Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’età del Rame è attestata nel Vicentino da importanti ritrovamenti in grotta connessi con la sfera funeraria (Grottina dei Covoloni del Broion sui Colli Berici, Caverna di Bocca Lorenza presso il Monte Summano)[12] e, da ultimo, dal complesso cultuale e funerario di tipo megalitico ubicato ai piedi delle colline di Sovizzo[13]. Meno noti sono gli aspetti relativi al popolamento che, nell’alto Vicentino, sembra interessare principalmente gli stessi habitat frequentati dai gruppi umani dell’Ultimo Neolitico con siti posti sulla fascia collinare, ma anche sulle propaggini meridionali dell’Altipiano dei Sette Comuni (siti di Marostica-località Piazzette, Covolo e Coldinechele nel comune di Lusiana)[14]. Il ritrovamento nella caverna di Bocca Lorenza presso il Monte Summano, agli inizi del Novecento, di tre asce piatte in rame, attesta la precoce diffusione della metallurgia del rame in questa parte del territorio veneto[15]. Durante i primi secoli dell’antica età del Bronzo[16] gli insediamenti sono particolarmente numerosi nelle zone perifluviali di pianura (fiume Bacchiglione) e perilacustri (valli di Fimon) del basso Vicentino, mentre un vuoto demografico sembra contraddistinguere le aree collinari e pedemontane del Veneto. Solo nel corso del XV secolo a.C., durante l’ultima fase del Bronzo medio, si assiste a una massiccia colonizzazione dell’alto Vicentino con la nascita di siti arroccati o in posizione strategica, di controllo delle vie di comunicazione rappresentate dalle valli fluviali anche minori (Brenta, Chiavone, Astico, etc.). Nello stesso torno di tempo si registra la nascita del polo insediativo di San Giorgio di Angarano, località pedecollinare posta a nord-ovest dell’attuale centro di Bassano, che si raccorda dolcemente con l’alta pianura ghiaiosa di antica formazione fluvio-glaciale. È pertanto a partire dalla metà del II millennio a.C. che si hanno notizie specifiche per il comprensorio bassanese. Un’indagine archeologica, effettuata in anni recenti in via Pilati, nella fascia di raccordo tra le ultime pendici collinari e il fondo valle[17], consentì di riportare alla luce un piccolo settore del più antico insediamento sorto sui versanti meridionali e orientali del Monte Castellaro, ai margini di un corso d’acqua di risorgiva identificabile con il Rio Silanetto[18]. I resti archeologici furono riconducibili, nello specifico, a un acciottolato di bonifica del suolo, a piattaforme di lavorazione, a canalette di drenaggio, nonché a scarichi da attività artigianali e domestiche (carboni, vasellame ceramico, resti di pasto). Le diverse fasi di frequentazione risultarono scandite da colate di fango originate dai soprastanti versanti del Monte Castellaro, ma anche da sedimenti prodotti dalle esondazioni torrentizie del vicino corso d’acqua. È pertanto plausibile che le attività artigianali praticate sulle piattaforme (lavorazione della ceramica?) fossero favorite proprio dalla vicinanza a una risorsa idrica rappresentata dal Rio Silanetto. Altri materiali archeologici - principalmente frammenti di vasellame fittile di tipo domestico (fig.2)

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2. Vasellame ceramico d’uso domestico, età del Bronzo finale. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
I materiali provengono dallo scavo (2005) dell’ abitato di San Giorgio di Angarano.

