Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Ma è la decorazione di facciate e degli intonaci interni degli edifici, civili, privati e chiesastici, in fasce decorate a figure e non, che rappresenta la palestra di un’intera generazione di pittori, la cui produzione è anonima e non collegata, per il momento, con opere realizzate. Gli atti del Consiglio di Bassano attestano l’attività, dopo il 19 novembre 1482, di «uno dei pittori di Bassano» per un fregio nella Loggia di Palazzo Pretorio[189]. Non è semplice capire a quali pittori si riferisse la delibera del Consiglio. Risultano attivi in città nella seconda metà del Quattrocento i pittori Giovanni e Cristoforo Roberti, Zenone Betussi, Girolamo Campesan e Giacomo e Nicolò Nasocchi[190]. E’ locale il pittore che, lavorando su un substrato stilistico ancora medievale, e, nel paesaggio, ancora su suggestioni tardogotiche rese con evidenza e suggestione popolare, esegue la tavola con San Pancrazio (fig.69),

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69. Bottega dei Nasocchi (?), San Pancrazio, olio su tavola. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
La tavola, realizzata con un linguaggio semplificato e popolareggiante, testimonia la ricostruzione tardoquattrocentesca della chiesa di Margnan (ora dei Cappuccini).

ora in Museo, proveniente dalla chiesa quattrocentesca omonima, retta tra il 1411 ed il 1452 dall’eremita veneziano Pietro Malerba, portata da lui ad essere il centro della vita religiosa della città e ceduta alle monache agostiniane di San Giovanni Battista nel 1478, ricostruita e riconsacrata nel 1489, data alla quale può riferirsi la tavola con il santo titolare[191]. I documenti e gli studi ci consentono, tuttavia, di dare un volto solo alla produzione dei Nasocchi[192], eletti a deus ex machina dell’intera decorazione di fine Quattrocento e primo Cinquecento a Bassano, anche se la situazione attributiva deve considerarsi, proprio per la presenza di altri artisti, maggiormente variegata. La chiesa del monastero di Santa Croce, che sappiamo allungata ed allargata nelle forme attuali nel secondo Quattrocento[193], porta sotto le travi un fregio con putti su cavalli entro girali inframmezzati ad oculi con mezzi busti di santi benedettini; in uno di essi la data 1495 attesta con ogni probabilità il completamento della decorazione (fig.70).

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70. Bottega dei Nasocchi, Fregio figurato con San Benedetto, affresco. Bassano del Grappa, fraz. Campese, Chiesa di Santa Croce.
Il fregio, datato 1495, completa il rifacimento tradoquattrocentesca della chiesa benedettina in modi che richiamano la miniatura del periodo.

Stilisticamente il decoro sembra derivato dall’ ambito miniatorio ed in particolare dal “Maestro dei putti”[194] e si trova trasposto in pittura nell’abside vecchia di Santa Giustina a Padova da parte di “Maestro Angelo”, forse Angelo Zotto, nel nono decennio del secolo[195]. La dipendenza del Monastero di Santa Croce a Campese da quel cenobio costituisce il sicuro tramite del decoro. La presenza di Nicolò Nasocchi in un atto del 1480 dei Benedettini di Campese potrebbe, come ipotizza la Larcher[196], attestare la sua responsabilità diretta nell’esecuzione degli affreschi. Una decorazione tipo logicamente simile compare in uno stanzone del secondo piano del corpo a nord del cortile interno di Palazzo Pretorio, un fregio sottotravi con due angioletti con delfini che reggono oculi con un Cristo passo (fig.71).

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71. Bottega dei Nasocchi, Fregio figurato con Cristo passo, affresco. Bassano del Grappa, Palazzo Pretorio.
Il repertorio figurato, ancora recuperato dal prontuario della miniatura, presenta uno stile affine al fregio di Campese.

Tipologicamente simile è anche la decorazione, con putti su delfini e vasi di una stanza al pianterreno di Palazzo Ronzoni Zanchetta Del Fabbro ora FAI in via Verci, che trova un precedente nella decorazione sanseverinesca di Palazzo Pretorio a Cittadella, opera di un artista padovano[197]. In entrambi i casi i caratteri stilistici rimandano alla decorazione di Campese e quindi alla mano di Nicolò Nasocchi. Il fregio di casa Perli Padovani[198], modificato in un recente restauro non rispettoso della materia pittorica originale pare appartenere ancora alla medesima mano. Di maggiore qualità la decorazione esterna di casa Bonamigo, eseguita in anni successivi al 1497, anno di completamento della costruzione del nuovo edificio, con una decorazione fantastica di matrice mantegnesca con delfini ed altri animali marini, resi con un disegno onirico e franto nei profili[199](fig.72).

