Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La chiesa di San Francesco (tavv.12 - 13) fu costruita sul fondo occupato dalla ca’ di Dio, retta nel 1270, secondo i primi dati in nostro possesso[65] e com’era consuetudine per i primi insediamenti francescani, da terziari o “fratres de penitentia”, che appartenevano alla comunità di san Donato a capo del Ponte[66]. Il febbraio 1270 sarà fra Roberto Pettinaio a figurare in un atto di donazione stipulato dal notaio Pietro fu Rivaldo’ di Bassano, atto che definiva la cessione di un fondo di proprietà della famiglia dei Feraboni o Fraboni per la simbolica cifra di quattordici lire veneziane. E’ questa la prima di una serie di documenti pergamenacei del Fondo Villarum dell’Archivio Capitolare di Padova e del Fondo A dell’Archivio di Stato di Padova, che ci consente di seguire le vicende di insediamento della comunità francescana e di avere alcune date di riferimento per la costruzione della loro chiesa. Mentre il 26 marzo 1272 fra Roberto, nell’accedere al fondo di proprietà e nel prendere in mano una zolla per poi calpestarla[67], attesta gli atti preliminari e simbolici della costruzione, già il 23 maggio 1281, Maria vedova del giudice Scurcio, abitante a Padova, lascia sessanta soldi al convento di san Francesco, documentando l’esistenza di un edificio residenziale per la nuova comunità[68]. Gli attestati si infittiscono allo scadere del secolo fino al 21 giugno del 1300, quando Cecilia, vedova di Guido Scanafede, detta il proprio testamento «in ecclesia Sancti Francisci» e dispone un lascito «in auxilio edificationis ecclesiae Sancti Francisci»[69], documentando quanto già sappiamo sull’uso ‘in corso d’opera’ degli edifici ecclesiastici nel Medioevo. Il completamento della facciata dell’edificio può collocarsi nell’autunno del 1306, precisamente tra ottobre e novembre, quando, nel momento in cui la costellazione dello Scorpione si trova in congiunzione con il Sole, viene completato, ad opera di Boninsegna, uno dei più eminenti cittadini di Bassano[70], il “capitellum”, un’edicola retta da quattro colonne [71], «tumuli …clara», a copertura della sua tomba, proprio al centro della facciata della chiesa (fig.20).

fronte san francesco001

20. Edicola a quattro colonne, 1306. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, facciata.
Eretta nell’autunno del 1306 per volontà di Boninsegna, l’edicola fungeva originariamente da copertura del sepolcro del committente.

Il recupero nel corso del recente restauro della bella fascia decorativa a fogliette tripetale entro un triangolo e la volta a cielo stellato attuale che riprende l’originaria decorazione completano le informazioni dell’iscrizione e la datazione del manufatto al 1306. L’inserimento sulla facciata, partita dalle due paraste centrali, avviene contestualmente alla costruzione generale; le paraste interne hanno la medesima altezza della parte inferiore delle paraste angolari della stessa facciata, allargate e rinforzate da quattro file di pietre da taglio di rivestimento bianche. Il relativo capitello à crochet è uguale a quelli dell’abside. La data dell’esecuzione del “capitellum” coincide dunque con il completamento della facciata e presenta un certo interesse per la novità architettonica, la pianta quadrata, fortemente aggettante rispetto ai protiri duecenteschi in area veneta e padana[72] e la sua funzione anche funeraria, che ripropone l’aulico esempio della basilica patavina e che introduce a quella funzione di “pantheon” cittadino che la chiesa francescana bassanese assumerà nei secoli[73]. Il protiro, adeso alla facciata attraverso due paraste con capitello rettangolare à crochet, e sorretto all’esterno da due svettanti colonne su due plinti sovrapposti presenta caratteristiche architettoniche “moderne” ed è tipologicamente avvicinabile ad un ciborio con un alto coronamento in pietra squadrata, evidentemente derivato dalla struttura a padiglione della copertura dell’altare. Circa la sua struttura, addossata al muro e quindi con due soli sostegni anteriori, questa è attestata in cibori su altari minori in alcune aree tedesche tra XII e XIV secolo[74]. La diffusione di una struttura “moderna”, leggera nei singoli elementi architettonici, sorretta da colonne, raffinata nelle decorazioni a partire dai capitelli, nei modi del modello francese della Sainte Chapelle di Parigi, fatto proprio da Arnolfo di Cambio nei cibori tardoduecenteschi della chiese romane di Santa Cecilia e di San Paolo fuori le Mura deve molto alle raffinate architetture dipinte da Giotto nei riquadri della cappella padovana degli Scrovegni, il cui ruolo nella definizione di un nuovo modello spaziale e architettonico è stato da tempo puntualizzato dalla critica[75]. Quanto poi alla struttura del ciborio, questo, dalla prima età cristiana, simboleggia il Calvario, luogo della crocifissione, di Cristo e, nello stesso tempo, l’arca dell’Antico Testamento nel quale erano racchiuse le reliquie. Nella sua decorazione si trasferisce la sua componente simbolica e nella copertura quella della raffigurazione del cielo in alto, esattamente come nel singolare protiro della chiesa francescana di Bassano. In tale funzione simbolica si comprende la destinazione funeraria, tipica delle facciate delle chiese monastiche due e trecentesche, ma riservato alla porzione centrale sopra la porta di entrata solo, per quello che ora ne sappiamo, nella chiesa di Santa Maria Antica a Verona[76]. Per meglio definire i caratteri dell’architettura di San Francesco ci soccorrono alcuni raffinati particolari decorativi che si accompagnano ai già segnalati capitelli à crochet (fig.21)

