come aveva decretato nel 1280 il cardinale Latino Malabranca, legato de latere del pontefice, istituendo nella chiesa di Santa Maria un collegio canonicale di quattro chierici, compreso l’arciprete[39] e come testimonia il testamento, di poco posteriore al provvedimento cardinalizio, della già citata domina Miralda, la cui beneficenza, dopo aver ricordato la figura dell’arciprete, si indirizza oltre che verso gli altri tre sacerdoti officianti la pieve, anche verso i tre chierici eiusdem ecclesie[40]. Va detto però che la documentazione superstite, già piuttosto avara di notizie sulle figure degli arcipreti, lo è ancor di più sugli altri canonici, lasciando emergere dal Due al Quattrocento soltanto qualche nome e nulla più[41]. Se si esclude il testamento piuttosto eccezionale di Miralda, i lasciti in denaro devoluti alla chiesa per via testamentaria erano indirizzati genericamente a Sancta Maria de Castello senza alcun coinvolgimento del resto del collegio canonicale[42]. Non appare inoltre privo di importanza in relazione allo svolgimento della vita religiosa pievana il fatto che i canonici non risiedessero presso la chiesa bensì in un’ala del palazzo comunale sulla piazza del Pozzo[43]. Lo aveva stabilito il comune di Bassano con un’integrazione allo statuto del 1259, affinché i chierici potessero più efficacemente celebrare gli offici divini secondo la volontà del comune (ut possint melius celebrari sua officia ad voluntatem comunis)[44](fig.4).

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 4. Inventario del tesoro di Santa Maria in Colle, 1395. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Archivio Comunale, 2.13.9. Documento dell'Arciprete  Lazzarino Ferrari che attesta la ricchezza della pieve alla fine del Trecento.

La natura del provvedimento comunale e la sua perentorietà appaiono piuttosto sorprendenti, giacché il tema della residenza dei chierici era solitamente affrontato dalle gerarchie ecclesiastiche, non certo dalle autorità politiche; erano i vescovi a legiferare nelle rispettive diocesi sui temi della “vita comune” dei chierici e sull’importanza della collegialità per una cura d’anime efficace dal punto di vista della testimonianza di vita. La norma bassanese assume dunque un valore paradigmatico per continuare a ragionare sulla scarsa incisività dell’ordinario diocesano sulla vita religiosa bassanese e, più in generale, sul complesso intreccio fra la Chiesa e le istituzioni politiche e civili in un centro insediativo “minore” caratterizzato dalla mancanza del vescovo.  

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