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72-73. Bottega dei Nasocchi (?), Fregi figurati (affresco) Bassano del Grappa, palazzo Bonamigo, esterno e Palazzo Sale Pengo, interno.
Stilisticamente più liberi e qualitativamente più raffinati dei fregi di Campese e di palazzo Pretorio, gli affreschi di casa Bonamigo e Sale Pengo sembrano riferirsi già ai primi anni del Cinquecento.

Lo stesso artista esegue, al piano terra di casa Sale Pengo un fregio sottotravi con animali marini danzanti e putti che cavalcano delfini[200](fig.73) e il medesimo disegno franto con sfingi, tritoni e mezzi busti di profilo entro ghirlande compare in una stanza al secondo piano di Palazzo[201] e nella stanza a sud del primo piano di casa Sbordone ove il fregio ospita tritoni barbuti con il tirso affrontati con vasi, ed al di sopra, entro metope, le figure profetiche di Isaia e Geremia, identificati dai cartigli[202]. I medesimi caratteri stilistici compaiono nel più bello dei brani eseguiti da questo artista, eseguito nella galleria superiore del chiostro del Monastero dei santi Felice e Fortunato, con angeli che reggono clipei con mezzi busti in prospettiva. L’immagine del santo in abiti mondani (San Felice?) ricalca il medesimo santo dipinto sulla faccia esterna del coronamento dell’edicola lombardesca costruita dai Serviti nella chiesa di Santa Maria delle Grazie (tav.29) accanto alla porta omonima, rivelando, come vedremo, la presenza nella decorazione ad affresco della città di un artista di formazione o di bottega montagnesca. La costruzione della Chiesa di santa Maria delle Grazie, ad ingrandimento dell’edicola tardo-trecentesca, di cui si è parlato nel capitolo precedente, era iniziata in occasione della peste del 1482 per volontà di don Ludovico Ricci, ma i lavori erano in corso nell’estate del 1492, quando Pietro da Treviso dei Servi di Maria richiede al Comune che l’edificio sia affidato ai religiosi del suo ordine, completato nel 1495[203] e quando, il 9 novembre del 1493, il Consiglio della città dispone di donare alla «cappella della Beata Vergine delle Grazie» «una colonna in pietra ed i suoi capitelli che giace spezzata in una casa del Comune»[204]. La chiesa, che sarà inaugurata nel 1539, nasce parallela alle mura con l’entrata affiancata alla porta della città e di fronte all’immagine tardo duecentesca, che viene riquadrata in un’edicola in pietra serena dipinta e dorata e coperta da un protiro in pietra bianca anch’esso dipinto e dorato. La lunga aula, accorciata ed alienata a partire dalla demanializzazione seicentesca, aveva tre altari e, nelle arcatelle in alto sulle pareti, rivela, nel suo discreto lessico palladiano e nei segni non forzati in profondità, un linguaggio architettonico di primo Cinquecento. Il protiro, che ospitava l’altare maggiore, costruito nella campata tangente la porta, e decorato con un prontuario classicheggiante di candelabre intagliate e dorate su fondo di azzurrite, rivela un impianto lombardesco in modi non lontani da quelli della cappella Pojana in San Lorenzo a Vicenza, di vent’anni anteriore. Quando, il 13 settembre 1502 Francesco «vasellarius» disponeva, in testamento il lascito di 2 ducati «in ornamento capelle et altaris ipsius intemerate Virginia»[205], l’edicola marmorea doveva essere già eretta e, in considerazione dell’esiguo importo, si può supporre che con la sua donazione si costruisse la piccola cornice in pietra serena dipinta che è collocata davanti all’immagine duecentesca. La collocazione casuale e senza fini statici della colonna inserita nel muro e dei capitelli in marmo rosso di Verona sotto l’edicola sembra essere avvenuta in un momento successivo alla costruzione del protiro, antecedente con ogni probabilità o in corso nel novembre del 1493, quando il Consiglio si ricorda di una colonna da riutilizzare. Il protiro (tav.29) presenta una decorazione ad affresco interna ed esterna, nel coronamento con finti marmi e quattro tondi entro un serto di alloro con quattro teste maschili, due delle quali sono state da tempo riconosciute, in base ai cartigli con l’iscrizione conservata[206] in San Filippo di Cantalice, in veste nera e cappuccio, e San Valentino (figg.74-75),

