Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Molti aspetti dei cambiamenti sopra descritti restano da spiegare. Perché negli anni Sessanta divenne più facile “mettersi in proprio”? Da dove provenivano i capitali che consentirono l’avvio o il consolidamento di nuove attività produttive? Quale ruolo giocarono gli enti locali? È possibile individuare un nesso tra queste trasformazioni e la mancanza di una organica regolamentazione dell’uso del territorio a livello comunale? In generale, la storiografia economica ha individuato tra i fattori determinanti della localizzazione di nuove imprese non tanto le agevolazioni previste dalle leggi sulle aree depresse (la 635/1957 e la 614/1966)[55], ma soprattutto l’impegno delle amministrazioni comunali nel facilitare laddove possibile l’insediamento delle attività produttive, soprattutto attraverso facilitazioni nell’acquisto dei terreni o attraverso licenze di costruzione che ne modificavano l’utilizzo e soprattutto il valore catastale[56]. Da questo punto di vista, il caso di Bassano consente alcune riflessioni sul ruolo giocato da una politica di gestione del territorio connotata da notevoli difficoltà nel dotarsi di trasparenti strumenti di programmazione urbanistica, ma tuttavia disposta a intervenire direttamente per assecondare lo sviluppo economico di una realtà caratterizzata da una diffusa propensione all’imprenditorialità. Numerosi studi hanno sottolineato gli effetti perversi dell’assenza di un’organica politica territoriale a livello locale, che sola avrebbe potuto impedire «la sistematica trasformazione delle utilità collettive offerte dal territorio dalle infrastrutture alle risorse ambientali in valori appropriabili dai percettori e dagli intermediari della rendita». Si è scritto, con qualche ragione, che questa modalità di governo del territorio orientava la spesa pubblica «verso infrastrutture la cui funzione e la cui localizzazione rispondevano principalmente a interessi privati particolari, non coincidenti con quelli di un uso razionale dello spazio e della salvaguardia dei valori e dei beni ambientali», dei quali ben poca coscienza vi era in quegli anni. Tuttavia, l’analisi delle concrete azioni amministrative poste in atto a Bassano smentisce in qualche modo l’idea che questo tipo di politica abbia sempre e comunque finito per premiare «il capitale non direttamente produttivo a scapito degli investimenti e delle figure sociali produttive, incoraggiando famiglie e imprese a investire nel settore immobiliare anche dove e quando esso» era «economicamente parassitario»[57]. Con questo non si vuole affatto negare la presenza di speculazioni immobiliari in città, che vi furono, quanto piuttosto sottolineare il carattere tutt’altro che improduttivo di buona parte di quegli interessi privati che furono ampiamente favoriti dall’assenza per tutti gli anni Sessanta di un quadro normativo che regolamentasse gli usi del suolo e da una prassi caratterizzata da una notevole elasticità nell’assegnazione delle licenze di fabbricazione. L’accondiscendenza dimostrata dagli uffici comunali nei confronti delle richieste di trasformazione di lotti agricoli in aree fabbricabili assecondò certamente la diffusione a macchia d’olio della residenza, ma consentì nel contempo a molti piccoli e piccolissimi proprietari di offrire in garanzia i propri terreni (il cui valore era notevolmente aumentato in seguito alla mutata destinazione d’uso) per ottenere dagli istituti di credito prestiti e mutui da utilizzare per avviare attività produttive di ogni genere[58]. Nel contempo, il Comune si attivò per mettere a disposizione di chi intendesse insediare un’attività manifatturiera a Bassano terreni precedentemente classificati come agricoli. Le nuove industrie finirono peraltro per orientarsi soprattutto a soddisfare la domanda in espansione di mobilio, elettrodomestici e serramenti, nonché di materiali edili e impiantistica, domanda in buona parte generata dallo stesso sviluppo incontrollato dell’edilizia residenziale. È quindi possibile sostenere che nel corso degli anni Sessanta gli stimoli provenienti da una politica di contemporaneo incentivo alla formazione della piccola impresa e alla corsa alla casa in proprietà si sommarono, consentendo l’irrobustimento di un tessuto manifatturiero capace di offrire un’alternativa occupazionale alle crescenti difficoltà della grande impresa, della quale in tal modo incorporava il patrimonio di competenze professionali, superando l’arretratezza tecnologica che tradizionalmente lo caratterizzava. 

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