Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Quando il vescovo Giovanni Antonio Farina visitò la comunità religiosa bassanese, nel 1864 (fig.3),

3VescovoGiovanniAntonioFarina

3. Francesco Noro (Arzignano 1871–Vicenza 1947), Ritratto del Vescovo Giovanni Antonio Farina, datato 1936. Vicenza, Seminario Vescovile. Durante la visita pastorale del 1864, dalla relazione al vescovo dell’arciprete Domenico Villa si apprende che la popolazione era leggermente diminuita, 9375 anime con 33 sacerdoti.

molta acqua era passata sotto i ponti rispetto alla precedente indagine vescovile del Peruzzi. Vi erano stati i moti del 1848-49, a cui il clero aveva partecipato con notevole contributo: nel Veneto, come in Lombardia, molti sacerdoti si erano gettati nella mischia, molti religiosi avevano infervorato patriotticamente le popolazioni con le loro prediche, molti parroci si erano messi a capo dei “crociati” che erano andati contro gli austriaci convinti di fare anche la volontà del papa Pio IX, poi peraltro ritrattata. Vi era stata insomma una innegabile partecipazione di clero e popolo ai moti quarantotteschi, che contrasta con l’immagine di un Risorgimento frutto di scelte elitarie e minoritarie[17]. Anche don Domenico Villa, che sarebbe divenuto in seguito responsabile della più importante chiesa di Bassano, Santa Maria in Colle, era di sentimenti sinceramente patriottici, anche se non estremisti[18], come molti preti del Seminario vicentino, tra cui il famoso abate Giacomo Zanella: e successivamente i preti troppo patriottici sarebbero stati severamente puniti dagli Austriaci ritornati saldamente al potere dopo i moti del 1848-49[19]. Bassano, nel 1864, dopo la mancata unificazione del Veneto all’Italia, era ancora territorio dell’Impero Austriaco. Nel frattempo la chiesa arcipretale aveva acquisito maggiore importanza, e agli arcipreti di Bassano era stata concessa la dignità di “abate mitrato”, con Breve pontificio del 1852 e il placet dell’Imperatore d’Austria del 1853[20]. Dalla relazione al vescovo dell’arciprete Domenico Villa – che diverrà in seguito vescovo di Parma[21] – ben poco trapela circa lo stato del clero e del popolo bassanese; si apprende che la popolazione era leggermente diminuita (vi erano 9375 anime, circa quattrocento in meno rispetto a poco più di quarant’anni prima), mentre il clero aveva subito una drastica riduzione: vi erano in tutto 33 sacerdoti, di cui tre in servizio a S. Maria in Colle, e altri due curati a San Vito e a Santa Croce. Gli altri erano impegnati a vario titolo come cappellani, rettori di collegi o di case religiose, confessori, insegnanti. Il clero molto numeroso del primo ’800 si era ormai ridotto di numero, ma la sua presenza era ancora notevole in settori chiave della città, come il liceo ginnasio, le scuole elementari, i collegi. Tra le aggregazioni dei fedeli è nominata solo la Confraternita del SS.mo Sacramento e affigliate, e poco altro si dice sulla popolazione, se non una breve nota sui disordini morali: l’arciprete teme che vi siano lettori di libri proibiti, ma asserisce tuttavia che «niun vizio trionfa particolarmente»[22]. Del clero si dà solo l’elenco dei nomi, con le relative mansioni; doveva esserci una nota a parte sulla condotta del clero stesso, ma non risulta reperibile. Ed in realtà doveva essere una nota ben importante e scottante, stante la situazione del clero bassanese, alquanto complessa e variegata. Vi erano ancora senza dubbio dei preti patrioti, se dopo l’Unificazione alcuni sacerdoti avevano ricordato con indubbi accenti di amor patrio il sacrificio di molti bassanesi per l’Unità d’Italia, ma soprattutto esisteva in città un folto gruppo di cattolici liberali[23]. Tra questi vi erano molti esponenti del clero che non avevano aderito alla protesta antivolpiana del 1862, quando quasi tutto il clero veneto sottoscrisse – o fu indotto a sottoscrivere – un documento di condanna delle tesi dell’abate bellunese Angelo Volpe, un prete patriota che nel 1848 aveva combattuto molte battaglie contro gli austriaci, e che nel 1862 aveva pubblicato uno scritto fortemente contrario al potere temporale e all’infallibilità del papa, ottenendo una severa condanna[24]. Per un notevole gruppo del clero bassanese, dunque, la difesa del potere temporale del papa, cavallo di battaglia dei cattolici fino a tutto il primo ’900, non era un