Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

E’ ora necessario riprendere il filo delle vicende politiche regionali, per esaminare in quale modo le dinamiche sociali bassanesi furono per un secolo intero disciplinate ed egemonizzate da tre generazioni di Ezzelini, sino alla tragica conclusione della vicenda famigliare con la morte di Ezzelino III e l’eccidio di San Zenone nel 1259. Fin dalla metà del XII secolo, infatti, il rapporto ormai consolidato fra comunità locale e casato signorile è testimoniato eloquentemente da una sentenza emessa nel 1159 a Tortona da un giudice imperiale, che qualifica Ezzelino I come de Basano[115]. Ci pare ben di più che un generico «segno di correlazione tra Ezzelino e Bassano»; essa è eloquente dimostrazione della coscienza che già a quel tempo c’era della profonda simbiosi creatasi tra il lignaggio signorile più comunemente denominato dai suoi antichi feudi di Romano e di Onara e quel centro bassanese dove esso era presente da almeno tre generazioni come proprietario. Anche il recente affioramento dagli archivi di atti che mostrano Ezzelino II esercitare atti di giurisdizione a Bassano fin dal 1187-1191[116] dovrebbe, contro ogni categorica affermazione in senso opposto, far maggior spazio a quest’idea: la vischiosa complicità tra le più vitali forze della comunità locale e il casato feudale romanense che ci è ben nota nei suoi meccanismi e nel suo significato dalla fine del XII secolo ebbe in realtà una sua remota, graduale preparazione. Si è visto che un Ezzelino è detto de Vincentia, in un documento del 1177. Questa definizione fatta propria dai notai papali e imperiali va raccordata strettamente al notissimo giuramento di fedeltà al comune e al popolo vicentino prestato dai Bassanesi nel 1175 (con Bassano appare ora fusa in unum anche la località di Margnano). Di questa soggezione si è forse esasperato il valore in termini di compiuta «soggezione... implicante gli aspetti di interesse pubblico, politici, militari, giudiziari»[117]mentre essa sembra mantenere piuttosto un significato programmatico e di tendenza; specie se correttamente raffrontato col coevo stillicidio di carte di obedientia et fidelitas a Vicenza concepite secondo schemi mentali di stampo feudale tutt’altro che ignoti ai gruppi dirigenti del primo comune (analoghe a quelle che riguardano Lonigo, Gambellara e Montebello, e ancora Camisano, Montegaldella e più tardi Marostica (1218). Una accurata rilettura dell’operazione del 1175, tra l’altro subordinata a una scadenza decennale, non autorizza dunque a parlare di piena sottomissione politica ma fa risaltare piuttosto l’interesse e la contingente capacità di Vicenza di realizzare un controllo più diretto della piazza bassanese, impedendo che l’intero importante blocco di fortezze e terre circostanti e la stessa arteria del Brenta fossero calamitati entro l’orbita d’altre città. Ma è evidente che un simile disegno comportava inevitabilmente fin da allora scontri o trattative coi da Romano per l’ormai soverchiante peso da essi acquisito colà. E ne abbiamo indiretta conferma, tra l’altro, da un ulteriore editto, probabilmente volto a ottenere un ennesimo impegno giurato di fedeltà e obbedienza al comune di Vicenza, che sarebbe stato emanato nel 1181 dal conte Uguccione, allora podestà vicentino[118]. Esso si rivolgeva infatti a Bassano e a una dozzina di villaggi vicini che, significativamente, coincidono con tutta l’area di effettivo dominio della nostra dinastia feudale. In tal modo l’autorità di Vicenza, l’autonomia di Bassano e le ambizioni signorili dei da Romano andavano esplicandosi e interferendo secondo un modus vivendi ancora tutto sommato instabile e mal definito, che ebbe modo di svelare tutta la sua ambiguità negli anni successivi. Si consideri il giuramento pubblico di fedeltà a Vicenza richiesto nel 1189 a villaggi del canale del Brenta soggetti al presule padovano e di fatto padroneggiati dai da Romano, cioè Solagna, Pove, S. Nazario, Cismon: dietro le parvenze di una misura di ordine pubblico contro violenze, rapine e danneggiamenti, in realtà queste minori stazioni di transito a nord di Bassano furono forzate ad accogliere il regime di servizi militari, pubblici e fiscali («hostem, plovegam e dacias») previsto per le altre ville dominate da Vicenza in forme già chiaramente allusive a una nozione territoriale della iurisdictio («ut de cetero sint Vicentini districtus et sub Vicentino regimine», recita testualmente l’atto)[119]. Quanto a Bassano, le prospettive di espansione politica, militare ma anche economica sia di Vicenza sia di Padova in un centro tanto insidioso per i propri sempre più rigidi progetti monopolistici quanto allettante per l’intenso traffico di legname, lana, pelli, vino e per lo stesso mercato fondiario, divennero motivo ulteriore e via via più acuto di frizione fra le parti in causa sia a livello locale sia in una più vasta dialettica di poteri. Della peraltro nota dinamica che ne scaturì tra il 1196, quando i rettori della lega lombarda furono nuovamente scomodati per aggiudicare a Vicenza Bassano e le altre ville, castra et loca circostanti passate sotto l’ombrello protettivo dei padovani (assenti alla sentenza)[120], e il 1220 circa, quando un effettivo predomi­nio politico vicentino cominciò a consolidarsi, non va perso di vista il soggettivo punto di vista di cronache e talora di documenti per cui di volta in volta le opzioni bassanesi, con la costante mediazione di Ezzelino II (tav.3 e fig.3)