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74-75. Bartolomeo Montagna (Vicenza ? 1449ca – Vicenza 1523), san Filippo di Cantalice, san Valentino (1493-1495). Bassano del Grappa, chiesa di Santa Maria delle Grazie.
La decorazione del protiro lombardesco fu eseguita dal più importante pittore vicentino del momento, come testimoniano la costruzione delle figure, la scelta della corona vegetale che incornicia la teste e la resa pittorica dei marmi.

tutte molto connotate stilisticamente. Le vele interne del protiro sono dipinte di azzurro con stelle dorate e su di esso sono collocati degli ovati con I Padri della Chiesa entro tondi in prospettiva (fig.76),

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76-77. Giovanni Speranza de’ Vajenti (Vicenza 1470ca-ante 1536); Francesco Nasocchi, Sant’Ambrogio. Bassano del Grappa, chiesa di Santa Maria delle Grazie, chiesa di San Fortunato.
La decorazione della rinnovata chiesa benedettina di san Fortunato è documentata come opera di Francesco Nasocchi ed è ispirata dagli affreschi del protiro della chiesa delle Grazie.

che si inseriscono in maniera differente e non regolare al centro delle vele e che paiono essere stati aggiunti quando la campitura di azzurrite con stelle dorate era già stata totalmente eseguita. La decorazione interna del protiro era già stata realizzata nel 1501 quando Francesco Nasocchi la riprende quale modello per gli affreschi interni della chiesa benedettina di San Fortunato ove compare, tra l’altro, la medesima raffigurazione dei Padri della Chiesa, San Girolamo, Sant’Ambrogio, Sant’Agostino e San Gregorio (fig.77) entro oculi retti da putti con cornici a festoni a girali vegetali bianchi su fondo rosso nei pennacchi della stessa. La decorazione dell’edicola lombardesca deve risalire in una data immeditamente successiva al 1493 e rivela due mani, di grande qualità quella che esegue esternamente la finitura a finto marmo cipollino con i mezzi busti di Santi alle estremità degli spicchi degli archi entro sottili rami di foglie con un nastro in alto, di un allievo meno dotato i tondi interni. La raffinata resa naturalistica dei marmi del fondo e del rametto con le foglie dipinte di getto nei toni scuri dell’ombra e nel verde brillante delle porzioni in luce, la forza raccolta del volto del monaco, dove il tocco di biacca segna la luce nel labbro superiore e nella parte interna del sopracciglio ed un tratto di scuro si allunga da sotto l’occhio a segnare le rughe laterali, la mondanità della ricerca dell’abbigliamento e delle catene d’oro dei due santi in abiti contemporanei come San Valentino, la squadrata definizione dei volti segnati da una forte ombreggiatura e da tocchi di luce nell’arcata superiore dell’occhio, lungo il naso, appartengono a quel prontuario di segni che appartiene alla mano di Bartolomeo Montagna in una data compresa tra la pala eseguita intorno al 1490 per la chiesa di San Biagio a Vicenza, ora a Brera e la pala Squarzi, eseguita intorno al 1496 per la chiesa di San Michele ancora a Vicenza e parimenti a Brera[207](fig.78),

78-BartolomeoMontagna

78. Bartolomeo Montagna (Vicenza ? 1449ca – Vicenza 1523), Madonna con il Bambino e Santi (pala Squarzi). Milano, Pinacoteca di Brera.
La grande pala, eseguita per la chiesa di san Michele a Vicenza, si segnala nell’ambito della ricerca montagnesca sulla struttura della pala d’altare, qui arricchita di materiali raffinati e preziosi e di un colorismo acceso.

dove compare, nel San Sigismondo una riproposizione del San Valentino sul protiro servita di Bassano (figg.79-80).

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79-80. Bartolomeo Montagna (Vicenza ? 1449ca – Vicenza 1523)
Il confronto di un particolare della pala Squarzi eseguita nel 1496 dal Montagna per la chiesa di San Michele a Vicenza ora a Brera con l’affresco bassanese conferma l’attribuzione.

