Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Al momento del passaggio al Regno italico del Veneto, l’ospedale di Bassano, che aveva ormai quasi quattro secoli di esistenza, era ospitato dal 1777 nel complesso dell’ex convento di San Francesco, ossia nel centro della città. Come era stato in precedenza, il Consiglio municipale nominava una commissione di tre suoi componenti, che cambiavano di due terzi ogni anno, per la direzione e la supervisione della gestione ospedaliera. Dal Consiglio erano nominati anche tutti i dipendenti dell’ospedale tranne gli inservienti, che erano assunti dal «governatore» (economo). La parte amministrativa era affidata a un «deputato cassiere» e un «deputato scontro» che percepivano rispettivamente 700 e 372 lire venete all’anno e un «quaderniere» pagato 136 lire venete annue. L’assistenza sanitaria era garantita da un medico pagato 620 lire venete e da un chirurgo litotomo al quale erano assegnate 868 lire venete. Gli inservienti erano quattro (due uomini e due donne) e il loro salario annuale era (dal 1805) di 240 lire venete per gli uomini e 144 lire venete per le donne. L’assistenza spirituale era affidata a un cappellano, anch’esso stipendiato. Nell’ospedale era stata attivata una scuola teorico-pratica di chirurgia con dimostrazioni di anatomia, e potevano essere accolti in due grandi sale fino a quaranta degenti, ma non erano ammessi, salvo rare eccezioni, i malati cronici e gli incurabili. Provvisoriamente venivano ricoverati anche dei malati di mente ma si cercava di avviarli il più presto possibile agli appositi istituti. La spesa annua per le degenze era di 14.600 lire, alle quali andava sommato il fondo di 900 lire venete, derivante da alcuni lasciti testamentari, da cui venivano tratte piccole somme da assegnare a dei malati poveri perché si curassero a casa. Mancava un laboratorio farmaceutico interno e i medicinali venivano forniti dallo speziale Giovanni Battista Cimberle, titolare della farmacia in piazza San Giovanni, con una spesa annua di circa 4.000 lire venete[39]. Il funzionamento pratico della struttura era affidato all’economo, incarico che l’amministrazione cittadina assegnava in appalto e che comportava l’obbligo di occuparsi del vitto dei ricoverati, della pulizia dei locali e la loro manutenzione, della cura della biancheria, dell’assunzione e del licenziamento degli inservienti, della tumulazione dei degenti deceduti, anticipando di tasca propria le somme necessarie che venivano poi rimborsate; il tutto per il compenso annuo di 1.860 lire venete. Dal 1798 tale carica era tenuta da Vienna Scolari, vedova di Vincenzo Vivaldi, il quale era titolare nel 1769 di un «magazen de vin, legname, caffè et acques». che l’aveva preceduta nella funzione dal 1778. La Scolari fu affiancata nel 1806 da un altro economo, tale Pellegrino Dal Bello, responsabile dei soldati ricoverati, che dal 1813 la sostituirà anche nella gestione di quello civile. Fu proprio la presenza militare a mettere in grosse difficoltà la cassa ospedaliera, tanto che alla fine del 1807 si temeva che l’ospedale fosse alla fine costretto alla chiusura per mancanza dei fondi indispensabili al suo funzionamento. Nel 1805 era stato installato un ospedale militare austriaco con cinquanta posti letto nell’antico monastero benedettino di San Fortunato, sotto la direzione del tenente medico Lang, ma le spese di ristrutturazione e di mantenimento non erano mai state rimborsate dal governo imperiale all’amministrazione cittadina. I Francesi decisero invece di ricoverare i loro soldati in città e fecero adattare a tale scopo un altro locale del complesso di San Francesco, con ulteriori costi per la Municipalità. L’afflusso di militari ammalati nel biennio 1806-1807 superò quello dei civili, attestandosi mediamente sulle cinquanta presenze giornaliere, costringendo gli economi a ridurre i ricoveri dei civili per la mancanza di spazio e, soprattutto, di denaro sufficiente. Il governo italico infatti non aveva ancora inviato nessuna somma per le spese sostenute