04. Ezzelino amministra la giustizia (2)

3. F. Antonibon, Ezzelino grazia il figlio Pietro, metà del XIX secolo. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, inv. 339. Il pittore raffigura l’episodio che vede la madre Gisla perorare la grazia per Pietro, figlio illegittimo di Ezzelino, reo di aver congiurato contro di lui nel 1246.

(e spesso in conseguenza di un suo più ambizioso disegno di leadership su uno schieramento di dimensioni ormai regionali), vengono presentate o come intolle­rabile ribellione o come sacrosanta richiesta di protezione, e le risposte ad esse ora come provvidenziali atti di giustizia, ora come illegali usurpazioni. Lo sviluppo istituzionale del comune di Bassano non sembra particolarmente veloce. La comunità bassanese attraversò i decenni tra il XII e il XIII secolo avendo una tutto sommato arcaica veste istituzionale (marighi e giurati di nomina comunale ma verosimilmente col beneplacito signorile compaiono dal 1211, un vicedominus nel 1214 e 1223, giudici quasi sicuramente attivi come nel passato «ex mandato domini Ecelini» sono attestati in atti del 1212, 1214 e 1215)[121]. Non sussiste - significativa­mente - nessuna traccia di rettori o podestà annuali vicentini chiamati o spediti a presiederla, laddove, com’è noto, proprio l’invio d’un podestà fece parte fin dal primo Duecento delle prerogative di governo dei centri minori del territorio rivendicate dai comuni urbani dell’area padana. Lo stesso comune padovano, che in centri urbani minori alleati o protetti, come Conegliano o Belluno, riuscì a piazzare più volte propri podestà tra la fine del XII secolo e i primi decenni del Duecento[122], a Bassano non riuscì ad attuare le medesime mire. In realtà furono questi anni di contrasti aperti e di sostanziale compromesso nei quali, a parte i rapsodici oneri di natura militare, la pressione di Vicenza si ridusse sostanzialmente a un crescente intervento della borghesia cittadina sul mercato immobiliare e creditizio locale, rintuzzato dai Bassanesi con evidente difficoltà ma non senza successi grazie a meccanismi di insolita permeabilità e circolarità fra finanze comunali, ricchezza privata e risorse signorili. Nel lodo arbitrale pronunciato nel 1218 dal priore padovano Giordano Forzatè tra Vicenza e i da Romano Bassano era espressamente citata assieme a Marostica, Angarano e Fontaniva fra le «terre domini Ecelini» quelle, cioè, in cui egli era palesemente detentore di «iurisdicionem vel comitatum». Tuttavia si conveniva almeno di sfuggita che essa era in Vicentina. E sia pure fra dillucidationes tutt’altro che inoppugnabili, se ne fissava in forme speciali ma sufficientemente efficaci la soggezione al comune di Vicenza, ripristinando l’asserito status quo anteriore al 1209[123]. E inoltre, sia pure con fatica e a intermittenza, Vicenza riesce a imporre la sua autorità sul piano fiscale. In effetti le fonti narrative ricordano che nel 1221 Bassano divenne addirittura temporaneo centro di raccolta dei fuorusciti vicentini, e che i da Romano furono banditi da Vicenza per la mancata corresponsione delle 700 lire di colletta loro imposta da un podestà fieramente ostile alla loro politica[124]. Questo significa che Vicenza voleva imporre un prelievo fiscale, più o meno continuativo, e nonostante queste opposizioni la sostanziale presa d’atto della superiorità politica di Vicenza si espresse proprio nel paga­mento di tributi straordinari (conosciuti come colta o colletta) anche assai consi­stenti (tra le 10.000 e le 15.000 lire di denari veneti)[125], nell’accettazione formale della capacità mediatrice degli statuti e delle magistrature vicentine di fronte all’enorme contenzioso prodotto dalla invadente aggressività dei feneratori citta­dini, nel pagamento di multe e sanzioni. Fu un’evoluzione certo non indolore e non del tutto pacifica; ne sono testimonianza ad