problema da porre in primo piano, e questo induce a pensare ad una particolare modernità e apertura del clero cittadino rispetto alla maggioranza del clero veneto, che farà della difesa del potere temporale – con i bassanesi fratelli Scotton[25] in testa – una questione fondamentale e di principio: un problema che indurrà molti cattolici a percepire lo Stato unitario come uno Stato usurpatore e ingiusto nei confronti del pontefice. Ma già in questa dicotomia – la presenza di un folto gruppo di preti liberali, punta di diamante del clero liberale veneto – e contemporaneamente con la presenza dei più accesi paladini del temporalismo, come gli Scotton, si delinea la peculiarità bassanese come luogo di idee e di radicalismi contrastanti, che rendevano però assai vivace e dinamico il mondo cattolico locale. Tra i numerosi sacerdoti liberali – quasi tutti docenti al locale liceo-ginnasio, quindi formatori della futura classe dirigente – vi era Giuseppe Roberti, scrittore ed esule politico a Milano, elemento di spicco del cattolicesimo liberale bassanese, in contatto con i più noti scrittori dell’epoca, da Giordani a Manzoni. E insieme a lui Giambattista Malucelli, professore di istruzione religiosa nel ginnasio comunale, Giovanni Pavan, direttore e catechista della scuola elementare maggiore maschile, Celestino Bernardoni, cappellano all’Ospedale civile, Jacopo Ferrazzi, curato di S. Rocco e professore nel ginnasio comunale, Giacomo Gnoato e Giacomo Lanzini, ugualmente professori nello stesso ginnasio. A questi sacerdoti antitemporalisti si aggiunsero in seguito altri tre sacerdoti docenti dello stesso istituto: Antonio Marini, Giambattista Ferracina e Pietro Bonvicini. Se pochi, nel Veneto, erano i preti antitemporalisti, si può senza dubbio dire che a Bassano se ne concentrava un nucleo davvero consistente[26]. È dunque un gruppo di avanguardia quello dei cattolici liberali bassanesi, che senza dubbio lasciò il segno nella vita culturale della città: basti pensare alla pubblicazione del giornale «Il Brenta» e alla presenza nel 1866 dell’associazione Unione liberale, divenuta in quello stesso anno Società democratica progressista. Già il titolo stesso doveva fare orrore a quella parte del clero – maggioritaria nel Veneto – che poneva il progresso e la democrazia tra le cause dominanti della decadenza morale del popolo. Il potere temporale del papa era incompatibile con l’unità italiana, andavano predicando i sacerdoti progressisti: per Giovambattista Malucelli, ad esempio, la lotta al temporalismo «era assunta a valore di paradigma di una discriminante ancora più grande: quella fra reazione e progresso, fra dispotismo e libertà, fra dogmatismo gesuitico e libertà di coscienza»[27]. Tra questi sacerdoti era addirittura avversato il concetto di infallibilità pontificia, e si auspicava l’introduzione della libertà nella chiesa. Una posizione davvero radicale, che culminò con la pubblica esecrazione della condanna a morte, nello Stato pontificio, dei patrioti Monti e Tognetti, colpevoli di aver posto una mina in una caserma papale nel 1867, causando numerose vittime: la condanna di questi due patrioti fu definita dal Marini «una prova perentoria dell’adultero ed innaturale connubio tra i due poteri civile e religioso»[28]. Ce n’era abbastanza perché l’abate di Santa Maria in Colle sospendesse a divinis l’abate Marini, autore di questo severo giudizio sul fatale connubio della spada e della croce, inaccettabile ora per una coscienza moderna, ma che allora era comunemente recepito come verità inattaccabile. Lo stesso provvedimento fu preso per altri quattro sacerdoti, Malucelli, Pavan, Ferracina e Bonvicini[29]. Lo scontro all’interno del clero bassanese divenne durissimo: don Andrea Scotton definì l’abate Marini «prete forestiero, calatoci giù da alcuni anni a guastarci la gioventù e a disonorare la città che lo ospita»; il Marini lo querelò e il giornale clericale «Il Veneto cattolico» che aveva pubblicato l’attacco di Scotton al Marini fu condannato a pagare una multa e a rifondere i danni[30]. Una vicenda che ben esemplifica la situazione del clero locale, diviso tra sacerdoti in una posizione di avanguardia nel mondo cattolico di allora, e altri che sostenevano a spada tratta il potere temporale del papa e la sua infallibilità – decretata nel Concilio Vaticano I – e che si ponevano in letterale