riportati alla luce nel corso degli anni dai lavori agricoli in tutta la località - attestano che nelle ultime fasi del Bronzo medio e durante il Bronzo recente, tra XV e prima metà del XII sec. a.C., l’insediamento si era notevolmente sviluppato e aveva progressivamente interessato tutti i versanti del M. Castellaro[19]. L’abitato risultava posto al riparo dalle piene del fiume Brenta e, nello stesso tempo, in posizione favorevole per i collegamenti tra i centri di pianura e quelli dell’Altipiano dei Sette Comuni attraverso agevoli percorsi naturali (Valrovina); più in generale esso avrebbe potuto intrattenere rapporti culturali e di scambio di beni con l’area prealpina lungo la valle del Brenta, seppure impervia nel suo ultimo tratto (Canale del Brenta) prima dello sbocco nell’alta pianura vicentina. Le testimonianze archeologiche finora acquisite attestano che nello stesso periodo altri gruppi umani si erano insediati nel territorio bassanese: in località Boschetto su una terrazza fluviale prospiciente il corso del Brenta[20], ma anche ai margini settentrionali del grande conoide fluvio-glaciale su cui sorgerà, nel Medioevo, il centro urbano di Bassano. Indagini archeologiche preventive a lavori edilizi condotte nel cortile di Casa Fraccaro in via Vittorelli consentirono di riportare alla luce, al disotto di strutture abitative di età medievale, tracce di frequentazione antropica riconducibili alle ultime fasi dell’età del Bronzo.[21] Sulla sinistra idrografica del Brenta riscontriamo l’insediamento del colle Bastia di Romano d’Ezzelino, sorto a controllo dell’imbocco della valle[22]; altri due siti di media quota, forse a carattere stagionale per lo sfruttamento dei pascoli, sono stati individuati da tempo sul Colle La Bastia[23] e sul Colle Castellaro[24] (Pian dei Noselari), entrambi sulle prime propaggini del Massiccio del Grappa. Il rinvenimento fortuito, sul greto del fiume Brenta tra Bassano e Nove, di una spada in bronzo di eccezionale fattura e conservazione, riferibile a una tipologia ampiamente diffusa nell’area danubiana dell’Europa centrale (spade del gruppo Boiu) (fig.3),

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3. Spada in bronzo, età del Bronzo medio.
Spada del tipo Boiu, finemente decorata a bulino, rinvenuta da Riccardo Lenner (2009) nel greto del fiume Brenta all’altezza del Comune di Nove.

ma anche, a sud delle Alpi, in molti altri territori dell’Italia nord-orientale (Veronese, Trevigiano, Friuli) getta nuova luce sull’importanza degli assetti territoriali delle popolazioni che colonizzarono l’alto Vicentino durante un momento avanzato del Bronzo medio[25]. Un esemplare dello stesso tipo di spada, anche se non altrettanto ben conservato, fu rinvenuto in passato nei pressi del greto dell’Astico, all’altezza di Sarcedo[26]. Le due lunghe spade, verosimilmente idonee per combattimenti a cavallo, simboli dello status sociale di “capi guerrieri” che le deposero nel greto di un fiume come offerta a una divinità, paiono “marcare” il possesso di un territorio a seguito di patti di pacificazione o di supremazia tra comunità. Contestualmente questi ritrovamenti segnano i percorsi lungo i quali transitavano i prodotti della metallurgia (rame, bronzo semilavorato e oggetti finiti) e altri beni deperibili che non hanno lasciato tracce archeologiche; con le merci circolavano anche le nuove ideologie relative alla sfera funeraria (rito della cremazione) e sociale. Nel corso del Bronzo recente (XV-prima metà XII secolo a.C.) tutto il comprensorio collinare e pedemontano, tra i fiumi Brenta e Piave, risulta costellato da piccoli insediamenti caratterizzati da opere collettive di terrazzamento per la difesa dei pendii[27]; essi sono riferibili a comunità di Cultura Subappenninica, dedite allo sfruttamento agrario dei piccoli pianori naturali, ma soprattutto all’allevamento (bovini e capro-ovini) favorito dall’abbondanza dei pascoli. Questo processo di occupazione e presidio delle alture collinari tra Brenta e Piave rivolte alla pianura avrà riscontro in seguito, seppure con strutture difensive assai più possenti, nell’ “incastellamento” di età medioevale; va altresì osservato che i comprensori pedemontani del Vicentino e del Trevigiano rappresentarono, nel Bronzo recente, un’area di cerniera tra le genti della Cultura Subappenninica e quelle della Cultura di Luco, queste ultime insediate nel finitimo territorio trentino[28]. Ai villaggi del comprensorio pedemontano e collinare degli ultimi secoli dell’età del Bronzo si collegano gli estesi abitati di pianura (San Martino di Lupari, Cittadella e Vallà di Riese-Pio X) (fig.4),

