Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il tempo di riorganizzare le parrocchie a Bassano, come quelle di tutta la diocesi, era certamente venuto con l’arrivo in diocesi di mons. Ferdinando Rodolfi (fig.8),

8VescovoFerdinandoRodolfi

8. Giuseppe Stocchiero (attr.), Ritratto del Vescovo Ferdinando Rodolfi. Vicenza, Museo Diocesano. Mons. Rodolfi resse la Diocesi dal 1911 al 1943 e fu un vescovo dinamico e innovatore.

un vescovo dinamico e innovatore quanto altri mai. Giunto a Vicenza da Pavia nel 1911, abituato ad un ambiente aperto ai problemi sociali e al cattolicesimo liberale, mons. Rodolfi, matematico di formazione, non era stato gradito proprio per nulla dal nucleo del clero intransigente e conservatore vicentino, con i bassanesi Scotton in testa, ai quali si affiancava, oltre ad un gruppo di professori del Seminario, come mons. Giorgio De Lucchi, anche l’abate mitrato di Bassano mons. Gobbi. La lotta al nuovo vescovo fu dura e senza esclusione di colpi: da parte degli Scotton si giunse ad accusarlo persino dell’eresia di episcopalismo, facendogli una guerra tale – con alcuni supporti vaticani, quale quello di mons. Gaetano De Lai – da far desiderare al nuovo vescovo di fuggire dalla diocesi. Ci volle la morte di Pio X, e la salita al soglio pontificio di Benedetto XV, che stimava assai il Rodolfi, perché si ponesse fine a questa battaglia, che indeboliva le schiere cattoliche e le dissanguava in lotte intestine[64]. Ma si può dire che furono questi gli ultimi epigoni di una tradizione di intransigentismo che oramai aveva fatto il suo tempo: «La Riscossa» degli Scotton fu fatta trasferire armi e bagagli a Torino, e Bassano (insieme con Breganze, dove gli Scotton erano stati inviati), cessò di essere associata alla crociata contro la modernità a causa del comportamento di una parte – certo la più rumorosa – del suo clero. Era giunta ormai l’ora di tessere la grande tela dell’organizzazione dell’Azione cattolica, “la pupilla” degli occhi di Pio XI (fig.9),

9RitrattoPioXI

9. Ritratto di Pio XI. anome di Pio XI, riorganizzò nel 1923 il laicato nell’Azione Cattolica.

che volle riorganizzare il laicato secondo una struttura gerarchica e accentrata, suddivisa per sesso e per età, e seguita rigorosamente dal clero. Con i nuovi Statuti del 1923 i laici non erano più invitati a scegliere la pia unione o confraternita che preferivano[65], ma venivano arruolati nel settore maschile o femminile, a seconda dell’età. Vi erano gli Uomini cattolici, la Gioventù maschile (dove i maschi rimanevano fino ai 35 anni, se non sposati), le Donne cattoliche, la Gioventù femminile, suddivisa a sua volta in varie sottosezioni (aspiranti, beniamine) a seconda dell’età. Tutti i fedeli, compresi gli studenti, universitari e medi, e i laureati, erano divisi per categorie e dovevano far parte del mondo organizzato e compatto dell’Azione cattolica. Volendo rappresentare graficamente l’organizzazione della nuova Azione cattolica voluta da Pio XI, può essere utile questa illustrazione tratta dal Manuale di Azione cattolica del Civardi [66](fig.10).

10organizzazioneAzioneCattolica

10. L’organizzazione dell’Azione Cattolica. La tavola è tratta da L. Civardi, Manuale di azione Cattolica II: La pratica, Vicenza, Tip. Rumor, 1936 p. 98 e descrive le sezioni organizzative dell’Azione Cattolica.