antitesi con i principi dell’odiato liberalismo e con ogni possibile apertura alla modernità. Tuttavia, dopo queste aspre lotte intestine il clero bassanese più democratico sembrò ripiegare su posizioni meno estreme e vi fu un riflusso verso idee più moderate, di cui erano esponenti i componenti della locale Giunta municipale. La fine del potere temporale del papa, dopo la presa di Roma, e l’esaurirsi del pathos legato ai problemi dell’unificazione, determineranno l’esaurirsi anche delle motivazioni che legavano tra loro i cattolici progressisti più avanzati. L’arciprete Domenico Villa, inizialmente su posizioni patriottiche, si spostò dopo il 1870 su una linea antiliberale e conservatrice[31]. La presa di Roma acuì fortemente lo scontro tra Stato e Chiesa, ed il mondo cattolico si pose in gran parte in posizione di arroccamento e di rifiuto dello Stato liberale. Emblematica di tale situazione fu la vicenda della nomina del nuovo abate mitrato di Santa Maria in Colle, dopo che nel 1872 il posto era rimasto vacante per la nomina vescovile a Parma di Domenico Villa. Le autorità ecclesiastiche, visto il contesto, avevano pensato bene di nominare a Bassano un abate apertamente antiprogressista, difensore del potere temporale. Si era pensato in un primo momento al già noto Andrea Scotton, che su questo terreno certo non era secondo a nessuno. Ma, come si è già osservato, la nomina dell’arciprete spettava anche al Comune di Bassano, che si oppose prima alla nomina di Andrea Scotton e poi, per tre volte, a quella dell’abate Gobbi, ritenuto «clericale fanatico e intransigente e per di più uomo debole ed inesperto talvolta, tal’altra prepotente ed intollerante»[32]. Alla fine, per la nomina dell’arciprete di Bassano, si dovette scomodare addirittura il papa, e Pio IX scavalcò così il vescovo di Vicenza, nominando direttamente mons. Gobbi. Ma il consiglio comunale non si dette per vinto, si divise al suo interno, aspettò ancora tre anni, e solo nel 1878 dette il suo placet, motivato anche dalla necessità di non perdere vantaggi economici statali a favore della parrocchia – ma anche dei poveri – che la mancata nomina dell’arciprete rischiava di compromettere[33]. E certo la nomina di un arciprete di tal fama antiprogressista la dice lunga sulle posizioni che le gerarchie ecclesiastiche dovevano avere nei confronti di una comunità religiosa così divisa – e dunque potenzialmente “pericolosa” per la compattezza delle anime – come quella bassanese: si doveva riportare l’ordine, e le anime dovevano essere guidate nel rispetto della disciplina e delle autorità ecclesiastiche, e non certo lasciate nel pericolo di idee che potevano scardinare la struttura gerarchica e monolitica della Chiesa. La nomina di Gobbi non portò la pace con le autorità comunali, e i dissidi tra questi due centri di potere si trascinarono ancora per parecchi anni, fino al primo ’900[34]. Gobbi – che era avversato da una parte del mondo cattolico bassanese –[35] resse la chiesa di Santa Maria in Colle fino alla morte, avvenuta nel 1925. Non è possibile, dai documenti finora rilevati, un documentato giudizio sul suo operato. Si può tuttavia constatare come si evolse il mondo cattolico bassanese tra fine ’800 e primo ’900, rilevando come assai numerose siano state le iniziative dei cattolici in questi decenni, con la fondazione di nuove istituzioni o il consolidamento di quelle già esistenti: troviamo in città centri aggregativi per la gioventù, come il patronato San Giuseppe, scuole private, ricreatori, centri per l’assistenza per le ragazze «pericolanti» come l’istituto femminile Sant' Anna, circoli culturali e caritativi, orfanotrofi, come il «Cremona», maschile, e il «Pirani-Cremona» - sorto fin dal ‘700 - femminile. Anche la Casa di ricovero per gli anziani, diretta dal 1863 dalle suore della Divina volontà di Gaetana Sterni, le Cucine economiche, le Società di Mutuo soccorso erano in mano ai cattolici. Assenti dalla vita politica dopo la pronuncia del non expedit da parte di papa Pio IX, i cattolici si stavano impadronendo di tutti gli spazi lasciati liberi dallo Stato, facendo opera di supplenza nell’assistenza, nell’educazione della gioventù, e svolgendo un indubbio ruolo di utilità sociale. Se ne rendevano ben conto gli avversari, che vedevano i cattolici insediarsi ovunque, e ne sottolineavano i risvolti che secondo loro