Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Iniziò il suo lavoro il 2 maggio 1797. Era costituita da diciassette membri[27], scelti dal comandante della «Piazza» fra i cittadini «amici dei Francesi» adatti a gestire la cosa pubblica, aveva completa autonomia da altre città e piena autonomia amministrativa e giudiziaria su Bassano e il territorio. Il comandante francese aveva, in precedenza, soppresso tutti gli organismi di governo[28], espressione della Serenissima, non ritenendoli conformi ai principi dell’uguaglianza sanciti dalla Rivoluzione francese. La Municipalità, invece, nell’intenzione dei conquistatori avrebbe dovuto procurare ad ogni individuo «tutti i vantaggi possibili» e portare «la felicità e il contento dei popoli». Essa, però, dovette agire sotto il controllo del comandante di piazza, che si riservò ampi poteri d’intervento.

Programma della Municipalità.
Come primo atto la Municipalità indirizzò ai concittadini e alle popolazioni del territorio un proclama[29], cioè una specie di atto programmatico, al quale spesso si rifarà in seguito, per dimostrare che le realizzazioni erano pari alle promesse. In esso si illustravano i vantaggi della presenza francese «preoccupata» solo di donare «una libertà protetta dalle leggi e...la tranquillità», si assicuravano il libero esercizio della religione e il rispetto delle persone e della proprietà. Fra le misure economiche si promettevano la libera piantagione e vendita del tabacco (prodotto largamente coltivato nel territorio bassanese, in particolare nel Canale del Brenta), la diminuzione dei prezzi del pane, vino, carne di bue e di castrato, sale tipo nero di Pirano, cioè di alcuni generi ch’erano alla base dell’alimentazione e delle abitudini delle classi popolari. Fu questo un mezzo per assicurarsi, in qualche modo, l’appoggio della plebe urbana e rurale, ch’era legata, assieme al clero e a buona parte della borghesia e dei nobili, ancora agli antichi principi e ordinamenti e favorevole tutt’al più solo ad una rigenerazione politica della Repubblica. Gli atti successivi riguardarono la lacerazione di manifesti e degli affissi (ritenuti indispensabili mezzi di sensibilizzazione e informazione), l’uso e la detenzione delle armi, i problemi legati ai vagabondi e ai forestieri (temuti come presunti sovvertitori della libertà).

Amministrazione. Le riunioni della Municipalità, che venivano chiamate “sessioni”, non avevano nulla a che vedere con quelle “formalistiche”, dette “riduzioni”, del precedente Maggior Consiglio. Ai suoi membri si richiese, almeno nel primo periodo, un impegno permanente dal mattino alla sera. Dovevano essere disponibili a partecipare alle assemblee generali (due al giorno) e alle sedute dei Comitati[30]. Nemmeno di notte c’era una completa sospensione delle attività[31]. Doveva infatti esserci sempre una persona pronta a ricevere gli ordini da impartire alla cittadinanza. La cittadinanza si servì di molte persone che avevano ricoperto cariche o svolto mansioni sotto la Serenissima (cioè impiegati e presidenti al Monte, Camera, Quaderno, Ospitale, alle Chiese, ai Luoghi Pubblici e inoltre Sindaci, Degani, Governatori, Nodari). Si limitò a sottrarre l’autonomia di cui godevano, soprattutto nei villaggi, e a renderli dipendenti ai suoi ordini. Alcune sessioni della Municipalità, quelle del mattino del martedì, giovedì e sabato, erano pubbliche. Senza formalità particolari vi potevano accedere le autorità costituite, quali l’Arciprete, i capi del Capitolo, dei Canonici e del Clero. Gli altri cittadini dovevano munirsi, invece, di invito rilasciato da qualche municipalista (ciascuno disponeva di tre biglietti d’ingresso che poteva consegnare, di volta in volta, a persone di sua conoscenza). Gli intervenuti potevano presentare per iscritto delle petizioni, sino ad un massimo di tre per sessione. Esse venivano subito lette e ricevevano risposta immediata. Se riguardavano problemi urgenti e importanti venivano sottoposte a votazione e a deliberazione. L’accesso alle sessioni era consentito anche alle delegazioni di altre Municipalità. Questi incontri si svolgevano in un clima di grande cordialità e confidenza: i delegati venivano accolti con manifestazioni di affetto, abbracciati e fatti sedere. Erano, quelle, occasioni preziose di confronto e di scambio di idee, opinioni e notizie sui molti problemi che costituirono il “pane quotidiano” delle Municipalità.

