Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Oltre che dalle sorores di San Donato e San Giovanni il mondo religioso femminile tardo medievale, fu rappresentato a Bassano anche da altre comunità, complessivamente caratterizzate da incertezza istituzionale e, soprattutto nel XIV secolo, da una ricorrente debolezza numerica. Passaggi di regola, comunità assai ridotte e con un ambito di reclutamento ristretto al piccolo cerchio bassanese, trasferimenti da un luogo all’altro, appelli all’autorità vescovile per vicende di malcostume o per il desolante stato di abbandono edilizio ed economico in cui versavano le sedi monastiche, non furono eventi rari per le religiose e, se da un lato stanno a testimoniare l’inquietudine che percorse le esperienze femminili di questi secoli, spesso pencolanti fra semplici “proposte di vita comunitaria” alla ricerca di modi originali di espressione e più strutturate scelte monastiche, dall’altro rappresentano la conseguenza di un’azione disciplinare vescovile certamente a maglie più larghe rispetto alle città vicine, ove i presuli residenti esercitavano un progressivo e sempre più rigido inquadramento delle religiose in relazione all’osservanza delle regole assunte e soprattutto della clausura[103]. Emblematica risulta in questa prospettiva la prosecuzione della storia della comunità di San Giovanni, che dopo aver ricevuto, come si è visto, la regola agostiniana, passò dopo poco tempo alla normativa benedettina, per poi assumere nuovamente quella agostiniana negli anni Sessanta del XV secolo[104]. Non prive di tormenti e travagliate vicissitudini si presentano le storie di altre comunità femminili del territorio bassanese o di quelli limitrofi. L’evoluzione trecentesca della comunità benedettina di Santa Felicita di Romano, estintasi nel 1361 in un grave stato di decadenza[105], non fu infatti molto diversa da quelle situate nel distretto di Bassano, come il monastero di San Fortunato oppure quello di Santa Caterina. Situato fuori dalla città sulle rive del Brenta, nel corso del XIII secolo San Fortunato venne occupato da un piccolo gruppo di benedettine, affidate alla storia solamente «attraverso l’esile passerella di pochi e monotoni atti amministrativi»[106]. Nel corso del XIV secolo l’interesse verso questa comunità sembrò calare sensibilmente e la pietà dei fedeli, solitamente espressa attraverso i lasciti testamentari, si orientò verso altre forme di vita religiosa, caratterizzate dalla dimensione eremitica e da attività di tipo caritativo. Nel 1399 la documentazione afferma esplicitamente che a San Fortunato risiedevano solamente due monache – la badessa Margherita e la monaca Giovanna, figlia del defunto Pino di Bassano – e nei primi decenni del Quattrocento le vocazioni, senza più la capacità di rimpinguare una vita religiosa ormai asfittica, si ridussero a tal punto da comprendere la presenza della sola badessa, per giunta vecchia, cieca e inhonesta. Dopo che il vescovo le impose un ritiro forzato presso il monastero di San Biagio di Vicenza, la chiesa fu affidata all’«energia ferma e paziente» del riformatore Ludovico Barbo. Analoga sorte toccò ad un’altra comunità monastica femminile, Santa Caterina. Nella piccola chiesetta ubicata nel borgo di Margnano, nella parte settentrionale di Bassano, almeno dal 1340, viveva, secondo una regola rimasta imprecisata, un esiguo gruppo di monache composto da una priora, Bonapace, e da due sorores Nicoletta e Caterina, affiancate da un certo frater Giovanni del fu Negro che dimorava in dicto loco. Il ristretto sodalizio, le cui dimensioni non variarono di molto nel corso degli anni, è documentato fino all’anno 1400, quando dal locus di Santa Caterina scomparve ogni presenza di vita religiosa “organizzata”.
L’interesse verso tale luogo, su cui il Comune non cessò di esercitare il giuspatronato ma che rimase presumibilmente nell’abbandono per vari decenni, si riaccese solo a partire dagli anni Quaranta del Quattrocento, quando, sotto l’influsso delle nuove correnti eremitico-riformistiche che nel Veneto trovarono fecondo terreno di impianto e di espansione[107], fece il suo ingresso in Bassano una nuova famiglia del ceppo mendicante, quella degli Eremitani[108], che in breve volger di tempo ebbe un notevole successo, riuscendo per tutto il resto del secolo XV ad orientare la generosa beneficenza degli uomini e delle donne bassanesi[109]

Questo sito usa cookies per il proprio funzionamento (leggi qui...)