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4. Veduta aerea del villaggio de “Le Motte di Sotto” San Martino di Lupari.
Esempio di abitato di pianura arginato della tarda età del Bronzo.

cinti da argini e fossati ubicati immediatamente a ridosso della fascia delle risorgive, al passaggio tra l’alta e la bassa pianura. Gli scavi archeologici effettuati in estensione in questi insediamenti nella seconda metà del Novecento forniscono un quadro economico e culturale complessivo che può essere esteso, almeno in parte, ai coevi villaggi dei finitimi comprensori pedemontano e collinare. Analisi effettuate su campioni di reperti antracologici e semi rinvenuti nel sito arginato di San Martino di Lupari hanno consentito di attestare che le diverse specie della Quercia costituivano le essenze dominanti nelle formazioni vegetazionali di pianura, mentre il Faggio ricopriva, assieme all’Abete bianco e al Peccio, la vicina fascia pedemontana. Per quanto riguarda le specie coltivate sono stati riscontrati semi di due tipi di grano (Triticum aestivum, Triticum compactum) e quelli del miglio (Panicum milaceum). I resti di pasto sono costituiti prevalentemente da fauna domestica con prevalenza di capro-ovini, seguiti dal bue e dal maiale. Pertanto i due sistemi insediativi, quello pedemontano-collinare e quello planiziale, erano complementari sul piano economico e afferivano a gruppi di popolazione delle medesime facies culturali: il vasellame ceramico dei secoli del Bronzo medio presenta strette affinità tipologiche con la produzione vascolare dei centri padani della Cultura delle Terramare, mentre quello del Bronzo recente è riferibile al repertorio ceramico proprio della Cultura Subappenninica[29]. Nel corso del XII sec. a.C. si registra, nel Veneto nord-orientale, una contrazione del numero degli insediamenti con l’abbandono di numerosi siti pedemontani e collinari e la notevole riduzione degli areali occupati dalle abitazioni nei grandi villaggi di pianura. Questo decremento demografico, che trova riscontro in gran parte dell’Italia settentrionale e nell’area della pianura padana in particolare, viene imputato principalmente a fattori di ordine ambientale che portarono all’“implosione” degli assetti territoriali e sociali delle genti della Cultura delle Terramare. Nel comprensorio pedemontano tra Brenta e Astego-Musone persisteranno solo i siti di San Giorgio di Angarano (Bassano) e del Colle della Bastia (Romano d’Ezzelino), posti a controllo rispettivamente della destra e della sinistra idrografica del fiume Brenta. Il sito egemone e di più lunga durata risulterà essere quello di San Giorgio di Angarano. Le indagini archeologiche condotte a nord di via Pilati[30], nella proprietà Brocchi Colonna, consentirono di documentare lo spostamento, nel Bronzo finale (XI-X sec. a.C.) delle zone abitate dalla vallecola del Rio Silanetto alle pendici del Monte Castellaro, che vengono ora munite con opere di terrazzamento ottenute con lo scasso del pendio e riporti di pietrame e marne scavate nelle vicinanze. Le superfici più ampie così ottenute consentivano l’edificazione di abitazioni parzialmente interrate; i vani, per lo più di piccole dimensioni, risultarono posti su piani “sfalsati” e rinforzati lungo i lati seminterrati da blocchi calcarei e strutture lignee con funzione di sostegno degli alzati e del tetto (fig.5).

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5. Strutture dell’abitato del Bronzo finale in corso di scavo. Bassano del Grappa, San Giorgio di Angarano-via Pilati.
Vi compaiono vani di piccole dimensioni su piani sfalsati e rinforzati da blocchi calcarei e strutture lignee.