Part.Arch

21.22. Particolari architettonici, capitelli e paraste della chiesa di San Francesco.
I capitelli rettangolari “a crochet” compaiono nelle architetture italiane ai primi del Trecento, nei modi delle architetture “moderne” della Sainte Chapelle di Parigi.

e che decorano la porta laterale che dal chiostro introduce al transetto destro (fig.22) e, nell’esterno, i finestroni dell’abside. In entrambi la base della ghiera dell’arco è sottolineata da un mezzo cilindro posto trasversalmente, che, in sezione, appare come un bocciolo rotondo. Un doppio arco sovrapposto e retto da due capitelli, uno à crochet in basso, uno liscio al di sopra sorregge il peduccio dei costoloni dell’abside[77]. Quanto poi ai raffinati capitelli à crochet, di derivazione francese, tipici dell’architettura di Arnolfo ma non consueti negli edifici veneti del momento, questi compaiono tra Due e Trecento in ambiti differenti, sul Ponte Pietra a Verona, ricostruito da Alberto I della Scala nel 1298[78], ma soprattutto a Padova, nella chiesa degli Eremitani e nelle logge esterne del Palazzo della Ragione (fig.23),

capitello

23. Capitello. Inizio del XIV secolo. Padova, Palazzo della Ragione.
La modernità dell’architettura di San Francesco si misura al confronto con particolari architettonici di uno dei principali monumenti di primo Trecento della Padova carrarese.