Con questa organizzazione la Chiesa si apprestava a far fronte al totalitarismo fascista, opponendogli un mondo cattolico che mirava ad una fede totale dell’individuo in Cristo e nella Chiesa, e non lasciava dunque molto spazio alla penetrazione delle idee del regime. E la solida organizzazione cattolica della diocesi vicentina – vitalizzata dall’energica azione del nuovo vescovo e dal clero più aperto e attivo che egli si scelse come collaboratore – faceva sì che le autorità prefettizie riferissero come questo territorio vicentino fosse la provincia «più riottosa» agli ordini di Roma negli anni del regime[67]. A Bassano l’organizzazione dell’Azione cattolica sembra tuttavia che stentasse ad attecchire, anche se dal 1926 mons. Angelo Dalla Paola, molto attivo nel campo associativo, era stato mandato a sostituire il defunto mons. Gobbi. Nel 1929 non esisteva ancora alcun associato agli Uomini cattolici, mentre era presente la Gioventù maschile con 23 «effettivi» e 25 «aspiranti»; abbastanza numeroso era invece il gruppo delle Donne cattoliche, che contava 93 iscritte, la Gioventù femminile aveva 42 «effettive», 10 «aspiranti» e 103 «beniamine», il che faceva ben sperare per i futuri quadri associativi femminili[68]. Dai dati statistici degli anni successivi risulta che la situazione associativa andava migliorando dal punto di vista organizzativo: viene costituita anche l’Unione uomini, che nel 1932 conta 40 iscritti, mentre sono in aumento anche tutti gli altri rami associativi[69]. Bisogna tener conto, per valutare la portata di questi dati, che associarsi all’Azione cattolica non era una scelta facile, soprattutto per i maschi, perché i fascisti, consci del fatto che questa associazione sottraeva loro soprattutto i giovani, avevano dichiarato guerra all’Azione cattolica e nel 1931 avevano assalito la sede centrale di Vicenza, buttando nel fiume, a Ponte Pusterla, tutti gli arredi e finanche il crocefisso. Vari assalti si erano avuti in molte località della diocesi, come nel resto d’Italia, in un momento in cui i rapporti tra Chiesa e regime sembravano potersi incrinare. Il papa Pio XI aveva pubblicato l’enciclica Non abbiamo bisogno, in cui condannava le violenze sull’Azione cattolica, e tuttavia – asseriva – «noi non abbiamo voluto condannare il partito ed il regime come tale»[70]. Le autorità della Chiesa si muovevano insomma in modo assai cauto: pur protestando per le violenze subite tenevano a non rompere del tutto i rapporti con il regime. Anche a Bassano vi erano stati atti di violenza eclatanti: il prefetto di Vicenza, nella sua relazione del 31 maggio 1931, riferiva che «In Comune di Bassano ignoti […] che ritiensi appartenenti gruppo Azione Dalmata penetrati teatrino ricreatorio Parrocchiale bruciarono scenari, libri et riviste religiose producendo danno lire 1.500 circa[…]. Questo capoluogo sonosi verificati incidenti fra ex appartenenti Partito Popolare et fascisti». Anche nei paesi vicini di Marsan e di Marostica «quattro individui non identificati […] penetrarono in canonica rompendo vetrate di tre porte […] con danno di lire 100 circa»[71]. Ma il fatto più clamoroso fu il rogo dell’enciclica del papa Non abbiamo bisogno fatto a Bassano nella pubblica piazza, «proprio come Lutero bruciò la bolla di Leone X nella piazza di Vitemberga», come denunciava a chiare lettere il vescovo Rodolfi, in una celebre lettera di protesta contro le violenze del fascismo scritta dopo i fatti clamorosi del 1931: una lettera che non ha eguali in tutto l’episcopato italiano, una requisitoria durissima e sdegnata contro i fascisti che avevano colpito l’Azione cattolica vicentina commettendo reati contemplati dal codice penale (fig.11). Era una vera e propria condanna del regime fascista, e non solo degli episodi di violenza. Un fatto unico, che pone la storia del cattolicesimo vicentino in una luce particolare rispetto a quella di tutto il resto dell’Italia[72]. Iscriversi all’Azione cattolica poteva anche comportare la perdita della tessera del fascismo, indispensabile, all’epoca, per poter vivere; nel 1931 si era preteso addirittura da tutti i cattolici un giuramento di fedeltà al fascismo, dichiarando incompatibile appartenere ad entrambe le associazioni, quella fascista e quella cattolica, sottoscrivendo la seguente formula: «Dichiaro sul mio onore di sentirmi oggi più che mai fedele al giuramento prestato di dedizione assoluta alla causa della rivoluzione fascista. Ho approvato con piena