Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il 15 gennaio 1772 don Juan Antonio Celaya, governatore spagnolo di Popayan, nel viceregno della Nuova Granada, attuale Colombia, segnalava allarmato che nella casa di un «fedele» suddito della sua città era esposta una stampa che costituiva «un horrendo atentado» al re di Spagna Carlo III. L’immagine, raffigurante un Giudizio Universale in cui l’arma del re cattolico era posta dalla parte dell’inferno, era stata acquistata non molto tempo prima in una rivendita di stampe religiose a Cartagena de Indias, una città sulla costa caraibica ad un migliaio di chilometri in linea d’aria[1] (fig.1).

1AmbrogioOrio

1. Ambrogio Orio, Giudizio Universale, bulino, 1765. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 531. L’immagine raffigura un Giudizio Universale ma dalla parte dell’ inferno è collocata l’arma del re cattolico Carlo III. Considerata una critica alla sua politica, la Spagna chiese alla Repubblica di Venezia di arrestare Giambattista Remondini, titolare della stamperia.

Nei mesi seguenti la questione ebbe imprevedibili conseguenze tra Spagna e Italia. La stampa, uscita proprio mentre il re cattolico stava conducendo una decisa offensiva contro la Compagnia di Gesù, venne presa per una satira della sua politica da punire con severità. Gli uomini del re indagarono quindi sui responsabili e, identificato Giambattista Remondini di Bassano quale stampatore, chiesero alla Repubblica di Venezia di arrestarlo. Non importa ora seguire i dettagli della vicenda, che indusse l’ignaro e incolpevole imprenditore veneto a sottrarsi alla cattura rifugiandosi nelle sue proprietà di Castel Tesino, al di là dei confini veneti. Il fatto è invece indicativo dell’estensione quasi planetaria che in quei decenni avevano assunto i traffici dei prodotti che uscivano dalle sue fabbriche. Nella seconda metà del Settecento la ditta di Giambattista Remondini, fondata un secolo prima dal nonno Giovanni Antonio, aveva raggiunto dimensioni imponenti, tali da stupire chiunque avesse occasione di passare da Bassano. Disponeva allora di una cinquantina di torchi tra tipografici e calcografici, di cinque cartiere situate ad Oliero, Campese e Arsiero, di una grande libreria a Venezia in Merceria San Salvador, di agenzie a Castel Tesino e a San Pietro al Natisone e di centinaia di corrispondenti in tutta Europa. Il tutto dava lavoro a non meno di mille dipendenti (secondo alcuni anche duemila) a Bassano, impegnati nella produzione di tutto ciò che poteva avere nella carta la sua materia prima. Di libri e stampe in primo luogo, ma anche di carte da destinare ai rivestimenti più disparati, per le pareti, per i libri o per le decorazioni dei mobili. Nel complesso di edifici che dominavano l’attuale piazza della Libertà di Bassano (tav.22) avevano trovato sistemazione una miriade di laboratori, per la carta colorata, i santi in legno, le francesine, le carte geografiche, le stampe fini, i lustradori, i miniatori, i compositori e fonditori di caratteri, gli incisori, i legatori, oltre che gli uffici che si occupavano dell’amministrazione[2](fig.2).

2MarchiofabbricaRemondini

2. Marchio della fabbrica Remondini. Una G intrecciata alla R ed un torchio costituiscono il marchio della più importante calcografia e tipografia europea della metà del Settecento.

Lo sviluppo degli ultimi decenni era stato frenetico. Dal 1738, subito dopo l’acquisizione delle cartiere sul Brenta, che avevano determinato un salto di qualità nell’assortimento dei prodotti, era stata avviata in grande stile la lavorazione delle carte decorate, precedentemente realizzate solo in Francia e Germania. Nel 1750, con l’immatricolazione alla corporazione dei librai e stampatori di Venezia, era stata inaugurata la sede veneziana e aveva preso l’avvio un’intensissima attività editoriale che aveva posto in gravissime difficoltà gli stampatori della città lagunare, i più potenti d’Italia, incapaci di sostenere la concorrenza di un’impresa in grado di controllare tutto il processo produttivo e con il vantaggio di stampare in Terraferma, a costi molto più bassi e senza i vincoli corporativi. Inevitabili furono i conflitti con i vecchi stampatori frastornati da un modo di operare del tutto insolito che poneva a rischio un sistema di produzione che andava avanti da secoli. I conflitti tra la casa di Bassano e gli stampatori veneziani durarono una trentina d’anni, e non si risolsero a scapito della prima. Ciò che alla fine pesò a favore dei Remondini fu la constatazione da parte delle autorità veneziane che ciò che avevano costruito andava a vantaggio di tutto lo stato. Non erano infatti molti all’epoca i prodotti veneti destinati ad un esito tanto ampio. Nel 1764 il podestà di Bassano scriveva che le merci remondiniane erano spedite «in Lisbona, Spagna, Germania, Ungaria, Moscovia, Olanda, Prussia, Arcipelago, Costantinopoli, e fino nell’America». Aggiungeva di aver personalmente visto la documentazione relativa ad oltre 30.000 ducati di stampe caricate nel porto di Cadice su navi dirette oltre Atlantico. Negli stessi anni uno dei principali responsabili della politica mercantile veneziana, il deputato alle fabbriche Gabriel Marcello, precisava che carte e stampe Remondini erano inviate «nelle Spagne, nelle Canarie, in Portogallo, alla Vera Cruz, nel Messico e nel Paraguai». Non erano però da trascurare i “moltissimi esiti” «nel Piemonte, Marsiglia, Provenza, nei Svizzeri e persino in Francia e così in Ungheria, Transilvania e negli stati della Germania e più nella Danimarca». Il tutto garantiva allo stato «grandiosi fiumi di soldo» e sopratutto «l’industria del popolo». Era quindi giustificato l’orgoglio di Giuseppe Remondini, il quale nel 1782 affermava che il suo commercio si estendeva «per tutta l’Europa, nell’America, nella Moscovia asiatica ed europea e in alcune province dell’Asia e dell’Africa». Nell’Italia settecentesca era difficile trovare concentrazioni industriali altrettanto appariscenti[3]. Mille operai in una città che contava poco più di ottomila abitanti, e che col territorio circostante raggiungeva i 23.000, costituivano una massa imponente che non passava inosservata, neppure agli osservatori stranieri. E così l’Encyclopédie del 1781 notava che Bassano era famosa per la sua grande stamperia e nel 1789 lo scrittore spagnolo ex-gesuita Juan Andrés definiva gli stabilimenti bassanesi simili ad una «piccola città»[4].   

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