e sono legati, negli anni a cavallo tra Due e Trecento, alla progettazione di «Giovanni dell’Ordine Eremitano di Sant’Agostino grandissimo Architetto»[79]. Tali preziosi particolari architettonici danno una definizione tutta patavina e “moderna” all’austera aula dell’edificio bassanese, una ‘chiesa capannone’ o ‘chiesa granaio’, secondo la classificazione di Gross[80], con tetto a capanna, che per quanto assimilabile in pianta alla chiesa di San Francesco a Treviso[81], trova spazialmente e nei particolari costruttivi un precoce corrispettivo nella chiesa degli Eremitani di Padova, costruita tra la seconda metà del XIII e gli inizi del XIV e nella stessa cappella di Santa Maria, per precisa ammissione di Enrico Scrovegni, sacrario della sua famiglia[82]. In tali analisi tipologiche e stilistiche va tenuto conto che lo spazio della chiesa medievale bassanese presentava una consistente elevazione in altezza, maggiore dell’attuale, in considerazione dell’innalzamento nel corso del restauro del 1712 del pavimento di più di 30 centimetri. Il controllo esercitato da Padova sulla città di Bassano a partire dal luglio del 1268, indirettamente confermata da una serie di documenti degli uffici notarili di quella città, si visualizzava sullo stile dei monumenti e sulle decorazioni della città. Di certo, nel legame culturale tra Padova e Bassano in quegli anni di primissimo Trecento, almeno fino all’inizio della dominazione scaligera nel 1320[83], un ruolo importante dovette rivestirlo il notaio Castellano del fu Simeone, professore di grammatica, maestro di scuola, poeta e amico di Albertino Mussato[84], se è vero, come recentemente ipotizzato[85], che al Castellano si deve la stesura dell’iscrizione dedicatoria del portale della chiesa di san Francesco, intrisa di retorica medievale e di cultura preumanistica. Quanto poi al ruolo dell’edificio nella crescita della città medievale di Bassano, spetta all’ordine francescano la primogenitura di un insediamento in uno spazio contiguo alla struttura castellana della città, ma al di fuori di essa, insediamento che definiva urbanisticamente la struttura delle piazze nell’urbanistica medievale della città[86], in modi analoghi ad altre situazioni padane[87]. A completamento della definizione urbanistica della città interverrà in uno stretto giro di anni l’insediamento nella contigua piazza di un oratorio con annesso un ospedale retto da una fraglia laicale di Battuti o Disciplinati, attestati a partire dal gennaio 1308, quando Giacobino fu Giovanni Blasi ed i nipoti Parenzano e Martino richiedono al vescovo di Vicenza Altegrado il permesso di costruire una nuova chiesa e un ospedale dedicato a San Giovanni Battista. Mantese accenna ad una composizione esclusivamente femminile della fraglia, alla quale venne concessa nel 1327 la regola di sant’Agostino, sostituita con la regola benedettina in un periodo non documentato (ante 1332?) ed un successivo, nel 1464, ritorno alla originaria agostiniana. Nel 1397 venne aggiunta la cappella del Santissimo Sacramento, di giuspatronato della Confraternita del Corpo di Cristo[88]. Nella chiesa di San Francesco, la verifica delle murature effettuata nel corso del recente restauro restringe alle testimonianze attualmente visibili gli affreschi sopravvissuti alle trasformazioni settecentesche e poi otto e novecentesche della chiesa, che al momento della sua costruzione, ai primi del Trecento, doveva presentare una decorazione diffusa nei modi tipici degli edifici medievali cioè in sequenze votive isolate o nelle porzioni che contornavano le partiture architettoniche. Ne è conferma la decorazione esterna, ora recuperata, che nella sua naiveté aggiunge importanti informazioni sulla tecnica esecutiva e sul ruolo delle maestranze negli edifici medievali. Il monogramma con una A intrecciata ad una S (?) (fig.24),

24 San Francesco Monogramma

24. Monogramma “AS”, affresco, inizio del XIV secolo. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, parete sud, terz’ultimo archetto sommitale.
Le due lettere intrecciate costituiscono le iniziali delle maestranze alle quali spetta la decorazione geometrica, ma compare anche un volatile, gallina o cicogna, entro gli archetti sommitali delle pareti esterne della chiesa.

presente sul terz’ultimo archetto della parete sud, si accompagna ad un corsivo disegno di volatile, gallina o cicogna, e attesta, al pari dei marchi delle travi[89], una consuetudine giocosa e spiritosa nei confronti delle attività quotidiane[90]. Quanto poi ai caratteri stilistici della prima decorazione, la fascia vegetale del 1306 del protiro attesta una componente stilizzata ancora tardoduecentesca, che si ripropone nella porta interna della parete sud che portava al chiostro. Più complessa è la decorazione a girali di vite del primo strato della decorazione del chiostro, anch’essa di quel momento(fig.25).

25 San Francesco

25. Decorazione vegetale e iscrizione, affresco, inizio del XIV secolo. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, chiostro parete sud.
I lacerti di decorazione sulle attuali pareti del chiostro documentano che la chiesa di San Francesco era dipinta sia internamente che esternamente. Il serto vegetale stilizzato è motivo consueto ai primi del Trecento.