coscienza i provvedimenti del Governo Nazionale contro l’Azione Cattolica, come conseguenza logica e necessaria delle mene politiche che venivano tramate sotto l’usbergo della religione. Ho rassegnato pubblicamente le dimissioni, perché convinto che l’appartenere all’Azione Cattolica non può più conciliarsi col mio spirito di credente, di italiano e di fascista. Confermo di volere solo servire agli ordini del Duce, la causa del Fascismo che è la causa dell’Italia vittoriosa». Il vescovo Rodolfi, però, nel «Bollettino della diocesi di Vicenza», sottolineava: «Nella formula si parla di giuramento, di religione e di credente; ed è necessario che il Vescovo faccia qualche dichiarazione su punti di sua competenza. Chi firma una dichiarazione deve comprenderla bene. Si dichiara: 1° di confermare un giuramento di dedizione assoluta alla causa della rivoluzione fascista; e si avverta bene che dedizione assoluta significa dare, senza alcuna riserva, tutto se stesso, la attività, i danari, la vita medesima. 2° Si dichiara che l’appartenere all’Azione Cattolica non può più conciliarsi col mio spirito di credente, e questo è contro la esplicita attestazione del Sommo Pontefice che vuole l’Azione Cattolica e la definisce utile e necessaria pei credenti. Chi firma si mette in opposizione diretta alla volontà del Papa e non è più cattolico. 3° Si asseriscono mene politiche tramate dall’Azione Cattolica sotto l’usbergo della religione, ciò che è falso. Dichiariamo pertanto illecito ad ogni cattolico il sottoscrivere la dichiarazione sopra citata. I Parroci daranno lettura ai fedeli di questa nostra dichiarazione»[73]. Nell’estate del 1931 si moltiplicarono alcune significative manifestazioni di avversione al regime in vari comuni del Vicentino, ma a Bassano non si segnala alcun fatto di questo genere[74]. Tuttavia i fascisti tenevano sotto tiro i giovani e gli uomini cattolici, e provavano probabilmente una grossa soddisfazione nel poter privare della tessera del PNF qualche cattolico, cosa che successe anche a Bassano, come in altre parti della diocesi. Nel 1932 due giovani, – uno «vice segretario comunale, un altro banchiere […] – si erano visti arrivare a casa invito di consegnare al fascio di Bassano divisa di avanguardista, tessera e distintivo perché non avevano firmato il famoso giuramento del luglio 1931 contro l’Azione cattolica!». La denuncia al vescovo veniva da mons. Bruno Barbieri, vera “anima” dell’Azione cattolica vicentina, più volte censurato dai fascisti e privato della tessera di giornalista per l’ascendente che esercitava soprattutto sui giovani. «Strano non è vero? – scriveva al vescovo don Barbieri commentando l’accaduto – […] E tante altre piccole cose che seccano, seccano. Specialmente quando mons. Roveda [inviato dalla Presidenza centrale di Azione cattolica] viene a dire nella adunanza assistenti di Giunta che la S. Sede vede volentieri che si iscrivano i giovani alle organizzazioni fasciste. Ma se non li vogliono? Ma se mandano via anche quelli che ci sono?» si sfogava don Barbieri, che chiedeva al vescovo di «chiarire la situazione»[75]. Il quadro bassanese, come si può rilevare da questi pur scarni cenni, era piuttosto complesso: era in atto una guerra sotterranea tra Chiesa e fascismo, una lotta per l’accaparramento delle anime e soprattutto della gioventù. Una guerra tenuta sotto controllo a livello di vertice, per la volontà della Chiesa e del Governo di non venire ad aperto conflitto, ma vissuta sul territorio non senza qualche difficoltà, anche se si era ben lontani dal punire i cattolici col confino o con la galera, come era stato fatto coi socialisti e con i comunisti. Il clero bassanese – secondo Giampietro Berti – «non brillò per la sua avversione al regime», e tuttavia l'azione di qualche sacerdote - come don Ferdinando Dal Maso, che dal 1927 era stato inviato ad insegnare a Bassano - teneva accesa la fiaccola della coscienza civile. nel 1932 anche i giovani del Circolo S. Bassiano – Bortolo Zonta, Quirino Borin, Bruno Etro, Antonio Bettiati, Silvio Bertolini e Angelo Bellotti – che pure avevano cercato una certa autonomia nei confronti del totalitarismo di regime, dovettero «venire a più miti consigli» nei confronti del fascismo, essendo stati «pesantemente ammoniti»[76]. Questa situazione conflittuale valorizza ancor più le scelte associative, che evidentemente non erano “indolori” sotto il profilo politico-sociale. I soci che aderivano, tuttavia, non erano