Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Il totale silenzio delle fonti letterarie cui, purtroppo, non possono sopperire né le rare testimonianze epigrafiche[7] né la vasta documentazione archeologica, pur utilissima, come si vedrà, per conoscere organizzazione e assetto territoriali, le vicende storiche di quest’area debbono essere ricostruite per linee analogiche sugli avvenimenti politici e militari che interessarono la Cisalpina in generale e, più in particolare, Patavium, delle quali si traccia qui una rapida sintesi[8]. Al di là dei presupposti e forse leggendari contatti fra Veneti e Romani verificatisi già agli inizi del IV secolo a.C., quando i Galli, spintisi fino a Roma, furono costretti a ritirarsi in seguito a un’improvvisa incursione dei Veneti nei loro territori[9], il primo atto ufficiale fu l’invio, nel 225 a.C. di un’ambasceria da parte dei Romani ai Veneti, oltre che ai Galli Cenomani, per richiedere aiuti militari, poi ottenuti, contro l’attacco congiunto di Insubri, Boi e Gesuati[10]. Cinquant’anni dopo, nel 175 o nel 174 a.C., stando al racconto di Tito Livio, gli abitanti di Patavium chiesero al senato romano di intervenire per sedare un violento contrasto interno che minava la vita stessa della città: fu inviato il console Marco Emilio Lepido, che, composti i dissidi, fece ritorno a Roma[11]. La data fondamentale per la romanizzazione è il 148 a.C. quando attraverso queste terre venne tracciata la via Postumia, l’importante strada militare voluta dal console Spurio Postumio Albino per unire rapidamente Genova con Aquileia[12]; la sua costruzione comportò inevitabilmente la presenza in un territorio che ancora non era giuridicamente romano, ma che forse già gravitava, in una forma simile al protettorato, nell’orbita di Roma, di truppe con l’enorme apparato logistico che imprese di tale genere richiedevano[13]. Forse questo avvenimento alterò gli ormai precari equilibri esistenti fra le varie comunità venetiche e innescò una serie di contese riguardanti i confini territoriali, talmente irrisolvibili da richiedere più volte l’intervento, sotto forma di arbitrato, del senato romano, che inviò magistrati con poteri esecutivi. Alcune iscrizioni, infatti, ricordano che nel 141 o nel 116 a.C. (la data, purtroppo, non è precisabile) venne risolta la controversia tra Atestini e Patavini[14] e nel 135 a.C. quella tra Atestini e Vicentini[15]. Il fatto che i decreti del senato romano, destinati ad essere esposti in aree dove la lingua venetica era ancora in uso, fossero redatti in latino con l’impiego di formule imperative, come poni iussit (“ordinò che fossero posti”), indica un’indubbia preminenza romana, se non già un’ egemonia, sulle locali comunità venete[16]. Nei decenni che seguirono il processo di romanizzazione si effettuò e si completò da un lato con l’adesione spontanea, soprattutto da parte delle élites locali, ai modelli politici e culturali di Roma, con un processo che viene definito “autoromanizzazione”[17], dall’altra con una serie di misure di carattere giuridico, attuate dal governo romano, che portarono gli abitanti dei centri veneti, tra cui Padova, a beneficiare subito dopo la guerra sociale (91-89 a.C.) del diritto latino (ius Latii), con la creazione di colonie latine “fittizie”. Queste non comportavano una reale deduzione di coloni, ma consentivano di godere nei rapporti con Roma di alcuni diritti, come quelli di matrimonio, di commercio, di voto se residenti a Roma, che si avvicinavano molto a una completa integrazione. Tra il 49 e il 42 a.C. le varie città della Cisalpina, tra cui Padova, da “colonie latine fittizie” divennero municipi e i loro abitanti ottennero la piena cittadinanza romana, segno di una ormai compiuto inserimento a pieno titolo nello stato romano[18]. Non molti anni dopo, all’incirca nel 7 d.C., in seguito alla riforma augustea, che suddivise l’Italia in undici regioni, Padova e il suo territorio vennero inseriti nella X regio Venetia et Histria. I secoli che seguirono furono segnati da una pace operosa, che rese questo comprensorio uno dei più prosperi della Venetia, e che solo sporadicamente fu interrotta da eventi degni di nota. Nel 68 a.C. durante la lotta fra Vitellio e Vespasiano Padova si schierò con Vespasiano e fu anche, per un breve periodo, sede di due legioni[19]. Nel 166 d.C. l’incursione dei Quadi e dei Marcomanni, che penetrarono con altre popolazioni profondamente nell’Italia settentrionale lungo la via Postumia, portò devastazioni terribili in gran parte della Venetia; solo l’intervento diretto dei due Augusti Marco Aurelio e Lucio Vero costrinse gli invasori al ritiro[20]. Questa vicenda ebbe pesanti conseguenze sulla vita economica di quest’area, che già si era avviata verso una congiuntura regressiva: pesanti spese imposte, spesso con la forza, agli abitanti per sostenere le truppe stanziate sul territorio, calo demografico, abbandono delle campagne e contrazione degli insediamenti, rallentamento, quando non paralisi, dei traffici commerciali. E un’interessante testimonianza è rappresentata dal fenomeno dell’occultamento in ripostigli delle monete di bronzo, legato non solo a eventi politici o militari, ma anche, e soprattutto, alla volontà di tesaurizzare le monete in bronzo in un periodo in cui le monete di questo metallo acquistavano sempre più valore, a causa della rarefazione di quelle in argento[21]. Nel territorio di Bassano rinvenimenti di ripostigli si segnalano nel moderno centro urbano in via Fontanelle, in via Schiavonetti e in una zona periferica purtroppo non precisabile, oltre che a Rivoltella, a Cassola, a Sarson, a Mussolente[22]. Nel 297 d.C. nel quadro delle riforme attuate da Diocleziano, quando anche l’Italia venne divisa in provincie, Padova e il suo agro vennero comprese nella nuova provincia Venetia et Histria con capoluogo Aquileia. Nei secoli seguenti si intensificò sul territorio patavino la presenza di consistenti contingenti militari, anche barbarici, come i Sarmati Gentili, mentre una lenta inarrestabile decadenza, la stessa che interessò profondamente tutte le attività produttive e commerciali dell’Italia settentrionale, colpì l’economia di quest’area. Continuarono tuttavia, almeno fino al V secolo d.C. pur in scala ridotta le importazioni di merci dal Mediterraneo, come il vino dalla Palestina o il vasellame da mensa dall’Africa[23].

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