Va segnalato inoltre, che ad uno strato di primo Trecento appartiene un brano di intonaco bianco, con una tabella di iniziali in corsivo gotico, graficamente simili a quelle che introducono i capitoli degli Statuti della città del 1295[91] e che ad un precoce Trecento sembrano appartenere le decorazioni geometriche stilizzate dello sguancio della porticina della parete destra che portava ai vani del chiostro superiore ora demolito. Ad una prima fase della decorazione risale anche il grande San Cristoforo, che copriva su tutta l’altezza la porzione della parete sud e di cui è superstite ora solo la parte superiore (fig.26),

26 San Cristoforo

26. San Cristoforo, affresco, secondo decennio del XIV secolo. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, parete destra.
La presenza di un’architrave in prospettiva attesta che il santo fu dipinto entro uno spazio architettonico, figurando una spazialità post-giottesca.

la cui apparente rigidità e stilizzazione ancora tutta bizantina contrasta con la ricercata spazialità nel quale è inserito, spazialità costruita da una serie di mensole aggettanti viste in prospettiva, secondo un modello visto negli affreschi francescani giotteschi di Assisi[92]. Se ne potrebbe ipotizzare l’esecuzione nei primi decenni del Trecento anche per il riproporsi, qui come in Sant’Agostino a Vicenza ed a San Francesco a Treviso, del medesimo soggetto in quegli anni.
Quando, il 26 maggio 1331, il vescovo di Vicenza consacrava per la prima volta la nuova chiesa francescana, la costruzione era, con ogni probabilità, conclusa. Resta invece da individuare quali, tra gli affreschi stilisticamente riferibili ai primi decenni del Trecento, fossero in loco a quella data. Ciò potrebbe consentire di dare una possibile collocazione cronologica proprio ai numerosi testi pittorici di matrice giottesca che costituiscono la grande novità emersa dai più recenti restauri, aggiungendo nuovi tasselli conoscitivi ad una problematica importante nel campo degli studi di primo Trecento, oggetto, tra l’altro, di recente aggiornamento[93]. Tutti gli affreschi, com’è tipico della cultura artistica postgiottesca di ambito francescano sono inquadrati entro cornici ispirate ai marmorari cosmateschi, di struttura più o meno complessa, come ben si legge nel palinsesto sopra la porta della sagrestia. E’ ragionevole pensare che a quella data il Crocifisso del padovano Guariento, eseguito per devozione da Maria de’ Bovolini, come ricorda l’iscrizione[94](fig.27; tav.15),

GuarientoMadonna

27. Guariento di Arpo, Croce (part. del braccio destro con la Madonna). Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
La Croce fu realizzata in occasione della consacrazione della chiesa nel 1331 per volontà di Maria de’ Bovolini, di un’importante famiglia bassanese, attiva nel commercio dei vini nel Padovano.

fosse già posizionato davanti al presbiterio all’incrocio dei bracci del transetto.
Il crocifisso rappresenta, infatti, l’immagine di riferimento per l’ordine francescano. Nella Legenda maior sancti Francisci san Bonaventura ci informa che le preghiere di san Francesco con i primi compagni, privi di libri da cui trarre i testi delle orazioni, avvenivano davanti al liber crucis Christi, dove, con gli occhi fissi alla sua passione i confratelli pregavano mentaliter più che vocaliter. Che la croce, confermata al periodo giovanile dell’artista e prima voce nel suo catalogo[95], possa essere ancora anticipata e datata intorno al 1331 viene indirettamente confermato dal testo del testamento della committente, Maria de’ Bovolini, recentemente pubblicato da don Franco Signori[96]. Nel documento, redatto il 7 ottobre 1332, la vedova di Grailo fu Riprando, figlia di Giovanni e nipote di quel Bovolino che nel 1287 non era ancora cittadino di Bassano, ma aveva fondato la sua fortuna in commerci di vino a Padova e nel Padovano, rivolge una particolare attenzione ai suoi eredi, la figlia Caterina, il fratello Bovolino, suo esecutore testamentario, alcuni altri parenti e le suore benedettine del convento di San Giovanni Battista, e dimostra in più passi il suo legame con «quei poveri di Cristo religiosi o secolari», che elegge a suoi testimoni ed ai quali destinerà parte del proprio patrimonio. In un documento in cui tutte le volontà della testatrice sono accuratamente elencate, la mancata citazione del crocifisso, al quale Maria de’ Bovolini, aveva legato l’intera sua esistenza («emulatrix bona maria de buovolinorum helene/ inventrix crucis et clavorum») potrebbe apparire singolare se l’opera dovesse essere ancora commissionata, non altrettanto se tale commissione fosse un atto già espletato in vita, utilizzando quelle frequentazioni padovane che ai Bovolini venivano dalle loro attività commerciali. Per gli indubbi riferimenti alla produzione di Guariento, in un momento giovanile ma leggermente più avanzato rispetto al quarto decennio anche una Madonna con il Bambino, Santa Maddalena e sant’Antonio Abate[97](fig.28),

