Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

L’espansione del setificio bassanese tra Seicento e Settecento non poteva essere sostenuta solo dalla produzione locale di bozzoli che, data la ridotta estensione del distretto, era necessariamente limitata. Nel 1725 il podestà di Bassano Zaccaria Bembo scriveva ai Cinque Savi che all’interno della sua giurisdizione «si raccolgono quantità di sete di buona qualità» che una volta ridotte in orsoglio nei molti mulini alla bolognese della città e del territorio erano destinate all’esportazione[92]. Ma la maggior parte del filato che veniva trasformato in orsoglio e trame nei torcitoi bassanesi dando lavoro a centinaia di operai, di donne e bambini, doveva provenire da altre parti della Repubblica o dall’estero. Bassano, scriveva il governatore del dazio della seta di Treviso Pietro Cernaglia nel 1674, era un «porto e scalla delle sede per terre aliene» dove confluivano sete gregge e lavorate da altre parti della Repubblica, ed in particolare dal Friuli, dal Polesine e da Venezia[93]. Nel 1688 veniva ribadito che «nel luoco stesso di Bassano concorrono tutte le sede del Trivisano, del Friul, Feltre e Belluno per la prontezza dell’essito che ivi s’incontra, e concorso de mercanti in comprarle a riguardo degli edificii che le lavorano»[94]. Pochi anni dopo un’informazione allegata ad un dispaccio del podestà di Bassano diretto ai Cinque Savi alla Mercanzia, dichiarava che nel centro pedemontano era giunta seta greggia dal Polesine, Friuli, Trevigiano, Padovano e Veronese[95]. Una lista delle importazioni di seta notificate al dazio bassanese consente di stabilire la provenienza delle 33.968 libbre di semilavorato che furono introdotte nel centro urbano tra il maggio e il dicembre del 1700. La quota maggiore in assoluto era importata dal Friuli, ma quantità rilevanti giungevano anche dal trevigiano e dal padovano, mentre la seta condotta da Venezia doveva avere, com’è ovvio, un’origine diversa, essendo stata ricavata da bozzoli ottenuti fuori della Laguna. Naturalmente nella documentazione daziaria non poteva figurare la seta vicentina che veniva introdotta in grandi quantità di contrabbando per sfuggire al pagamento del dazio sulla trattura. Resta piuttosto oscura la questione delle cosiddette “sete di Valsugana”, cioè dell’introduzione a Bassano di seta grezza trentina destinata alla torcitura nei mulini del centro urbano. Le sete di Valsugana avevano fatto la loro comparsa a Bassano negli anni Sessanta del Seicento, ma il governatore del dazio Todeschini aveva accusato il precedente appaltatore, Antonio Austoni, di aver inventato quest’importazione per dissimulare il contrabbando di sete trevigiane, introdotte evadendo il pagamento del dazio sulla trattura[96]. Ma nel 1725 giunsero nel Bassanese ben cinque balle di seta dal Trentino, segno che una certa quantità di semilavorati era affluita anche da questa direzione[97]. E nel 1748 il conduttore della dogana di Bassano registrava l’importazione nei tre anni precedenti di 32.625 libbre di seta grezza estera, delle quali 2.890 riesportate[98]. Un settore produttivo il cui sviluppo fu trainato dalla crescita del commercio della seta fu quello della fabbricazione di colla. Nel 1751 i produttori di colla caravella “all’uso di Germania” in città erano tre: Antonio Bucchi, il più importante, ne smerciava da 2.000 a 2.500 libbre a Bassano e a Venezia, Domenico Mengotto raggiungeva le 500 libbre, mentre Gerolama Cavallin conduceva un’attività su scala più modesta mettendone in commercio solo 100 libbre all’anno[99]. Nove anni dopo il Bucchi aveva cessato l’attività e Domenico Mengotti ne aveva approfittato per allargare i suoi interessi alla produzione di tele cerate in canapa, 1.000 pezze da 17 braccia e 600 da 9 braccia e mezzo, utilizzate, come precisava, non per fabbricare ombrelli ma per l’imballaggio degli orsogli e delle trame lavorate nei torcitoi della zona, mentre i fabbricanti di panni di lana di Bassano, di Cavaso e di Padova acquistavano da lui dalle 700 alle 800 libbre di colla[100].

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