erano negativi, cioè la confessionalizzazione della società[36]: l’attivismo del clero e dei cattolici impegnati era un fatto innegabile, e le posizioni che gli anticlericali avevano raggiunto in città erano seriamente compromesse. L’avanzata del partito cattolico, anche se politicamente non rappresentato, ma organizzato nell’Opera dei Congressi e nella miriade di iniziative sparse sul territorio, era di fatto ormai una realtà che contrassegnava in modo profondo la società bassanese. Se ne ha un riscontro effettivo nella presenza cattolica nelle amministrazioni locali: nel 1886, per la prima volta, i cattolici vinsero le elezioni amministrative con maggioranza assoluta[37]. Ma un altro fenomeno si stava affermando in campo cattolico, di fondamentale importanza per l’educazione della gioventù e per la formazione di quei militanti cattolici che informeranno di sé la vita politica locale: lo sviluppo del movimento cattolico bassanese con l’attività del Circolo San Bassiano, sorto nel 1874, e via via rafforzatosi nell’ambito dello sviluppo del movimento cattolico che nel Veneto era particolarmente attivo. Nel 1886 si tenne a Bassano un’adunanza generale dei circoli della diocesi, nella quale si affrontarono i temi dei rapporti con l’Opera dei Congressi, e la creazione dei «Semenzai», il cui nome è chiaramente esplicativo della loro funzione e delle finalità di questi circoli: bisognava educare la gioventù per farne dei militi di Cristo. I circoli potevano avvalersi delle strutture già poste in essere dalle parrocchie, che occupavano il territorio con una capillare struttura insediativa: non a caso l’adunanza si tenne presso il patronato San Giuseppe di Bassano. Anche a Nove, nel 1866, era stato fondato un circolo cattolico che l’anno successivo contava già 33 soci[38]. Gli scopi di queste associazioni si possono rilevare dallo Statuto del circolo di Nove: gli aderenti al circolo dovevano prestare sorveglianza presso il patronato festivo, dove si radunavano i fanciulli allo scopo di «scansarli dai pericoli e dagli inciampi che [sic] incorrerebbero se fossero in balia di sé medesimi». Si doveva poi sorvegliare la sezione Giovani, perché i ragazzi educati nel patronato non perdessero «i buoni frutti raccolti nel patronato» medesimo. I soci dovevano impegnarsi inoltre, ogni domenica, ad insegnare la dottrina cristiana; dovevano raccogliere denaro per soccorrere i chierici poveri, in modo da assicurare al Seminario la presenza di possibili futuri sacerdoti; dovevano inoltre impegnarsi nella recita quotidiana del Rosario; era loro compito, infine, prestare sorveglianza durante le sacre funzioni, in modo che i giovanetti non si distraessero in chiesa, accompagnandoli poi a casa dopo le sacre funzioni, «per torli all’inciampo dei pericoli»[39]. Si profilava già dunque, fin dal secondo ’800, quella militanza cattolica che si sarebbe assai sviluppata nella prima metà del ’900 con la nuova Azione cattolica voluta da Pio XI con gli Statuti del 1923: un’associazione di militanti attivi, molto motivati, tesi sia all’azione nel sociale come alla propria perfezione personale. Un “clero di riserva”, come sarà definito[40], che avrà un’importanza fondamentale nello sviluppo non solo del movimento cattolico, ma anche di una mentalità, di un modo di fare – attivo, non più dedito solo alla devozione, ma presente vivacemente nella società – che avrà notevole importanza nella formazione delle masse cattoliche venete. Nell'800, tuttavia, questo movimento è ancora in fase embrionale, pur se in espansione: non si poneva in contrasto con le preesistenti aggregazioni di tipo devozionale e tuttavia si proponeva come frangia militante avanzata del mondo cattolico, con il compito di diffondersi in ogni parrocchia, impegnato in una santa battaglia per la conquista cristiana della società e per la difesa del papa. L’opera di questi circoli divenne via via sempre più attiva, avviando una vera e propria campagna di formazione della gioventù con una serie di iniziative che intuitivamente si servivano di tutti i moderni mezzi di aggregazione di massa: non solo adunanze e preghiere, ma anche occasioni ricreative, come passeggiate festive, rappresentazioni teatrali, gare di emulazione con piccole composizioni a premio. Non mancavano gli stimoli culturali – sempre ovviamente inseriti in ambito cattolico – come la creazione di