La peculiare scelta di simulare le superfici in marmo compare nelle architetture della pala per San Biagio in maniera così invadente da rappresentare l’elemento portante dell’intera figurazione e da giustificare la scelta disomogenea rispetto ai materiali e all’intonazione generale del coronamento dell’edicola bassanese di scegliere per i fondi un finto marmo rosso. Circa la commissione, l’affresco della chiesa bassanese segue l’impegno di Bartolomeo Montagna per la chiesa madre servita di Monte Berico, dove l’artista aveva eseguito, intorno al 1490, una Pietà di affettuoso intimismo e di profonda religiosità[208].
I Padri della Chiesa entro ghirlanda sul cielo stellato della volta dell’edicola, dalla materia sofferta, non hanno la medesima forza costruttiva, le superfici pittoriche appaiono dilatate e distese e la stesura pittorica dei volti è modulata pittoricamente, non costruita con contrapposti piani di luce e di ombra; tutto ciò rivela un artista già proiettato verso la cultura pittorica del Cinquecento, un artista per il quale la lezione di Bartolomeo Montagna è quella di un maestro. In tre figure la fisionomia appare particolare nei volti rigidamente allungati con altrettanto lunghi nasi aquilini, caratteri che compaiono nei dipinti di Giovanni Speranza, allievo di Bartolomeo Montagna a partire dal 1488, sia nella pala di Gambellara, come in quella di San Giorgio di Velo d’Astico, entrambe da collocare in anni intorno al 1500[209](figg.81-82).

81-82-GiovanniSperanza

81-82. Giovanni Speranza de’ Vajenti (Vicenza 1470ca-ante 1536), Santo, San Girolamo (part.), tela, affresco. Velo d’Astico, chiesa di San Giorgio; Bassano del Grappa, chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Il confronto dell’affresco bassanese con la prima produzione dell’allievo di Montagna conferma l’attribuzione.

Dopo l’intervento per l’edicola servita di Santa Maria delle Grazie, la presenza di Bartolomeo Montagna nel Bassanese sarà continua negli anni a cavallo tra Quattro e Cinquecento; dopo l’importante impresa della parrocchiale di Cartigliano, ancora allo scadere del secolo[210], alla quale pare partecipare ancora lo Speranza, la Confraternita della Concezione della Beata Vergine Maria della chiesa di San Francesco richiede al Consiglio della Città la facoltà di costruire una nuova cappella ed un altare in onore dell’Immacolata Concezione, che saranno eseguiti nel 1502, occupando lo spazio attiguo alla cappella di San Pietro, con ogni probabilità esterno[211], spazio che sarà dotato di una pala a più comparti («sopra del quale sta esposta la sua Santissima immagine con altre piture»), eseguita ancora dal grande pittore vicentino Bartolomeo Montagna. Lo stesso Montagna, l’anno successivo eseguirà un dipinto per il contiguo altare di San Lorenzo[212], disposto in testamento da Pietro Compostella fu Gherardino. La presenza di Bartolomeo Montagna a queste date a Bassano consente di comprendere meglio i successivi sviluppi della pittura rinascimentale in città e soprattutto i modi della pittura dei Nasocchi e di Francesco Bassano il Vecchio. Gli affreschi nella chiesa servita di Santa Maria delle Grazie, il polittico dedicato alla Madonna Immacolata a più comparti e la pala di San Lorenzo, attestati da fonti più tarde, anche se non ancora ritrovati, furono certamente realizzati e costituiscono, prima della grande decorazione a fresco del Salone dei Vescovi di Padova , la più unitaria impresa del pittore vicentino e la prima significativa impresa fuori della città natale. Se ancora è il tempio francescano della città a segnare nuovamente un momento innovativo nella storia pittorica di Bassano, è ancora in San Francesco che un affresco con l’Immacolata Concezione (fig.83)

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83. Artista trentino, L’Immacolata Concezione, affresco. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco.
La rara iconografia della donna dell’Apocalisse, sulla falce di luna, conferma l’attenzione dei Francescani per il dogma dell’Immacolata.

segna il ponte con la cultura nordica, secondo quella continuità di rapporti che costituisce la costante dell’arte bassanese. L’immagine, raffigurata secondo la rara iconografia della Vergine come “donna dell’Apocalisse” per la falce di luna, iconografia codificata dalla diffusissima incisione di Martin Schongauer, è collocata sul pilastro destro del presbiterio e fu eseguita già nei primi decenni del Cinquecento per volontà di Giovanni Tombernaw, come recita la monca iscrizione sottostante[213] da un artista di formazione trentina. Altrettanto interessante in questa fase della cultura cattolica triveneta è la doppia riproposizione, una delle quali affidata al pittore emergente Bartolomeo Montagna, da parte dei Francescani della città di Bassano del dogma dell’Immacolata, ai primordi della sua raffigurazione in un momento di forte contrasto dottrinale tra francescani e domenicani sul tema dell’esenzione di Maria dal peccato originale, diatriba che continuò oltre il 1477, quando Sisto IV ne sanciva la solennità liturgica[214] e che vede ad Asolo, da parte di Lorenzo Lotto, nel 1508, una grande interpretazione artistica, nonché un importante segnale dottrinario e speculativo[215]

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