Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Una delle questioni più gravi che la nuova Amministrazione si trovò ad affrontare fu la ricostruzione del ponte sul Brenta e il rinvenimento delle risorse finanziarie per farvi fronte. Da tre anni ormai le comunicazioni con il territorio alla destra orografica del fiume erano difficoltose. Sartorio Sartori, erede di un’antica famiglia bassanese, nei primi giorni di novembre del 1813, annotò laconicamente sulla sua cronaca «Primo novembre 1813, giorno di lunedì. Oggi li francesi anno cominciato a tagliare il ponte. Il Vice Re restò sempre in casa Remondini. Si vedette decisa la ritirata. Su la sera la artigliaria pasò di là del ponte. 2 detto, giorno di martedì. Il Vice Re partì per Vicenza alle ore sei antimeridiane, seguitato da tutta la armata; alle ore 11 antimeridiane li francesi ano messo il foco al ponte»[60](fig.6).

6ProgettopassarellaBrenta

6. Progetto per passarella sul Brenta a Bassano (1813 o 1814), disegno a penna acquarellato su carta. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Ingr. 107786 (Mappe). Due novembre 1813, giorno di martedì. Il ponte fu messo a fuoco dai francesi. Dopo la loro ritirata fu subito predisposta una passerella per unire le due rive.

In questo atto grave, perpetrato da Eugenio e dalle sue truppe per rendersi più agevole la fuga, nonostante le suppliche dei cittadini, e dello stesso podestà Sperandio da Ponte, si può vedere simbolicamente la soluzione con il passato, col governo francese che per quel territorio, anche in quest’ultimo periodo, aveva significato soprattutto lutti e guerra, ma anche, continuando sullo stesso registro, la distruzione dell’emblema cittadino più illustre. Più concretamente, però, in quella mattina d’autunno era stata incendiata la via di comunicazione che fino ad allora aveva garantito lo sviluppo di un’economia fondata sul transito del fiume e sui rapidi rapporti con i luoghi posti sull’altra sponda. «Li tedeschi», così Sartori definisce sbrigativamente i nuovi governanti, arrivati il giorno dopo, ordinarono subito la ricostruzione e requisirono il materiale che servì a ricostruire in pochi giorni la struttura. Si trattava però di un manufatto provvisorio, realizzato con legno e corda a spese di pochi cittadini[61]. Per rispondere alle esigenze di industria e commercio si sarebbe dovuto realizzare un collegamento stabile ed efficiente. Nella seconda metà del 1818, quando sono ormai trascorsi più di due anni dal suo inizio, grazie all’attività dell’Amministrazione, e in particolare del podestà Luigi Caffo, in unione al deputato centrale Giuseppe Bombardini, alcuni aspetti dell’affare sono stati ormai risolti: il progetto dell’ingegnere Angelo Casarotti, dirigente capo del Circondario idraulico di Vicenza, che prevedeva l’utilizzo del legno, ha superato l’esame delle Congregazioni e del Governo, dopo che l’ipotesi della struttura in pietra era stata scartata; parte del materiale sembra essere stato trovato grazie alla ‘munificenza’ regale[62]; anche il contratto con l’appaltatore Gaspare Benacchio di San Nazario, l’unico a volersi assumere l’onere di un’impresa così difficile, è ormai un fatto avviato. L’autorevolezza del tecnico fece sembrare le difficoltà tecniche superabili, quello che intimorì l’amministrazione fu che non aveva in cassa il denaro per far fronte ai lavori, tanto più che il pagamento della prima parte doveva avvenire mensilmente. Per far fronte agli impegni l’Amministrazione fece ricorso ad una sottoscrizione pubblica e alcuni dei principali possidenti vi avevano aderito. Il primo in lista fu naturalmente il podestà Luigi Caffo, seguirono poi le famiglie più notabili della città e quello che offrì la somma maggiore fu Francesco Remondini, proprietario dell’omonima industria tipografica. Anche tre amministratori, Giovanni Battista Cimberle[63], Giuseppe Maello e Giacomo Rizzo, diedero autonomamente il buon esempio. Vi sono però delle resistenze a versare quanto promesso, anche per il ribasso dei generi alimentari che aveva ridotto le rendite, ma a convincere i renitenti intervenne il Governo che, dopo lunga e spasmodica attesa, il 29 dicembre 1818, autorizzò finalmente l’imposizione del ‘pontatico’, il pedaggio da pagare per attraversare il ponte che avrebbe costituito una garanzia sui prestiti accesi[64]. I lavori procedettero comunque tra grandi difficoltà, e per alcuni mesi nel 1819 addirittura vennero sospesi, con conseguente slittamento del termine di chiusura alla fine dell’anno successivo. Le cause del rinvio furono soprattutto tecniche, legate alla difficoltà di procurarsi il legname adatto alla costruzione di un manufatto di dimensioni così importanti. In dirittura di arrivo però, alla fine del 1820, la necessità di eseguire alcuni lavori addizionali rischiò di mettere in pericolo il completamento dell’opera. Le difficoltà economiche riemersero e la nuova amministrazione guidata da Giovanni Battista Cimberle decise di chiedere un ulteriore prestito al locale Monte di Pietà[65]. Così l’inaugurazione dell’opera giunse solo domenica 4 febbraio 1821. La festa organizzata dai notabili cittadini per celebrare l’avvenimento è così raccontata da Giuseppe Bombardini: «Ieri il delegato e sua moglie passarono il bellissimo ponte alle ore undicesime meridiane. Molte seguito di carrozze. Verso le ore cinque si andò a pranzo in casa Forzadura. Il pranzo non poteva essere migliore, né in magnificenza, né in squisitezza, né in ordine(…). La festa da ballo, numerosa ma confusa (…). Il delegato non è venuto a teatro, ma bensì per mezzora la dama in privato. Il ponte fu illuminato per molte ore della notte. Oggi il delegato partì. Domani reciterò un discorso per l’arciprete di S. Ilaria. Dio la mandi buona»[66]. Tra i partecipanti, anche l’ingegnere Angelo Casarotti il quale, nella sua relazione finale sui lavori addizionali svolti, dimostra di aver compreso l’essenza del rapporto del manufatto con la città e, in fin dei conti, dà forse anche ragione della tenacia dimostrata dai bassanesi nel volerlo a tutti i costi ricostruire: «Questo ponte, che meritò d’occupare due uomini insigni quali furono Palladio e Ferracina, (…) fu sempre riguardato non come un ponte corrispondente al solo bisogno di transito, ma come opera che per sua particolare forma, e che per la sua situazione, fu sempre di singolare decoro per la città di Bassano (…)»[67]. Un’opera che, alla fine dei lavori, costò complessivamente alla città 94.142,20 lire, somma il cui pagamento avrebbe condizionato, nel capitolo di spesa dedicato agli «interessi di capitali e debiti», il bilancio comunale anche per alcuni anni a venire[68]

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