Le prime tracce della presenza umana sono da riferire al Paleolitico medio; esse furono rinvenute casualmente negli anni cinquanta del Novecento presso la torbiera del “rio Mardignon”, nelle colline di Romano d’Ezzelino[6]. La mancanza (che perdura tuttora) di indagini stratigrafiche sul sito consente solo di segnalare la presenza dell’Uomo di Neandertal, cacciatore e raccoglitore con un modo di vita seminomade tra zone collinari, pedemontane e montane del territorio alto vicentino. Questa segnalazione trova infatti riscontro nei ritrovamenti (manufatti in selce di tipo musteriano e resti di pasto) della “Cava degli orsi” e della Grotta Obar de Leute, sull’Altipiano dei Sette Comuni, nella valle del Gelpach[7]. La frequentazione di questa parte dell’alto Vicentino continuò nei millenni successivi, durante il Paleolitico superiore, da parte dell’Uomo di tipo moderno (Homo sapiens sapiens). Manufatti in selce e resti di pasto (principalmente ossa degli animali cacciati), rinvenuti in un riparo della val Gàdena sul versante ovest della bassa valle del Brenta, sono riferibili a un gruppo di cacciatori e raccoglitori dell’Epigravettiano[8], i quali nei mesi propizi raggiungevano i siti in quota della piana di Marcesina, sull’Altipiano, per le loro attività venatorie. La presenza degli ultimi cacciatori e raccoglitori del Mesolitico viene attestata anche in diversi siti all’aperto delle zone collinari e prealpine. L’ubicazione e la frequenza di tali siti documentano lo sfruttamento sempre più ampio delle risorse proprie di questi ambienti con attività di caccia anche a animali di piccola taglia, di pesca nei fiumi e di raccolta di piante e frutti selvatici. Ne sono testimonianza la tipologia dell’industria litica (strumenti e armature) rinvenuta, oltre che nel già citato riparo della val Gàdena nella valle del Brenta, anche a Marostica in località Erta, a Pove del Grappa, a Bassano del Grappa–località Boschetto. Si tratta di strumenti litici riferibili prevalentemente a una fase finale del Mesolitico, definita Castelnoviano[9]. Ancora poco noto è nell’alto Vicentino quel processo che va sotto il nome di “neolitizzazione” e che segna in Italia settentrionale, verso la metà del VII millennio a.C., l’inizio delle prime pratiche agricole e di allevamento di alcune specie animali (soprattutto ovi-caprini) da parte di comunità ormai stanziate in villaggi permanenti. Scarse testimonianze, costituite da strumenti in selce riferibili genericamente al Neolitico antico, sono state rinvenute su un terrazzo di antica formazione fluvio-glaciale prospiciente la valle del Brenta in località Sarson, nel Comune di Bassano[10]. Più numerosi sono i siti riferibili al pieno e al tardo Neolitico (metà VI-prima metà IV millennio a.C.), anche se la documentazione archeologica pervenutaci è assai scarsa in quanto costituita solo da manufatti in selce e pochi frammenti di vasellame ceramico riportati alla luce dai lavori agricoli in zone per lo più pedecollinari. Si segnala in particolare il sito di Marostica-località Piazzette, ubicato in posizione panoramica su una ripida dorsale collinare sottostante alla più erta orlatura dell’Altipiano, dove sono stati individuati i villaggi di Covolo e Coldinechele, nel comune di Lusiana[11]. I materiali archeologici di questi siti, considerati nel loro complesso, attestano la progressiva colonizzazione, nella seconda metà del V millennio a.C., dell’alto Vicentino da parte di gruppi umani appartenenti alla Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata con un’economia ormai pienamente neolitica contraddistinta da pratiche agricole, dall’allevamento e dalla produzione ceramica.