Settore giudiziario. Particolare impegno fu messo dalla Municipalità nella riorganizzazione del settore giudiziario, che subì, in un breve spazio di tempo, frequenti mutamenti, nel tentativo di renderlo adatto ai problemi determinati dalla nuova situazione. Così, da un tribunale giudiziario provvisorio che giudicava su «qualunque emergenza tra cittadini che cada sotto li rapporti di giustizia commutativa e di mansion giudiziaria», si passò a due tribunali: uno di cinque membri ed uno di sette membri per le materie criminali e miste. Quando la materia non eccedeva i dieci ducati correnti, non comportava una pena afflittiva o infamante, decidevano congiuntamente i due presidenti del tribunale civile e criminale. L’attività dei tribunali si caratterizzò per la sollecitudine dei processi: in prima istanza dovevano essere decisi entro quattro decadi e, in appello, entro ulteriori quattro decadi. Al principio della “presunzione del delitto”, presente nella legislazione veneta, la Municipalità introdusse e difese quello della “presunzione dell’innocenza”. Figura di nuova istituzione fu quella del giudice di pace, che aveva il compito di «toglier le differenze e procurar d’accordare le parti». Ne vennero eletti due per Bassano e Rosà e uno per ciascun “villaggio” limitrofo.

Municipalità e nobili. La Municipalità bassanese non assunse nei confronti dei Nobili e di ciò che ricordava la Serenissima un atteggiamento distruttivo, com’era stato quello dei Francesi. I suoi atti, invece, si ispirarono alla prudenza e alla cautela. Gli stessi democratici più ferventi, quali il naturalista Giambattista Brocchi (fig.7),

7DomenicoConte

7. Domenico Conte, Ritratto di Giambattista Brocchi. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Ritratti bassanesi. Gli stessi democratici più ferventi, quali il naturalista Giambattista Brocchi, dissentirono dal clima di terrore instaurato dagli occupanti.

dissentirono dal clima di terrore instaurato dagli occupanti, che avevano imposto al territorio bassanese un crescendo di «angustie, pesi e angherie». Alcuni dei provvedimenti presi vennero giustificati con l’asserto che «tutti siamo cittadini, tutti rientrar dobbiamo nella natural semplicità».  

Problemi derivanti dalla massiccia presenza di truppe francesi. Il territorio bassanese era «una ristretta...provincia popolata da circa trentamila cittadini, tra il Vicentino e il Trevisano che la premon ai lati, in soli cinque villaggi al monte e quattro al piano, che non producono biade bastanti all’alimento degli abitanti». Così si esprimeva la Municipalità in un messaggio indirizzato al generale Bonaparte il 19 maggio 1797 a mezzo di un’apposita delegazione. Detto territorio dovette sopportare per mesi, da solo[32], il peso economico del mantenimento della Divisione Joubert, costituita da seimila uomini, cui si devono aggiungere le truppe in transito che, in molti casi, sostavano per qualche giorno, imponendo “pesi” nuovi alla popolazione. La maggior parte delle sessioni della Municipalità venne dedicata alla «ricerca e all’esame de’ modi onde proveder la truppa» che aveva bisogno di farina, pane, vino, carne, fieno, avena, semola, sale, olio, candele, scarpe, vestiario, camicie, calzoni, gambiere, cappelli, stoffe di seta e di tela, legna ecc. e alloggi nelle case dei Bassanesi. Quando la popolazione non offriva questi beni spontaneamente, i Francesi glieli requisivano di persona.