molti se raffrontati alle altre realtà diocesane: analizzando i dati dei 33 vicariati della diocesi, risulta che quello di Bassano si qualificava al 28 posto nella classifica del rapporto popolazione e associati. Nel 1932-33 il totale degli iscritti risulta essere di 526: non molti, rispetto alle 9375 anime della parrocchia, il che conferma ancora una situazione particolare del cattolicesimo bassanese, ricco sì di manifestazioni di adesione alla Chiesa, ma non così ricco quantitativamente come molte altre zone della diocesi vicentina[77]. La situazione a Bassano pare non fosse del tutto pacifica, secondo le notizie che pervenivano a mons. Barbieri, e che denotano una certa rissosità sul piano locale. Ce ne dà testimonianza una lettera del “Prefetto” dell’oratorio parrocchiale Giovanni Bettiati, spedita nel 1936 a mons. Bruno Barbieri (che la passava al vescovo), in cui si lamentava una grande «demoralizzazione» di molti fedeli e dei soci di Azione cattolica per il cattivo comportamento di un sacerdote: si denunciava il fatto che questi fosse molto più assiduo nel far funzionare il cinema, tralasciando persino le confessioni «della vigilia dei santi» e le sacre funzioni: ormai si era del tutto votato a questa industria cercando di ottenere buoni guadagni e di attrarre molto pubblico: concedeva persino sconti «specialissimi per gli Allievi Ufficiali, per gli alpini in congedo e si rifiutava di uno sconto non solo ai soci di A.C., ma a quelli stessi del S Bassiano»; inoltre proiettava i film – persino nel giorno dei morti – «un’ora prima della fine delle funzioni parrocchiali»[78]. «Mi fa pena l’Azione Cattolica di Bassano – scriveva mons. Barbieri al vescovo Rodolfi –. Ma sa che è uno sconforto?» Il vescovo, dal canto suo, non lasciò correre la cosa, e di suo pugno annotò che bisognava fare un’ispezione il loco[79]. Malgrado queste beghe, risulta però che gli iscritti erano molto impegnati: nel 1937 Luigi Gedda, presidente nazionale dell’Azione cattolica, così scriveva al vescovo Rodolfi: «ci compiacciamo vivamente per il posto conquistato dai bravi giovani della sua diocesi. Ad essi va il plauso caloroso della Presidenza centrale»: Vicenza era infatti giunta seconda a livello nazionale, dopo Verona, tra le diocesi con più di 200 parrocchie. Aveva vinto il primo premio per gli «effettivi» della Gioventù maschile la parrocchia di Novale, ma anche Bassano si era distinta con la conquista di ben tre primi premi per «aspiranti», «effettivi», «studenti»[80]. La Gioventù femminile, in particolare, sembrava essere molto attiva: alla settimana della giovane tenutasi a Bassano dal 18 al 25 ottobre 1942, con dieci corsi giornalieri, parteciparono 1.500 ragazze, cioè il 50% delle iscritte[81]. Il cattolicesimo non trascurava nemmeno quella che oggi definiremmo formazione permanente degli adulti, con la presenza a Bassano della dinamica Scuola di Cultura Cattolica – un’organizzazione di matrice vicentina, diffusasi poi in tutto il Triveneto[82] – che ogni anno organizzava conferenze sui più svariati temi, alcuni apologetici, altri letterari, storici, artistici. Era un’istituzione che richiamava oratori di grido, giornalisti cattolici, predicatori famosi, o docenti provenienti da varie università, che le Scuole di cultura cattolica si potevano permettere consorziandosi, e gestendo una fitta rete di relazioni e di aiuti reciproci. In questo modo – grazie alla ragnatela di attività intessute su un vasto territorio – era possibile avere istituzioni ben organizzate, gradite al pubblico che, stando ai commenti relativi ad alcune città del Veneto, interveniva numeroso a queste iniziative[83]. Potevano giungere così anche nei paesi di provincia personalità importanti del mondo cattolico, quali Giuseppe Lazzati, padre Agostino Gemelli, Igino Giordani, uno dei primi collaboratori di Sturzo e direttore fino al 1924 de «Il popolo nuovo», settimanale del PPI, Giorgio La Pira, professore all’Università di Firenze. Nella scelta si aveva cura, come scrive don Bruno Barbieri, che l’oratore fosse elemento «tutto nostro»[84]: scelte che fanno intuire un mondo cattolico molto attivo, colto, compatto, che se non combatteva apertamente il regime, certo non vibrava, nella maggior parte dei casi, in sintonia con gli argomenti prediletti dal fascismo. A Bassano convergevano associati dell’Azione cattolica e dei laureati cattolici da tutto il Veneto per frequentare gli Esercizi spirituali nella Villa San Giuseppe (fig.12),