Madonna con bambino tra due santi315 - Copia

28. Madonna con il Bambino, Maria Maddalena e Sant’Antonio Abate, affresco staccato. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio.
Staccato nella seconda metà dell’Ottocento dalla lunetta della porta del chiostro che immetteva all’Aula Capitolare del Convento di San Francesco, l’affresco rivela consonanze con la pittura di Guariento.

originariamente collocata sulla porta che dal chiostro portava nel transetto destro della chiesa, staccata a massello nel 1871, ed ora appartenente al patrimonio museale della città. Il brano, di qualità, è caratterizzato da una precoce impostazione prospettica che fa avanzare spazialmente la figura mariana centrale, che assume maggiore evidenza volumetrica e maggiori dimensioni. Particolarmente interessante è nell’affresco la persistenza della lezione dei riminesi nelle figure laterali ed una più puntuale aderenza alla lezione di Giotto, nell’accezione già vista nella cultura veronese di primo Trecento, nel “Maestro di S. Felicita”, nella figura mariana. Il legame con la cultura artistica veronese e di irradiazione dalla città scaligera, dalla quale Bassano dipendeva dopo il 1320, si doveva vedere anche in un brano, una Crocifissione (fig.29),

29-crocifissione
 

collocata nella zona presbiteriale, ritrovata sotto un altro affresco e staccata nel 1926-29, documentata ora solo da una fotografica storica dell’Archivio Caprioli del 1931, n. 6277 dell’Archivio Fotografico del Museo Biblioteca Archivio di Bassano del Grappa[98]. L’affresco, al momento dello stacco ampiamente offeso da picchettature, rivela, nell’icastica e forzata definizione delle espressioni, uno stretto legame con il frescante giottesco della tomba di Giuseppe della Scala, e costituisce un precedente per il gruppo di opere recentemente collocate intorno alla Crocifissione di Detroit[99]. Ma è nello spazio sopra l’attuale porta della sagrestia della chiesa che si concentrano le maggiori testimonianze (tav.18).
Il brano più antico di tale sequenza sembra essere il Sant’Antonio Abate a sinistra della porta, impostato ieraticamente e delineato sommariamente nei profili e nei particolari con segni scuri di contorno, ancora debitori alla cultura romanica, anche se la non alta qualità del brano rende difficile una comparazione per confronto con altri affreschi contemporanei e quindi l’esatta definizione cronologica. Questa potrebbe, in una persistenza stilistica, riferirsi ai primi anni del XIV secolo, e mettersi in relazione con gli affreschi della pieve di Zugliano[100], e indirettamente con le persistenze bizantine padovane dei primi anni del Trecento in San Massimo. La scelta iconografica di raffigurare sant’Antonio Abate si lega al culto tipicamente agricolo del santo eremita, culto che si trova anche in contesti francescani veronesi e che persiste nella chiesa ed è oggetto dei riquadri affrescati nella sala del Capitolo del chiostro ad opera di un artista di formazione guarientesca[101]. Accanto al sant’Antonio Abate un complesso palinsesto sopra la porta documenta la vitalità artistica della chiesa nel corso del Trecento. La sovrapposizione dei brani consente, dopo il restauro, di individuare tre livelli esecutivi, il primo dei quali è segnalato esclusivamente dalla cornice rosata, il secondo comprende ora, perché mutilo, la Madonna con il Bambino e san Francesco, la terza la Madonna in trono con angeli. Il livello di intonaco segnala che la porzione a destra con un dorso di cavallo e le architetture rossastre sullo sfondo appartengono al medesimo momento esecutivo del trittico con la Madonna. Le volumetrie risentite, l’impostazione spaziale con edifici sullo sfondo di questi brani, costruiti per accostamenti di cubi stereometrici, consentono di accostarli ai brani precedentemente segnalati, eseguiti nei primi decenni del Trecento. La semplificazione volumetrica e la stereotipata definizione dei particolari fisionomici li associano con il riquadro collocato al centro della parete destra, un busto fasciato da una corazza, forse parte di una Crocifissione. Quanto poi al sistema artistico di riferimento, analoga semplificazione e analoga realizzazione esistono in un brano con un San Pietro appartenente alla primitiva chiesa di San Prosdocimo e Donato a Cittadella[102](fig.30).

