Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il profilo politico di Bassano del Grappa all’indomani della Liberazione e fino agli anni Sessanta, se pure riconducibile al paradigma del “Veneto Bianco”, si rivela tuttavia più complesso sia sul piano della cultura politica, sia nel quadro di uno studio prosopografico delle élites politiche cittadine. Se la Storia di Bassano edita nel 1980 – a quasi un secolo di distanza dalla Storia di Bassano di Ottone Brentari[1] – non considera il secondo dopoguerra, giacché il saggio di Giampietro Berti giunge fino alla Liberazione[2], l’evoluzione politica della città all’indomani della Seconda Guerra Mondiale costituisce il tema dell’ultimo capitolo – Il secondo dopoguerra e i primi anni ’60 – di un’ ‘altra’ Storia di Bassano, dello stesso Berti, e pubblicata nel 1993 dal Poligrafo nell’ambito di una collana dedicata alla storia delle “Città nelle Venezie dall’Unità ai nostri giorni”[3]. Editi a cura del Comitato per la Storia di Bassano, i più recenti volumi di Fabio Zanin e di Giovanni Favero sono rispettivamente dedicati alla Storia di Bassano dal rastrellamento del Grappa alle prime amministrative (ottobre 1944-aprile 1946), e alla vita amministrativa di Bassano del Grappa dal 1945 al 1980[4] (fig.1).

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1. Viale delle Fosse nel primo anniversario dell'eccidio del Grappa 26-9-1945. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.Questa è la prima delle celebrazioni che annualmente si svolgono nella nostra città per ricordare i fatti luttuosi legati alla Resistenza. Sono celebrazioni che servono anche per ricordare le motivazioni che hanno mosso tante persone a mettere in gioco la loro vita per garantire libertà, giustizia e democrazia.

Nel complesso, queste opere pongono l’accento su aspetti diversi, se pure compresenti, della storia politica cittadina, secondo il comune filo di un confronto con la precedente storia cittadina, dall’età liberale al periodo fascista. In particolare, Berti sottolinea che fu soltanto dopo il 1945, con le prime elezioni libere, e nel clima di un nuovo protagonismo politico cattolico, che Bassano poté davvero selezionare la propria classe politica. Non lo aveva potuto fare durante il ventennio fascista, ma neppure, ricorda lo storico, nel lungo periodo postrisorgimentale, quando per il non expedit i cattolici[5] – e quindi, per Bassano, la maggioranza dei cittadini – si erano di fatto astenuti dalla partecipazione politica attiva ed erano rimasti estranei alla selezione delle élites cittadine, ponendo le «premesse per una relativa presenza laica e liberale». Così, le elezioni amministrative e poi le politiche del 1946 e del 1948 segnarono una cesura profonda, e una svolta, perché furono «l’occasione per dimostrare quali erano le idee e i sentimenti della maggioranza dei bassanesi. Iniziò così la lunga egemonia democristiana che durerà, ininterrotta, fino ai primi degli anni ‘90»[6]. La classe politica ed amministrativa che emergeva dal voto popolare – libero – era quindi nuova, sia perché segnava uno scarto rispetto al ceto politico fascista, ma in un senso ancor più profondo perché era l’espressione di istanze cattoliche e moderate fino ad allora compresse sul piano politico, ma che costituivano un filo rosso, una tendenza profonda di lungo periodo nel sentire politico della popolazione bassanese. La brevissima parabola dell’avvocato Antonio Gasparotto, sindaco della prima giunta ciellenistica, e ultimo sindaco di Bassano prima dell’avvento del fascismo[7], il quale, nominato insieme alla giunta il 30 aprile 1945, già il 24 luglio 1945 era stato sostituito da Primo Silvestri, esponente del Partito d’Azione, sembra confermare questa tesi: non era il ritorno ad un’età liberale prefascista che si perseguiva[8]. Attraverso un’analisi incentrata sul biennio 1944-1946, il libro di Fabio Zanin pone invece principalmente l’accento sulle “persistenze”– di mentalità e di costume politico della popolazione – rispetto al fascismo, insistendo sul fatto che, malgrado l’enfasi riservata nelle celebrazioni ufficiali al «mito della “città martire”»[9](fig.1), a Bassano la Resistenza non avrebbe che inciso superficialmente sui successivi assetti politici. Ancorché insignita della Medaglia d’Oro al Valor Militare[10], Bassano avrebbe dimostrato una «sostanziale indifferenza» verso il processo di democratizzazione della vita politica, bloccando l’opera di rinnovamento auspicata dai protagonisti della lotta di Liberazione, presto emarginati ed esclusi dalle principali cariche pubbliche[11]. Le prime elezioni comunali del 24 marzo 1946, con la débacle del Fronte Repubblicano del Lavoro – 31,7% dei suffragi contro l’62% della DC –, determinarono la fine della collaborazione fra i partiti del CLN e l’avvio di una fase moderata volta alla mera ricostruzione materiale e al «disarmo materiale e morale degli animi», con la fine di ogni politica di epurazione, secondo un processo peraltro analogo a molti altri contesti[12]. Rispetto a queste due letture, il volume di Favero, che copre un arco cronologico più lungo e che privilegia l’analisi del profilo amministrativo e dello sviluppo economico ed urbanistico della città, sembra dare maggiore rilievo agli elementi di rottura e di cambiamento. Non soltanto perché l’autore registra la costante crescita economica di Bassano, fino alla crisi degli anni ’70, con le relative trasformazioni sociali e politiche, ma anche perché sottolinea la peculiarità della sua vocazione industriale, che risale al periodo fra le due guerre mondiali, ed è quindi stata più precoce rispetto al resto del Veneto, in cui il processo di industrializzazione nel complesso si sviluppò dalla metà degli anni sessanta[13]. Basti ricordare che la Smalteria e Metallurgica Veneta era stata fondata nel 1925 da un gruppo imprenditoriale di provenienza mitteleuropea[14]. In quanto «isola industriale» in un Veneto agricolo e povero – Bassano non rientrò appunto fra i comuni economicamente depressi contemplati dalla legge 635/1957 –, la città poté esercitare un’influenza rispetto all’area limitrofa sul versante dell’urbanizzazione, dell’articolazione sociale ed infine della mentalità ben prima del ‘boom economico’[15], avviando un processo di modernizzazione cui si intrecciavano i caratteri di lungo periodo – moderatismo e “conservatorismo”, in sintesi – maggiormente rilevati da Berti e da Zanin.  

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