Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Storia e santità, l’una all’altra nello stesso tempo riflesso e fonte, modulano nella peculiarità degli eventi l’imitatio Christi di Elisabetta Vendramini (fig.4).

4LorenzoCeregato

4. Lorenzo Ceregato, Ritratto di Elisabetta Vendramini per la beatificazione, 1990. Un recente ritratto, eseguito per la beatificazione, supplisce alle poche immagini della Beata, bassanese d'origine nata in Vicolo della Torre.

Aristocratica per nascita – di antico ceppo veneto il padre Francesco, discendente dai patrizi Duodo di Venezia la madre –, all’età di sei anni viene affidata alle monache Agostiniane (allora a San Giovanni); i biografi la dicono sensibilissima, intelligente e vivace; lei si riconosce dolce di natura e generosa. Lasciato il collegio (1805), aperta e vibrante, nella villa di campagna o nella casa in città diviene l’anima delle conversazioni serali. Le sferzate napoleoniche con requisizioni e imposte fitte come grandine[31], ricadute pesantemente sulla famiglia costretta ad alienare gran parte dei beni patrimoniali, non alienarono tuttavia da Elisabetta i sogni della sua giovane età; innamoratasi di un bel ragazzo di Ferrara, rincorre preparativi di nozze, mode, acconciature. Fulmineamente (1817), quasi divenendo estranea a se stessa, avverte un imperativo richiamo della coscienza che la manda “ai Cappuccini”. «Sola me ne andai dove Dio voleva» (1820): ai “Cappuccini”, cioè all’Orfanotrofio Cremona. Durissima l’esperienza nell’«ospizio di mendiche abbandonate»; dopo sei anni accetterà, su consiglio del fratello Luigi, l’incarico a Padova di maestra nella Casa degli Esposti, istituzione dedita agli infanti abbandonati. Lì matura l’idea di un progetto tutto suo: una comunità di sorelle con personalità e finalità proprie, tesa al servizio dei poveri, a ispirazione francescana. Nella sua interiorità Elisabetta rivela una attitudine contemplativa intensa e pungente. Se l’amore del Padre la trasporta e lo Spirito la sorprende, il Verbo «la rapisce»[32]: Cristo crocifisso suscita in lei «un amore che è insieme attrazione, dolcezza e dolore». Dolore e soavità, come nelle esperienze mistiche di Teresa D’Avila[33]; evocato pure il cristocentrismo di Francesco nell’aspirazione a soffrire con Cristo e nell’incitamento alle sorelle a percorrere esse pure il «gran viaggio di Gesù al Calvario»[34]. Il mistero della Croce la conduce ad un particolare approccio al mistero della Madre di Cristo: squarci di contemplazione pura le meditazioni sull’Addolorata; Elisabetta ambisce a condividerne le pene: «Non negare, Maria, di portare nel mio cuore le sofferenze del tuo Figlio»[35]. Francescana, dunque, e mistica; femminile nell’esclusività di madre e sorella, ma pure mulier virilis, come Santa Macrina[36]. Documentazione privilegiata gli scritti: il Diario, abbracciando dal 1816 quasi tutto l’arco della esistenza di Elisabetta, ne rivela ogni esperienza luminosa e oscura, aperta o segreta; l’Epistolario, dove maggiormente è rilevabile la sua spiritualità più gelosa e delicata, conserva quasi cinquecento lettere, per la maggior parte dirette a suore, trenta al direttore spirituale, tutte incisivamente personalizzate; nelle Istruzioni alcuni testi sono vere e proprie lezioni, altri meditazioni; le Memorie dell’impianto delle Terziarie del Serafico di Assisi ripercorre la storia dell’Istituto fin dai suoi primi passi. La storia dell’Istituto è la storia di lei. Francescanizzata per natura, lascia gli Esposti di Padova per la malfamata Contrada degli Sbirri: «fui posta in una splendida reggia della santa povertà»; povertà come unico arredo: credibilità di testimonianza. La soffitta accoglie le prime due compagne di Elisabetta e si apre a rifugio per bambine e ragazze senza casa e senza affetti: il movimento elisabettino è già in nuce (1828). Passi veloci, segnati dall’incontro con don Luigi Maran, conducono a via San Giovanni di Verdara, culla e luogo di crescita; sensibilità caritativa ne è l’anima: tutti i poveri vi attingono; e i colerosi nelle terribili epidemie. Lì Elisabetta e le discepole vestono l’abito di Terziarie Francescane Elisabettine[37] (1830); il complesso legislativo (1833) consta di regole canonicamente approvate: Regola del Terz’ordine di San Francesco, Statuti di San Agostino, Costituzioni di San Francesco di Sales; il riconoscimento giuridico è nel 1861. Straordinariamente ampio e con tutti i titoli legali il servizio educativo, formativo e di assistenza: scuola per ragazze povere nella Casa dell’Industria cittadina, educazione e istruzione delle orfane al Ricovero Beato Pellegrino, assistenza nel medesimo Ricovero alla vecchiaia abbandonata; Asili di infanzia, il primo nella sua casa; assistenza inoltre al Ricovero dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, agli Esposti di Padova, all’Ospedale Civile, ai ciechi nell’Istituto Configliachi; si fa il suo nome per le carcerate di Vienna. Quando Elisabetta si spegne (2 aprile 1860) la città di Padova le rende pubblico omaggio. Confluite le reliquie nell’ossario comune del cimitero maggiore di Padova, Elisabetta Vendramini[38] – dichiarata beata da Giovanni Paolo II il 4 novembre 1990 – vive e rivive nelle 160 case e missioni in Italia, Europa, Egitto, Libia, Argentina, Kenya, Israele, Ecuador, Sudan.

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