Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

A guardare la direzione che i bassanesi presero nell’espressione del proprio voto per il plebiscito del 4 ottobre del 1866 relativo all’unione all’Italia, appare difficile se non impossibile non riconoscere un forte sentimento di adesione alle istanze risorgimentali da parte di ampi strati della popolazione, o quantomeno dei quadri dirigenti: ben 3508 votanti su 3522 votarono a favore, nessun voto contrario e 14 voti nulli. Era ancora fresca la memoria dell’ingresso in città, il 18 luglio dello stesso anno, del Regio Esercito Italiano guidato dal generale Giacomo Medici, e la quasi immediata richiesta di entrare nel regno avanzata a Padova, insieme agli omaggi della città, da due maggiorenti bassanesi - Bortolo Caffo e Tiberio Roberti - allo stesso Vittorio Emanuele II[25]. E in effetti un tale sentimento si spiega anche ricordando come Bassano Veneto non era stata avara nel fornire martiri alla causa unitaria e nell’opporsi alla dominazione austriaca. Non si tratta di mera retorica costruita su un patriottismo ex post. Bassanesi si potevano contare tra i Cacciatori delle Alpi, nell’esercito regolare, tra i volontari in Sicilia, a Napoli, in Trentino e perfino tra i Mille di Marsala, come commemorava nel 1868 Pasquale Antonibon[26]. A riprova, ancora, va ricordato come Bassano fosse stata la sede di un comitato segreto per gli esuli politici. Questo favore per l’unità trova una spiegazione nella élite culturale cittadina. Nella seconda metà degli anni 60 la città vedeva al suo interno infatti una presenza culturale importante, per certi aspetti unica nel suo genere in Veneto: un circuito coerente e organizzato di sacerdoti cattolici liberali antitemporalisti. Questo circuito di intellettuali si vide protagonista della fondazione nel 1866 di una società dal nome Unione Liberale, che cambiò quasi immediatamente il nome in Società democratica progressista[27]. Questa società si pose alla guida di un periodico, «Il Brenta», preesistente alla stessa società, che divenne il più importante laboratorio ideologico di questa piccola élite cattolico-liberale bassanese (fig.7).

7CorrieredelBrenta

7. Il Corriere del Brenta. Rivista settimanale di scienze, lettere, arti, agricoltura, statistica, industria, commercio teatri e varietà, Anno I, n.1, Lunedì 22 maggio 1865. «Il Brenta» che sostituisce il "Corriere del Brenta", giornale della Società democratica progressista, divenne il più importante laboratorio ideologico della piccola élite cattolico-liberale bassanese.