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6. Vasellame ceramico d’uso domestico, età del Bronzo finale. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
I materiali provengono dallo scavo (2005) dell’ abitato di San Giorgio di Angarano.

Ai vani della casa, sul cui pavimento era alloggiato un piccolo focolare, si affiancavano di norma angusti ambienti di servizio ricoperti da tettoie e adibiti allo stoccaggio di derrate alimentari, ma anche ad attività artigianali; i piani di calpestio esterni venivano protetti dai fenomeni naturali di erosione del versante con piccole massicciate in pietrame locale. Sulla base della cronologia del materiale archeologico rinvenuto (principalmente vasellame domestico) (fig.6) sono stati rilevati tre principali cicli insediativi, databili tra XI e IX secolo a.C., intervallati da fenomeni di degrado dei pendii, da episodi di incendio, nonché dalle successive ristrutturazioni delle abitazioni. I dati cronologici e culturali provenienti dall’abitato trovano riscontro nel coevo sepolcreto ubicato immediatamente a sud, oltre l’attuale via Pilati, nelle contigue zone di pianura (fig.7).

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7. San Giorgio di Angarano a Bassano del Grappa.
In primo piano l’area della necropoli protoveneta prima dello scavo del 1926-’27; sullo sfondo il Monte Castellaro e case coloniche lungo via Pilati.

Come si può rilevare dalla planimetria della necropoli disegnata dall’assistente di scavo Antonio Nicolussi al momento della seria esplorazione archeologica, avvenuta nei primi decenni del Novecento[31], le tombe erano disposte secondo tre raggruppamenti o circoli funerari all’interno dei quali erano presenti sepolture sia maschili che femminili databili, sulla base degli oggetti dei corredi, tra XI e X secolo a.C. (figg.8-11).

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8. Spilloni in bronzo, XI-X secolo a.C. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
I materiali, provenienti dalla necropoli di San Giorgio di Angarano,  presentano varie tipologie per l’uso nell’abbigliamento maschile.

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9. Fibule in bronzo,  XI-X secolo a.C. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
I materiali, provenienti dalla necropoli di San Giorgio di Angarano,  presentano varie tipologie per l’uso nell’abbigliamento femminile.

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10.a) vaso biconico utilizzato come urna cineraria; b)scodella di copertura; c) grande fibula decorata da noduli e da motivi incisi, XI-X secolo a.C. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
I materiali provengono dalla necropoli di San Giorgio di Angarano, tomba17.

fig. 091

11. Tomba 24 della necropoli di S. Giorgio di Angarano in fase di scavo.
Vi si riconosce un grande vaso funerario con coperchio.