esempio nel 1223 le proteste per l’estensione a Bassano di gravami previsti dal comune urbano per tutti i tavernieri e i mugnai del territorio, oppure l’ammenda di 2.000 lire subita un decennio dopo dai marighi bassanesi per ribellioni e offese alle autorità comunali della città berica[126]. Dunque Bassano si ribella a una vera “vicentinizzazione” e ha forti anticorpi di autonomia. Se non è da condividere la recente affermazione che tra XII e XIII secolo Bassano «non era mai stato effettivamente dipendente da Vicenza», bisogna riconoscere che si manifestano prerogative signorili e potenzialità autonomistiche ancora ragguardevoli e nella sostanza impregiudicate. E tutto questo si impernia sui da Romano. «Crescit Baxani potencia», avrebbe per l’occasione osservato Ezzelino II[127], rinfocolando le attese in un progetto che fu suo e dei figli (quello, cioè, di costruire la fortuna della famiglia insieme a quella di una “quasi-città” proprio ai piedi di quelle Alpi da cui gli antenati erano calati). Per questa autonomia bassanese, basti pensare al tono di una sentenza ufficiale emanata tra il 1229 e il 1230 in pieno consiglio comunale dal podestà di Vicenza di fronte ad alcuni Bassanesi sfuggiti ai da Romano e riparati in città: che cioè come ricorda il Maurisio «potestas comitatum et iurisdicionem Baxani esse domini Alberici et ad ipsum pertinere»[128]. Dalla stessa fonte[129] si realizza del resto che anche nel 1228, in occasione dell’attacco sferrato da Padovani e Trevigiani, sia Ezzelino sia il fratello Alberico, risiedevano «in Baxani palacio» col loro stato maggiore e furono protagonisti della difesa del centro pedemontano. Ma si pensi anche ad altri fatti: per tutta la prima metà del Duecento continua a non esservi mai menzione di un podestà imposto da Vicenza; oltre alle magistrature locali vediamo rapsodicamente attivi solo giudici di curia dei da Romano sia nel 1232[130], sia dopo che l’arbitro e pilota della vita economica e amministrativa della terra bassanese, Ezzelino III, affermò la sua signoria personale su gran parte della Marca Trevigiana[131]. Tutto congiura a dimostrare peraltro che nel ventennio 1239-1259 Bassano godette quanto meno di un regime privilegiato come camera specialis ovvero patrimonio particolare di Ezzelino, e fu non solo sollevata da ogni sorta di contribuzione ordinaria e straordinaria verso Vicenza, ma godette anche di un autonomo reggimento sotto un “visdomino” con competenza militare e giurisdizionale su tutta la fedelissima fascia pedemontana[132]. Una corona di “terre” vicine, costituente il suo naturale hinterland controllate con eguale gelosia, continuò a farle da valido scudo. Era il minimo che si dovesse alla perla dei domini privati del signore che per amore o timore divenne padrone d’una intera regione e godette del massimo riguardo da parte di Federico II. Si pensi alla vicenda del comune rurale vicentino di Friola che, ribelle a Ezzelino, nel 1259 si diede ai Padovani, i quali munirono il luogo di fosse e altre difese. Ezzelino, sceso appositamente da Brescia, la punì barbaramente «non tantum indignatus de loco, de quo parvam gerebat curam, quantum quod locus erat in confiniis et in partibus de Baxano, quem habebat quasi pro sua camera speciali»[133]. Sul fatto che le terre dei fedeli Pedemontani siano rimaste saldamente in mano al “tiranno” non sussiste d’altronde il minimo dubbio. Del tutto infondata è ad esempio l’affermazione che il castello di Angarano sia passato nelle mani dei Dalesmanini di Padova e che Ezzelino l’abbia attaccato e distrutto nel 1250[134]. In realtà Angarano, che i Vicentini cercarono di strappare a Ezzelino II alla fine (non alla metà) del XII secolo, fu sempre dei da Romano, che lo usarono tra l’altro come carcere per gli avversari politici nel 1212 e nel 1250 [135].

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