Rapporti tra la Municipalità e il Comando francese. Nel suo agire la Municipalità appare spesso esecutrice di ordini decisi in altra sede, per cui è difficile stabilire sino a che punto i proclami e le lettere siano espressione di un suo personale modo di vedere e sentire. Il suo atteggiamento non fu però di pura sottomissione: non nascose le difficoltà che incontrava, propose ai problemi soluzioni diverse da quelle che le erano state ordinate, si appellò a Napoleone Bonaparte, quando vide che alcuni pesi imposti erano eccessivi o illegali. Buoni e cordiali furono i rapporti con alcuni ufficiali francesi che si adoperarono a porre dei freni all’insubordinazione dei soldati che, più d’una volta, si abbandonarono a furti, saccheggi, stupri.

Rapporti tra la Municipalità e le Autorità religiose. La Municipalità cercò una pacifica convivenza con il clero, evitando atteggiamenti offensivi e irriverenti del sentimento religioso, molto radicato nel popolo. In questo modo potè servirsi dell’enorme ascendente che la Chiesa aveva sulla gente, per mantenere l’ordine e la tranquillità. L’autorità religiosa assunse, secondo le direttive del suo vescovo Marco Zaguri, un comportamento fatto di prudenza e, insieme, di coraggio, richiamando al rispetto della religione, definita come «il patrimonio più dovizioso lasciatoci dai nostri antenati».   Rapporti con le altre Municipalità. Le Municipalità, che s’erano costituite dopo la frantumazione dello Stato Veneto, trovavano difficoltà ad affiatarsi a causa dell’atteggiamento di gelosia che ciascuna aveva per la propria autonomia, “aiutata” in questo senso anche dall’Autorità francese, che non accettava di buon grado l’idea che sorgessero legami fra esse. Tuttavia, la necessità di trovare “lumi”, di sapere come si comportavano le altre e il bisogno di raccontarsi le difficoltà che incontravano le spinsero fatalmente l’una verso l’altra: scambi di corrispondenza infatti avvennero tra la Municipalià di Bassano e quelle di Padova, Cittadella, Venezia, Vicenza, Treviso, Feltre, Verona, Brescia, Mantova. Gli argomenti erano i più vari: dissequestro di proprietà, ricerca di beni smarriti, misure per l’eliminazione di certe malattie, il problema dei concittadini trattenuti illegalmente sotto le armi. Nelle lettere era presente il desiderio, più o meno conscio, di procedere secondo una comune direzione e di uniformare i rispettivi provvedimenti. Bassano non coltivò, però, neanche in questa fase, dei buoni rapporti con Vicenza. Si sentiva, infatti, diversa per indole e per interessi e temeva le mire di preminenza e controllo di Vicenza sul territorio bassanese. Quando Bassano verrà soppressa con il decreto napoleonico del 16 giugno 1797, come territorio autonomo e conglobato in quello vicentino, con il quale formò un solo dipartimento, sentirà profondo dispiacere, disgusto, smarrimento per quell’attentato alle sue libertà[33]. Il colpo inferto alla Municipalità fu così forte che le “sessioni” persero da quel momento la loro importanza. I membri si adoperarono persino a boicottare le nuove strutture amministrative, non offrendo alcuna collaborazione all’Autorità francese, che, noncurante delle sue proteste, la soppresse e la sostituì con una più ristretta, formata da soli sette membri[34]. Iniziò, in questo modo, per Bassano una seconda esperienza di “vita democratica” alle dipendenze del Governo centrale vicentino-bassanese, che durerà sino al 12 gennaio 1798 quando le truppe austriache, a seguito del trattato di Campoformio del 17 ottobre 1797, si sostituiranno in città a quelle francesi.

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