12VillaSGiuseppe

12. Villa San Giuseppe, sede della Compagnia di Gesù. Bassano del Grappa. La villa in riva al Brenta era punto di incontro e preghiera. Vi si tenevano gli esercizi spirituali ignaziani.

che era punto di riferimento, ovviamente, anche per i bassanesi. Erano occasioni particolari, queste degli “Esercizi”, in cui ciascuno riservava del tempo a se stesso, in silenzio, pensando solo alla propria perfezione personale. Malgrado il silenzio imposto ai partecipanti, si creava tuttavia uno spirito di gruppo, per la consapevolezza di stare vivendo un’esperienza tutta particolare: noti professionisti – come ricorda Celeste Bastianetto, avvocato veneziano che si recava spesso a fare gli “esercizi” a Villa San Giuseppe – si ritrovavano fianco a fianco, nella preghiera; avvocati che fino ad un giorno prima si erano visti nelle aule dei tribunali, magari patrocinando parti avverse, si sedevano allo stesso desco, e in silenzio, come si usava fare nelle congregazioni religiose, mangiavano ascoltando letture spirituali[85]. Il mondo cattolico sapeva dunque creare numerose occasioni che avevano scopi molteplici: formative, culturali, aggregative. Il cristiano impegnato non si sentiva solo, ma parte di un mondo in cui si riconosceva, in cui trovava persone che la pensavano come lui, che pregavano con lui. Negli anni del fascismo non si può dire che vi fu una lotta aperta al regime, anzi, come si è visto, la Chiesa auspicava che i cattolici si iscrivessero anche alle associazioni fasciste: ma nella corsa all’accaparramento delle coscienze la Chiesa aveva certamente strumenti più sperimentati e persuasivi, forte del suo millenario radicamento sociale. Non si può dire che i cattolici predicassero l’antifascismo, ma essi appartenevano ad un mondo “altro”, i cui valori di perfezione spirituale, di ritiro in se stessi nella meditazione e nella preghiera, erano ben lontani dall’attivismo e dalla retorica maschilista predicata dal regime. Ai giovani di Azione cattolica, anzi, si predicava di non isterilirsi «nell’eresia dell’azione», ed era questo un richiamo continuo dell’assistente diocesano don Bruno Barbieri: il raccogliersi nella meditazione, nel silenzio, era antitetico alla mistica dell’azione per l’azione, all’esaltazione della giovinezza, della velocità e dell’azione audace[86]. Per molti motivi, dunque, si può ravvisare una contrapposizione ideologica di fondo tra il modo di pensare dei cattolici e le teorie fasciste: erano due universi per molti aspetti non sovrapponibili. Il cattolico poteva ubbidire agli ordini dello Stato, ma non poteva dargli tutta, e incondizionata, la sua fede. La mistica fascista, così vivacemente insegnata, non poteva convivere con l’idea di un milite per la fede, con «l’esercito all’altar» che l’Azione cattolica pretendeva di formare. Gli ideali di purezza, di fedeltà assoluta alla chiesa e al papa, l’obiettivo della “santità” che i giovani di Azione cattolica si imponevano come ideale di vita non potevano convivere alla pari con la fede nel fascismo. Era una lotta che escludeva dunque a priori i principi fondanti della dottrina fascista, e i fascisti locali, che cercavano talvolta di togliere la tessera ai giovani di Azione cattolica, o che avevano assalito le loro sedi, l’avevano forse confusamente intuito. Tra la chiesa e il fascismo si può ben a ragione supporre che tra i cattolici bassanesi, come nel resto del Vicentino, le simpatie maggiori andassero alla prima. Lo si sarebbe visto dopo la caduta del regime quando molti cattolici avrebbero partecipato alla Resistenza. La formazione avuta nelle parrocchie, tra le file dell’Azione cattolica, nelle scuole cattoliche, pur se non aveva mirato a formare degli antifascisti, avrebbe comunque giocato un ruolo importante per la formazione futura, anche politica, degli iscritti.

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