Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Ottobre 1789. Nei primi giorni del mese arrivò a Bassano Deodat de Dolomieu (1750-1801). Fu una delle ultime tappe di quel lunghissimo viaggio di studio nelle Alpi orientali (circa 1350 chilometri percorsi interamente a piedi) al quale si fa risalire la definitiva scoperta del tipo di roccia a lui poi dedicata: la dolomia. Il Dolomieu proveniva dai monti del Brennero presso i quali aveva trovato ancora una volta in quell’estate «una quantità immensa di questo particolare tipo di pietra calcare che non subisce effervescenza nelle prove con gli acidi» e dai quali era sceso zigzagando tra valli e cime fino ad Arzignano, dove aveva fatto tappa nella casa del suo vecchio amico Alberto Fortis (1741-1803), l’abate di origine padovana che fu tra le figure più importanti della geologia veneta di fine settecento (scienza indicata allora con il nome di orittologia). Con il Fortis stesso aveva poi girovagato nei monti di Schio e, tramite i colli di Salcedo e Marostica, era arrivato a Bassano. Qui il suo contatto fu l’ingegnere e naturalista bassanese Antonio Gaidon (1738-1829), un uomo dai molteplici interessi, profondamente permeato dallo spirito illuminista, che aveva saputo stringere amicizie con i massimi studiosi delle scienze naturali dell’epoca. Aveva più volte fatto escursioni con il Fortis stesso e da ciò può essere nato l’invito a portare anche il Dolomieu nel bassanese. Dove sia stato realmente accompagnato è ancora da ricostruire con esattezza, ma noi ipotizziamo che il luogo prescelto siano stati i colli tra San Michele e Marsan dove raccolse, secondo il suo diario pubblicato da Rizzi,[3] campioni di lave basaltiche vetrose. Quest’escursione non portò a nessuna nuova scoperta, ma la fama dell’uomo dette, con grande risalto, un’ulteriore conferma al potenziale interesse dei nostri colli. Tra Breganze, Marostica, Marsan e San Michele già da anni si aggiravano gli esponenti più autorevoli dell’orittologia veneta del tempo, tra i quali il citato Alberto Fortis, Giovanni Arduino (1714-1795), John Strange (1732-1799), Girolamo Festari (1738-1801), oltre, naturalmente, al nostro Antonio Gaidon che raccolse le sue osservazioni in preziosissime lettere pubblicate nel Nuovo Giornale d’Italia[4]. Come già anticipato, in quei decenni di fine secolo imperava una sorta di guerra di religione tra fronti contrapposti che disputavano ferocemente su quale fosse l’origine del basalto (sedimentario-marina per i nettunisti, vulcanica per i plutonisti). Ciascuno voleva trovare conferma per la propria teoria e non poteva non andare a cercarla là dove c’erano affioramenti di quella roccia. I nostri colli, perciò, divennero meta, come altri nel Pedemonte fino al veronese, di innumerevoli “peregrinazioni orittologiche”. Quando poi tramontò questa disputa e venne riconosciuta unanimemente al basalto la sua origine eruttiva, nel nostro territorio continuarono comunque le viste di studio sia da parte di geologi celebri che di semplici appassionati, come riassunto in Frascari Spano e Bassani[5] che definiscono questi luoghi «una zona classica soprattutto per lo studio dei terreni terziari del Veneto».  

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