Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

«Questo è tutto quello, Sig. Antonio, ch’io posso dirle colla maggiore brevità circa i più rari prodotti vegetabili dei nostri monti e colli, nel che non ho avuto in mira di tesserne un completo Catalogo, che riuscirebbe troppo vasto in questi giorni in cui la Botanica è prodigiosamente estesa». E’ un passo della lettera che il Brocchi inviò al Gaidon in quello stesso 1793 in risposta a quella citata all’inizio di questo testo. Brocchi aveva ventun’ anni e in queste pagine, incredibilmente belle e attuali ad oltre due secoli di distanza, rivela una precoce e già prodigiosa competenza anche nella scienza dei vegetali. Ma ci preme sottolinearne, in quel passo, una parola rivelatrice del nuovo spirito scientifico che stava permeando i naturalisti: il catalogo. L’illuminismo aveva diffuso un messaggio di rivalutazione della ragione, di esaltazione della verità data dalle scienze sperimentali (contro una presunta verità per tradizione o superstizione), di rilancio delle scienze stesse come strumento per la felicità dell’umanità. Riecheggiava il celebre motto di Nicholas Desmarest: «andate a vedere», ovvero uscite dai polverosi laboratori ed andate ad indagare la natura per vedere come veramente è (e non come ve l’hanno raccontata). Catalogare diviene perciò il nuovo credo scientifico. Le opere di Carlo Linneo (1707-1778) fornirono lo strumento operativo, ovvero le indicazioni per la nomenclatura (il binomio scientifico, un modo universale per battezzarle ciascun vivente) e i criteri per la classificazione (la proposta di un modo condiviso per mettere in ordine i viventi cercando somiglianze). Nel vicentino fu il medico Antonio Turra (1736-1797) fare proprie queste novità. Nel 1780 diede alle stampe Flora italicae Prodromus, un volumetto nel quale è il primo in assoluto a tentare un catalogo di tutte le specie vegetali viventi nella penisola, dalle Alpi alla Sicilia (pionieristica anche perché si riferiva all’Italia, quando ancora questa non esisteva come realtà politico-sociale). Si trattava solo di un lungo elenco di nomi, limitato alle informazioni che poteva raccogliere da Vicenza con i mezzi del tempo, ma il seme era stato lanciato ed avrebbe dato buoni frutti. Avvenne come una sorta di contagio tra le persone colte e si diffuse la figura del botanico dilettante, inteso come colui che si occupava di scienza per diletto, per puro piacere di farlo, riuscendo però spesso a primeggiare nelle competenze e nei risultati. Erano farmacisti, medici, nobili, ufficiali, insegnanti, parroci e così via. «Il nostro Signor Vettore Fornasieri – scrisse il Brocchi al Gaidon nella già citata lettera - ch’esercita con grandi cognizioni la Botanica, e ch’era compagno del fu S.E. Corner Vescovo di Vicenza nelle erborazioni alpine, riferisce di aver trovato in un prato non molto discosto da Oliero un fiore di Primula di sorprendente colore il quale da tutti gli Intendenti fu giudicato di nuova spezie e sconosciuto». Il Vicentino e il Bassanese, come ricostruito da Busnardo[9], furono davvero prodighi di queste figure fino a tutta la metà del milleottocento. Turra tenne stretti rapporti con la nostra città poiché più volte venne a stampare presso i Remondini. Forse frequentò anche il Gaidon, ma di questo ancora non abbiamo prove certe. In ogni caso, la sua influenza è notevole. Tra tutti coloro che raccolsero il testimone, colui che si fece davvero onore fu Giovanni Montini (1802-1854). Farmacista in Angarano sotto l’insegna dell’Angelo, fu un diligentissimo raccoglitore che fece assidue escursioni in tutto il nostro territorio (Brenta, colline, Altopiano, Grappa) ma che si spinse anche in luoghi più lontani, sia verso mete già classiche come gli Euganei e il Summano, sia verso luoghi allora poco noti, come i Lagorai e la Cima d’Asta. Il suo diario, conservato presso il nostro Museo Civico, è rivelatore di questo spirito esplorativo. «Oggi – annota ad esempio il 20 marzo 1832 - mi incamminai verso i Colli di Angarano onde vedere di quali piante fossero forniti». Purtroppo non diede alle stampe nessun vero studio monografico e tutto il suo lavoro è racchiuso nel suo erbario, che assume perciò il ruolo di una vera memoria materiale del suo lavoro (come ogni erbario, del resto). Fortunatamente questa sua raccolta (circa 8000 fogli) è tutt’ora conservata anch’essa presso il nostro Museo e costituisce, assieme a quella del Parolini di cui diremo nel prossimo paragrafo, un catalogo importantissimo della flora bassanese ottocentesca. Importantissima, anche perché il nostro territorio nel frattempo è cambiato, la città si è estesa ed ha cancellato ambienti agrari e naturali di quel tempo, i fossetti e gli angoli palustri sono stati bonificati e con loro sono scomparse tutte le fioriture specializzate che li popolavano, un po’ d’agricoltura è rimasta ma è cambiata e con le nuove colture sono cambiate anche le piante commensali (ormai rarissimo è addirittura il Fiordaliso). Montini però non fu solo un diligente raccoglitore. Seppe anche cogliere appieno il clima scientifico del tempo, uscire dall’ambito localistico e contribuire alle due iniziative innovative che stavano nascendo a Firenze: l’allestimento di un grande erbario centrale italiano per merito del Granduca Leopoldo II (impresa mai tentata prima) e l’edizione di una Flora Italiana da parte di Filippo Parlatore. Montini partecipò tra i primissimi ad entrambe, inviando a Firenze nel 1842 una collezione di ben 928 specie “della provincia e delle Alpi di Bassano” ed entrando in corrispondenza con il Parlatore per inviare tutte le informazioni di poteva avere bisogno. In altre parole, come diremmo oggi, fu un benemerito della Flora Italiana, come riconosciutogli da una speciale medaglia che gli venne consegnata il 30 maggio 1850 dal Marchese Antinori, «quale testimonianza del sovrano aggradimento»[10]. Giovanni Montini seppe essere un valente studioso senza fare troppo clamore. Sappiamo dal Brentari che rifiutò più volte l’invito di recarsi a Padova per insegnarvi la botanica, per modestia eccessiva e per seguire la propria famiglia. Portò umilmente il suo mattone per la costruzione dell’edificio delle conoscenze, nello spirito così bene sintetizzato dal Parlatore: «la Flora generale di un paese è il frutto di tante flore speciali che tendono ad illustrare le piante di ogni singola provincia. Come qualsiasi lavoro dell’ingegno umano, essa è accordo di tanti strumenti insieme armonizzati, la sintesi di tante analisi distinte ma dirette ad un medesimo scopo»[11]

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