dalla città e dall’ospedale e i 1.100 franchi promessi dall’Agente degli ospedali civili non arrivarono né nel 1807 né nell’anno successivo. Per tamponare la situazione già nel gennaio 1807 si era dovuto fare ricorso ad un fondo di riserva di 10.000 lire venete depositato presso il Monte di Pietà, ma anch’esso si esaurì fin troppo in fretta, mentre il totale dei debiti ammontava a 16.333 lire. Il nosocomio era creditore a sua volta del comune bassanese della forte somma di 24.386 lire italiane e 48 centesimi, comprensiva degli interessi maturati, per il prestito fatto all’amministrazione cittadina durante l’occupazione francese del marzo 1801, alla quale si aggiungevano altre 867 lire italiane e 31 centesimi per censi non pagati. Ma le casse cittadine non potevano a loro volta saldare questi debiti, oberate com’erano dalle spese per il mantenimento della guarnigione militare[40]. Nel mese di settembre il primo e secondo medico e il secondo chirurgo si dimisero perché da tempo non venivano pagati e tutto rimase sulle spalle del primo chirurgo, in seguito affiancato da un nuovo medico e un altro chirurgo. Negli stessi giorni erano state avviate le procedure per il pignoramento delle proprietà dell’ospedale per pagare i suoi debiti con i fornitori. Il primo dicembre, i due economi chiedevano ai presidenti dell’ospedale di essere rimborsati delle spese di mantenimento dei soldati ricoverati, ascendenti a 15.065 lire venete (pari a 7.708 lire italiane e 14 centesimi), minacciando di rinunciare all’appalto. Per scongiurare il pericolo della chiusura definitiva, il podestà Andrea Tattara si era appellato già un paio di mesi prima al viceprefetto, che autorizzò il diffalco dal bilancio del nosocomio del debito per l’assistenza sanitaria ai soldati ascendente a 13.463 franchi, ponendolo a carico dello Stato. Nel 1808 la situazione economica rimase molto precaria e i debiti continuavano ad assillare gli economi dell’istituzione e gli amministratori cittadini, anche se pian piano il governo iniziò a rimborsare le spese sostenute in precedenza per esso, permettendo la, pur stentata, sopravvivenza dell’ospedale. Fu probabilmente per le grosse difficoltà finanziarie che pesavano su Bassano, che non venne realizzato il progettato trasferimento da San Francesco all’ex convento dei Riformati (individuato dopo che era tramontata l’idea di utilizzare l’ex monastero di san Fortunato), che era stato ceduto dal demanio statale alla città con decreto del 5 giugno 1808. Quella di spostare l’ospedale fuori dal centro cittadino era stata una proposta avanzata l’anno precedente dalla Municipalità, dato che San Francesco attrezzato per una quarantina di ammalati ne ospitava a volte fino a centoventi e la sua posizione centrale poteva essere causa di propagazione di malattie contagiose. Inoltre, la liberazione dei locali di San Francesco avrebbe permesso il trasporto lì del ginnasio pubblico dalla Casa Zelosi, utilizzata in parte anche come caserma. Il complesso appena ottenuto offriva le possibilità di contenere circa duecento posti letto e di essere vicinissimo al centro e, al contempo, sufficientemente isolato da esso. Questo progetto però si dovette scontrare con i molti problemi che per diversi anni attirarono l’attenzione cittadina verso altre necessità, finendo per essere al momento accantonato. Così fu ancora la vecchia sede ospedaliera che dovette ricevere tra la fine del 1813 e la primavera del 1814 i numerosi Bassanesi colpiti dall’epidemia di tifo, che sembra essersi propagata proprio da San Francesco, dove si ebbero come primi deceduti uno dei medici e il confessore dell’ospedale stesso, e dal 1816 al 1818 la forte espansione della tisi che colpì tutto il territorio bassanese associata ad una recrudescenza del tifo, anche se il complesso dei Riformati fu destinato in vari momenti in ospedale provvisorio (inizialmente militare, venne convertito in civile nel 1816). Solo nel 1831 il desiderato trasferimento poté essere effettuato[41]

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