L’ampliamento del sepolcreto agli inizi dell’età del Ferro con la formazione di un quarto circolo funerario, testimonierebbe la vitalità del polo demografico di San Giorgio di Angarano ancora tra fine IX e inizio VIII secolo a.C., alle soglie della comparsa della Civiltà dei Veneti antichi[32]. La ricchezza di questa comunità, che traspare dai corredi funerari e dai numerosi oggetti in bronzo (fig.8), dovette provenire dalle consistenti risorse agro-pastorali del territorio circostante, ma assai verosimilmente anche dallo scambio, verso i coevi centri di pianura, del metallo (rame) e di oggetti finiti (bronzi), il cui approvvigionamento poteva avvenire agevolmente dalle zone minerarie trentine dell’altipiano di Lavarone e dell’alta Valsugana. La presenza di insediamenti fortificati permanenti nell’Altipiano dei Sette Comuni, (Cornion di Lusiana, Bostel di Rotzo),[33] consente di tracciare, almeno in parte, i percorsi montani di collegamento tra l’alto Vicentino e il Trentino. I rapporti di scambio con la zona mineraria trentina sarebbero andati progressivamente allentandosi agli inizi dell’età del Ferro, tra IX e VIII secolo a.C. sotto la spinta di nuovi equilibri economici connessi agli incipienti assetti territoriali della Cultura dei Veneti antichi. Ne sarebbe indizio la comparsa, nelle sepolture degli inizi dell’età del Ferro del sepolcreto di San Giorgio di Angarano, di oggetti in bronzo le cui tipologie (spilloni con capocchia a ombrellino, fibule ad arco semplice ingrossato, etc.) presentano una diffusione prevalentemente in ambito padano. Nelle fogge degli oggetti in metallo possiamo cogliere un’evoluzione tipologica che molto probabilmente riflette lo spostamento dei poli di scambio della materia prima dai centri dell’asse pedemontano agli insediamenti di pianura (Padova, Este, Montagnana, etc.), dove il rame, destinato a essere fuso con lo stagno per ottenere oggetti in bronzo, non afferiva più esclusivamente dai giacimenti alpini, ma anche dalle colline metallifere dell’Etruria. Proprio i nuovi assetti economici della Civiltà dei Veneti antichi segneranno la progressiva perdita d’importanza del polo di San Giorgio di Angarano fino a divenire, alla luce dei più recenti dati di scavo[34] e delle testimonianze archeologiche attualmente in nostro possesso,[35] un piccolo presidio rispetto ad altri centri pedemontani gravitanti lungo l’asse plavense (Borso del Grappa-località Cassanego, Asolo, Montebelluna, etc.). Il ruolo di frontiera culturale tra i territori dell’alto Vicentino e quelli contigui del Trentino, già segnalato per i secoli del Bronzo recente, continuò a persistere nelle successive età del Bronzo finale e durante l’età del Ferro. Tra fine del II e inizi del I millennio a.C. e nel corso di quest’ultimo, il comparto pedemontano e collinare vicentino sarà abitato da popolazioni contraddistinte da aspetti culturali protoveneti; il confinante territorio trentino invece sarà insediato dalle popolazioni della Cultura di Meluno. Nel corso del IX sec. a.C. si assiste al crollo del sistema territoriale di tutta la Pedemontana veneta e al suo progressivo spopolamento. Le stesse zone pedemontane e collinari, nonché l’alta pianura compresa tra Brenta e Astego-Musone, risulterebbero scarsamente frequentate nella prima età del Ferro, nei secoli VIII e VII a.C. Tale situazione sembrerebbe protrarsi fino al VI sec. a.C., momento in cui si registra l’attivazione sia della valle dell’Astico che portava direttamente alle risorse minerarie dell’altipiano di Lavarone e Luserna (Trentino) sia della valle del Piave, che dalle coste del mare Adriatico conduceva all’area dolomitica e all’Oltralpe. Anche nella fase di massima espansione della Cultura dei Veneti antichi, tra VI e IV sec. a.C., il comprensorio bassanese non risulterà particolarmente presidiato. Solo scarsi reperti testimonierebbero il persistere di una frequentazione, in questi secoli, della località di San Giorgio di Angarano, che comunque sembrerebbe aver perso qualsiasi funzione di polo di riferimento rispetto all’asse pedemontano e allo sbocco in pianura del fiume Brenta. La presenza di nuclei dei Veneti antichi lungo l’asse pedemontano compreso tra la sinistra idrografica del Brenta e il fiume Piave (Borso del Grappa-località Cassanego, Asolo, Montebelluna, etc.) starebbe a documentare il nuovo ruolo assunto dal vettore naturale plavense che di fatto collegava, con percorsi assai agevoli, i centri veneti percostieri (Altino) e di pianura (Oderzo, Treviso) con quelli pedemontani (Montebelluna) e prealpini (Belluno-Caverzano). Per l’ambito territoriale considerato in questa sede citiamo la necropoli dei Veneti antichi di Borso del Grappa posta in località Cassanego, sulle ultime propaggini del Massiccio del Grappa e documentata da un buon numero di tombe, databili tra VI e V sec. a.C.; i suoi ricchi corredi funerari sono costituiti principalmente da manufatti in bronzo di grande prestigio (vasellame e oggetti connessi con l’abbigliamento e l’ornamento) che sono significativamente riferibili ad aspetti culturali veneti dell’areale plavense[36]. L’importanza di questo centro veneto, anche se minore rispetto a quelli di Asolo e Montebelluna, viene confermato dal ritrovamento in località Sant’Andrea, in una zona immediatamente a nord di quella interessata dal sepolcreto, di testimonianze archeologiche (lamina in bronzo, dracma d’argento di imitazione massaliota) riconducibili a un luogo di culto veneto[37]. Una parziale ripresa del popolamento sembra segnare gli ultimi secoli dell’età del Ferro, tra IV e III secolo a.C., con un’occupazione selettiva dei siti collinari e pedemontani dell’alto Vicentino che meglio avrebbero potuto garantire il controllo, da parte dei Veneti antichi, delle vie di transito verso le zone prealpine e alpine abitate dai Reti. Il ruolo di cerniera di questi nuovi insediamenti tra due diverse entità culturali, Veneti e Reti, viene esemplificato dall’insediamento del Bostel di Rotzo, sorto alla confluenza della Val d’Assa con la Valle dell’Astico, sull’Altipiano dei Sette Comuni; qui gli aspetti della cultura materiale (ceramica da mensa in argilla cenerognola o d’impasto fine lucidato di produzione veneta, macine in trachite euganea, etc.) ben documentano la vita e le attività di un sito montano di frontiera dei Veneti antichi[38] e i suoi rapporti con le finitime genti retiche dell’area trentina. In questo scenario sociale e culturale si registra, nel 148 a.C., l’apertura della via Postumia, la grande strada consolare che collegava Genova ad Aquileia attraversando quasi tutta l’Italia settentrionale; questa infrastruttura viaria verrà a rappresentare ben presto, secondo Guido Rosada, «un immaginario fronte rivolto verso le regioni subalpine, nelle quali la romanizzazione era o appena iniziata o non ancora compiuta»[39]. Per il tratto a nord di Cittadella la strada correva poco al di sopra della “linea delle risorgive” e separava, di fatto, il comprensorio pedemontano e l’alta pianura dalla bassa pianura con i suoi centri veneti. I ritrovamenti di eccezionale importanza, anche se fortuiti, dei due dischi votivi in lamina di bronzo da San Pietro di Rosà e da Marostica-Colle Pauso forniscono nuovi elementi di conoscenza per l’età della romanizzazione di questo comparto territoriale[40]. Il messaggio di pacifica convivenza tra la componente indigena della popolazione e i nuovi venuti viene affidato ad oggetti di culto propri della religione dei Veneti antichi, dove la componente religiosa romana trova ampio riscontro nelle rispettive rappresentazioni iconografiche (figg.12-13).