La redazione de «Il Brenta», comprendeva, oltre al Malucelli, diverse personalità di spicco della cultura e dell’amministrazione bassanese: Valentino Berti, Enrico Caporali, Antonio Marini, Achille Bardella, Tiberio Roberti, Luigi Chiminelli, Domenico Pavan, Pietro Bonvicini, Pasquale Antonibon. Negli anni appena precedenti alla breccia di Porta Pia questo periodico, prima settimanale e poi bisettimanale, poneva al centro del dibattito pubblico il problema del potere temporale del Papa, sostenendo un’incompatibilità assiomatica tra questo e l’indipendenza dell’Italia. Questo tema aveva un valore paradigmatico, stabilendo, in rapporto ad esso una chiara opposizione tra reazione e progresso, dispotismo e libertà, dogmatismo gesuitico e libertà di coscienza[28]. La lotta si estendeva, come facile immaginare, al tema dell’infallibilità papale, letta come una minaccia sia sotto il profilo politico che sotto quello spirituale. Si percepiva uno stretto legame di dipendenza tra la formulazione dell’infallibilità e l’opposizione alla separazione tra Chiesa e Stato[29]. E d’altro canto «Il Brenta» si spingeva a dichiarare, assai più radicalmente di quanto faceva il celebre motto cavouriano, la necessità di una libertà non solo della Chiesa e dello Stato, ma soprattutto nella Chiesa e nello Stato. Il recupero di quell’idealizzata rappresentazione della cristianità primitiva nutriva i toni fortemente riformisti di questo gruppo. Si contestava la forma politica assunta dal papato nei secoli, l’empio legame tra mondano e celeste nella gestione della Chiesa. L’infallibilità, inoltre, tra le tante sciagure temporali, avrebbe anche archiviato qualunque speranza di riavvicinamento alle comunioni dissidenti - una preoccupazione, questa, che forse sarebbe anacronistico chiamare ecumenica, ma certo preconizza un orientamento in tal senso[30]. Fuori discussione ogni forma di dialogo con lo Stato della Chiesa, «Il Brenta» guarda con esplicita contrarietà alla politica di Napoleone III e teme ogni sorta di compromesso che possa far tardare l’ormai irreversibile processo di unificazione. L’avversione che i redattori del periodico - o almeno una sua parte maggioritaria (v’era infatti un vivace dibattito interno) - nutrono nei riguardi del potere temporale del Papato li porta sovente a farsi megafono dell’azionismo garibaldino, a celebrare i caduti di Mentana del 1867, morti per mano dei francesi che stavano a protezione di Pio IX, o a condannare l’esecuzione, che avverrà a Roma l’anno seguente, di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, rei di aver ucciso 23 soldati papali con una mina. A fianco della pattuglia de «Il Brenta», laboratorio ideologico dell’élite cittadina, era cresciuta l’affine Società democratico-progressista, una sorta di volano di idee liberali e monarchico costituzionali di più ampia portata, volta a avviare concreti interventi che portassero ad un progresso sociale nel lavoro e nell’istruzione. A questa società poteva partecipare, versando un contributo niente affatto oneroso, qualunque “onesto cittadino”. Era prevista addirittura l’adesione onoraria per cittadini particolarmente distinti per meriti civici e patriottici. La società vedeva al suo vertice un presidente, affiancato da due vice e da un segretario, oltre che da un comitato esecutivo composto da cinque membri che eleggevano un amministratore-cassiere tra uno di loro: tutte cariche che venivano rinnovate annualmente all’adunanza generale tramite uno scrutinio segreto. La Società era composta, al suo apice, da oltre 200 iscritti, al cui interno si poteva trovare pressoché l’intera classe dirigente bassanese, sia nella sua parte nobiliare sia in quella delle professioni “liberali”, sia infine in quella della piccola borghesia degli insegnanti e dei funzionari[31]. Tra le iniziative volte alla modernizzazione cittadina promosse dalla Società vanno annoverate una serie di operazioni che solo più avanti troveranno piena attuazione, ma che modificheranno radicalmente il volto di Bassano, facendone uno svincolo decisivo per le Alpi: dalle linee ferroviarie che collegavano Bassano con Padova, con Venezia e con Trento, alla strada che portava ad Asiago; e ancora il Comizio agrario, l’asilo d’infanzia, le scuole serali e festive per il popolo, la fondazione di una banca, e, non da ultimo, l’abbattimento delle mura delle Grazie (ora viale dei Martiri): un atto che donerà a Bassano il suo più celebre belvedere, simbolo di una città che si percepisce entro una patria sicura. Le tre diverse componenti che formavano questa Società democratica proietteranno negli anni successivi tre diverse linee politiche: quella liberale moderata, maggioritaria, legata alle professioni, quella clericale conservatrice, espressione della nobiltà fondiaria, più o meno della stessa consistenza numerica della prima, e quella progressista, decisamente minoritaria, legata alla piccola borghesia. Si comprende facilmente che la Società, sorta proprio sulla spinta di quest’ultima componente, legata a «Il Brenta», esaurirà rapidamente le ragioni della sua unità. Se il «Il Brenta» e la Società riusciranno ad esprimere nel 1866 la prima Giunta comunale con il sindaco Francesco Compostella, e i consiglieri Bortolo Tommasoni, Baldassarre Compostella e Giuseppe Roberti, successivamente si assisterà ad un crescente divario tra questo gruppo dirigente - su una linea moderata - e il gruppo dei preti liberali[32]. Non si trattava di profonde divisioni politiche: tutti rifiutavano linee sovversive e, per esempio, erano d’accordo sulla tassa sul macinato, ma per lo più era la questione religiosa a creare motivo di insofferenza. I toni apertamente anticlericali del gruppo guidato da Malucelli, il continuo scontro con l’arciprete, le provocatorie raccolte di finanziamenti per i garibaldini di Mentana e per le loro famiglie, in un periodo oramai non più segnato dal sentimento anti-austriaco, che aveva in precedenza consentito l’imporsi di questa élite di preti liberali, spingeva la parte più moderata della Società a distanziarsi per consentire una ricomposizione sociale. E poi, l’interna differenza tra le parti di questa Società democratico-progressista non poteva non far emergere divisioni sulla strategia economica per lo sviluppo cittadino. L’ala liberal-democratica era ovviamente favorevole a interventi che favorissero i ceti medi, ritenendo che nella ripartizione tributaria il carico maggiore dovesse gravare sulla rendita fondiaria, mentre vi era chi propugnava una tassazione meno univoca e mirata. La Giunta e «Il Brenta» entrano in collisione nell’aprile del 1869. Di lì a poco, le elezioni di giugno sanciranno la vittoria dell’ala moderata e conservatrice su quella riformista: un risultato certo sorprendente se si tiene conto dell’elevata percentuale di mercanti e commercianti nel ristretto gruppo degli aventi diritto al voto (611 bassanesi)[33]. L’ala moderata rappresentava meglio il sentire comune dei bassanesi: questa crisi porterà la Società e «Il Brenta» a chiudere la loro attività alla fine del 1871, significativamente. Con la fine del potere temporale del papa e la proclamazione di Roma capitale d’Italia la stagione che aveva visto la contrapposizione - tutta interna al mondo cattolico - tra forze liberali e reazionarie, diventava obsoleta, e l’esperimento bassanese di un cattolicesimo liberale in prima linea sulla modernizzazione del paese e della chiesa allentò le fila, lasciando il campo a nuovi protagonisti. 

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