piccole biblioteche e la diffusione di giornali. Le pratiche di pietà, propugnate dalle più antiche confraternite, diventavano così solo un corollario – anche se importante – di tutta una serie di attività che miravano ad aggregare totalmente il giovane alla Chiesa. Per questi giovani battersi per il trionfo della religione e per la difesa del papa diventava così uno scopo vitale, e per questo offrivano le loro energie e il loro entusiasmo. Vi era un nemico da combattere, ed era la stampa cattiva, la massoneria, i vizi immorali, il turpiloquio. Le opere dei circoli dovevano essere rivolte in tre direzioni: quelle che riguardavano Dio, quelle che riguardavano il prossimo, quelle che riguardavano i giovani ascritti alla società. Si doveva riportare Cristo nella società, e dunque i giovani dei circoli cattolici dovevano battersi per la santificazione delle feste, promuovere pubbliche manifestazioni di fede, processioni, pellegrinaggi, accompagnare decorosamente il Viatico agli infermi, estendere e favorire la raccolta del denaro di S. Pietro per i chierici poveri. Per le opere riguardanti il prossimo, gli iscritti dovevano occuparsi degli Oratori, della Dottrina cristiana, della stampa, delle scuole cattoliche, dei patronati per i figli del popolo, dei “Semenzai” (per i giovani dai 12 ai 14 anni), delle Società operaie; dovevano compiere visite agli ammalati negli ospedali, possibilmente impegnarsi in ambito caritativo aderendo anche alle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli. Dovevano inoltre vivere cristianamente nel vero senso della parola, combattere e vincere le passioni, ritemprare il carattere, essere ubbidienti all’autorità ecclesiastica, frequentare i sacramenti, pregare e fare sacrifici, senza i quali non vi può essere virtù. Ce n’era abbastanza per formare non solo dei militanti, ma dei veri e propri aspiranti ad un vita “santa”. Sarà infatti la santità la meta che si prefiggeranno i giovani cattolici, un imperativo che sarà ripetuto di continuo nella prima metà del ’900 dai giovani che continueranno quest’opera di militanza nelle schiere della nuova Azione cattolica[41]. Un fattore importante di coesione, ma anche di allargamento degli orizzonti locali, era dato dal fatto che i giovani cattolici bassanesi avevano continui contatti con gli altri circoli cattolici della diocesi, e quindi si attuava uno spirito di emulazione, di collaborazione, di aggregazione che rafforzava ancor più lo spirito di militanza. La collaborazione tra i circoli dava la possibilità di avere relatori prestigiosi alle adunanze, di scambiare esperienze, di sentirsi parte di una realtà più ampia di quella offerta dall’ambito locale. Si creavano così le premesse per lo sviluppo di quel movimento cattolico che, dopo i nuovi Statuti dell’Azione cattolica del 1923, mirava a radicarsi in tutta la popolazione e che avrebbe offerto alla Chiesa cattolica un vero e proprio «esercito all’altar», come recita una nota canzone dei militanti dell’Azione cattolica. Per quanto concerne la vita religiosa bassanese tra ultimo ‘800 e primo ‘900 non abbiamo molta ricchezza di notizie dai dati della prima visita pastorale del vescovo Feruglio, che visitò la principale parrocchia di Bassano nel 1895[42](fig.4).

4VescovoAntonioFeruglio

4. Ambito vicentino del XIX-XX secolo, Ritratto del Vescovo di Vicenza Antonio Feruglio. Vicenza, Seminario Vescovile. Il vescovo Feruglio, che resse la Diocesi dal 1893 al 1910, visitò Bassano nel 1895. Il questionario della visita registra 34 chiese ed oratori, mentre i sacerdoti risultano essere in tutto 28.

Il questionario della visita registra 34 chiese ed oratori, mentre era ancora diminuito – rispetto al 1864, data della visita precedente – il numero dei sacerdoti, che risultano essere in tutto 28. L’abate Gobbi non si mostra molto loquace nel descrivere il suo popolo e il suo clero, non dà nemmeno il numero delle anime, e tanto meno fa cenno alcuno alle rendite della parrocchia. Non sono fornite indicazioni precise nemmeno sulla Dottrina cristiana, ma «il vescovo trovò ben preparati tutti i fanciulli»[43]. È segnalata la presenza di 4 confraternite e 5 pie unioni; tra le associazioni, sono segnalate la Società cattolica operaia e quella delle Signore per gli interessi cattolici presso la chiesa dell’Annunziata[44].   

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