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12. Disco votivo in lamina di bronzo, I secolo a.C-I secolo d.C., Rosà, fraz. San Pietro. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Forma circolare con appendice pentagonale forata; cornice costituita da due cerchi concentrici di grossi punti a sbalzo che racchiudono un motivo a onda; quattro cerchielli concentrici a sbalzo delimitano, al centro, due cartigli rettangolari affiancati con due figure poste di fronte. La figura femminile è rivolta a destra con abito lungo (a pieghe?) e presenta un’acconciatura o copricapo; con una mano regge un recipiente potorio e ha ai piedi un’anfora; il guerriero è rivolto a sinistra, porta l’elmo e regge con il braccio sinistro uno scudo rettangolare, mentre con l’altra mano imbraccia una lancia.

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13. Disco votivo in lamina di bronzo, I sec. a.C.-I sec. d.C. Marostica, colle Pauso. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Forma circolare con fascetta di sospensione fissata con ribattino; cornice lacunosa costituita da una doppia fila di grossi punti a sbalzo; a sinistra un grande occhio; nella campitura centrale decorazione a sbalzo su tre registri. Nel primo registro quattro cartigli con guerrieri in movimento con elmo dotato di cimiero, scudo e lancia; nel secondo registro quattro cartigli con guerrieri in posizione di riposo (scudo appoggiato a terra, lancia con la punta rivolta verso il basso); nel terzo registro due cartigli con bovini.

I due luoghi di rinvenimento, posti lungo le vie armentarie che portavano ai ricchi pascoli dell’Altipiano dei Sette Comuni e del Massiccio del Grappa, testimoniano come, negli ultimi secoli del I millennio a.C., questa parte del territorio fosse ancora presidiata e come essa fosse di vitale importanza, per gli aspetti economici connessi con l’allevamento, sia per i nuclei di popolazione locale sia per i popolosi centri veneti di pianura di Padova e Vicenza. Il nuovo assetto agrario che al volgere del I millennio a.C. verrà conferito dai Romani al territorio posto a nord della via Postumia, tra Brenta e Astego-Musone (centuriazione di Padova nord o di Cittadella-Bassano), segnerà la pacifica conclusione, anche per questa piccola parte del territorio veneto, di un ciclo culturale che, seppure con soluzione di continuità, era iniziato negli ultimi secoli del II millennio a.C. nelle colline di San Giorgio di Angarano, nel territorio di Bassano. Dopo aver preso in esame un ampio excursus crononologico che abbraccia i millenni che vanno dalla comparsa dell’Uomo di tipo moderno in questa parte del territorio veneto fino all’avvento di Roma (II-I sec. a.C.), ne ricordiamo in modo sintetico le tappe fondamentali documentate dalle fonti archeologiche (insediamenti, necropoli, luoghi di culto, oggetti sporadici). Le rare testimonianze delle età più antiche della nostra storia (Paleolitico e Mesolitico) devono essere collocate in ambiti territoriali più ampi, dove la presenza dell’Uomo cacciatore e raccoglitore è maggiormente nota (Colli Berici e Altipiano dei Sette Comuni). Il processo di acculturazione degli ultimi cacciatori e raccoglitori del Mesolitico verso le nuove forme di economia (agricoltura e allevamento) è, allo stato attuale delle ricerche, solo indiziato dal sito di Sarson nel Comune di Bassano del Grappa. La colonizzazione dei comprensori collinari e pedemontani sarebbe avvenuta intorno al IV millennio a.C. ad opera di popolazioni neolitiche già stanziate da oltre un millennio nella bassa pianura vicentina e nelle zone umide delle valli di Fimon. A partire da un fase avanzata dell’età del Bronzo (intorno al XV sec. a.C.) si registra una seconda, più massiccia ondata colonizzatrice del comprensorio bassanese da parte di gruppi di popolazione portatori degli ultimi aspetti della Cultura terramaricola, ritenuta dagli studiosi la più antica civiltà contadina della pianura padana. In questo torno di tempo si registra la circolazione di manufatti in bronzo di tipologia centro-europea (spade del gruppo Boiu) e la nascita del polo di San Giorgio di Angarano nel Comune di Bassano. La progressiva perdita di importanza dell’abitato nel corso del IX sec. a.C. accomuna questo sito ai grandi villaggi arginati di Cittadella e San Martino di Lupari che non sopravvissero oltre l’VIII sec. a.C., momento storico nel quale può ritenersi concluso il processo culturale che portò alla nascita della Civiltà dei Veneti antichi. Per tutta l’età del Ferro fino all’avvento di Roma il comprensorio bassanese costituirà un’area marginale dei Veneti antichi collegata, attraverso percorsi montani minori (Altipiano dei Sette Comuni), con le popolazioni retiche del Trentino, ma soprattutto, attraverso la pista pedemontana, all’area plavense che, con il suo fiume (il Piave), collegava le coste adriatiche con l’Oltralpe. Il carattere di forra della valle del Brenta nel tratto tra Primolano e Bassano (Canale del Brenta) unitamente agli aspetti fisiografici di un territorio in gran parte collinare e montano privo di risorse minerarie, idoneo all’allevamento e molto meno ad un’agricoltura di tipo estensivo, dovettero essere le principali cause che lo relegarono a una storia minore, almeno fino alla nascita del centro urbano medievale.

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