SanPietro

30. San Pietro, affresco, secondo decennio del XIV secolo. Cittadella, chiesa di san Prosdocimo e Donato, abside antica.
L’affresco presenta caratteri stilistici di derivazione giottesca non lontani dal primo strato di affreschi del palinsesto sopra la porta del transetto della chiesa di San Francesco a Bassano del Grappa.

L’intero gruppo partecipa, anche, nella grafica definizione dei particolari fisionomici, e nella forma del volto, di un generico riferimento giottesco padovano, anche se la viva espressione dei volti – e se ne veda il particolare della Madonna - rimanda a quel peculiare modo di interpretare la cultura giottesca, per esaltazione dei volumi e forzatura espressiva, che caratterizza il linguaggio di due personalità artististiche veronesi, il “Maestro di San Giorgio ed il drago di san Zeno” ed il “Maestro del Giudizio Universale”, attivi nella chiesa di San Zeno[103]. Tali caratteri si riscontrano, nei modi usati dal frescante di san Francesco nei Santi dipinti nell’aula della chiesa di San Vincenzo a Thiene in una data vicina al 1333, anno di completamento della chiesa da parte di Miglioranza, Uguccione e Marco Thiene[104]. E’ noto peraltro come la presenza qualificante di Guariento a Bassano giustificava l’attribuzione al grande pittore padovano di tutti i dipinti murali della chiesa fino alla più recente revisione critica del Dani[105]. Esistono nella chiesa alcuni brani – di uno staccato si è già accennato - che è possibile, tuttavia ancora, relazionare al linguaggio guarientesco, a quella fusione tra la visione tridimensionale moderna di Giotto e i preziosismi della luce di matrice veneziana: il grande San Michele Arcangelo (fig.31)

SanMichele

31. San Michele Arcangelo, affresco. Bassano del Grappa, chiesa di San Francesco, cappella presbiteriale sinistra.
Il brano, ai limiti della leggibilità, presenta caratteri stilistici guarienteschi.

della parete di fondo dell’attuale cappella del Sacramento, a sinistra del presbiterio, purtroppo depauperato di colore ai limiti della leggibilità ma memore nei toni rossastri e nel gigantismo dimensionale delle figure della tradizione bizantina e che rimanda ad alcuni brani guarienteschi recentemente emersi nella chiesa di San Nicolò a Piove di Sacco, riferiti all’attività dell’artista[106]. Ancora alle raffinate luminosità guarientesche rimanda il piccolo brano di architettura, la colonnina rosa e l’architettura verde a sinistra della porta della sagrestia (tav.18), soprammesso al trittico post-giottesco già esaminato, purtroppo parte di una scena perduta. Di difficile collocazione cronologica è il piccolo ma prezioso, brano con un Apostolo del pilastro destro del presbiterio (tav.16), ove una raffinata cornice a foglie d’acanto accartocciate rimanda alle soluzioni giottesche all’Arena, anche se il preziosismo coloristico della figura e dell’ornato pare già appartenere alla più tarda stagione della rivisitazione giottesca. La tendenza miniaturistica sia dei particolari fisionomici che della resa pittorica, che ritenevo riferibile alla produzione tarda di Guariento[107], penso si possa accostare, per il raffinato grafismo dei contorni alle Sante, dipinte dall’artista padovano nella seconda cappella destra della chiesa degli Eremitani a Padova, forse relazionate al documento che vuole l’artista presente nella chiesa nel 1338[108]. Il peculiare schiarimento delle creste delle pieghe, che il giovane Guariento coglie dagli esempi veneti dei riminesi, nel terzo decennio del secolo, cui sembra particolarmente affezionato anche nel polittico piovese ora a Los Angeles del 1344, è una caratteristica stilistica particolarmente accentuata in questo brano che per via di ipotesi tenterei di anticipare alla sua attività giovanile bassanese e metterla in relazione con l’esecuzione del Crocifisso ante quem la consacrazione del 1331. Un consistente cambiamento architettonico interveniva negli anni immediatamente successivi, nella struttura della chiesa e nella luminosità dell’interno. Chiuppani, infatti, ricorda che nel 1334 «li predetti R. Padri nella medesima chiesa vi fecero nel mezzo il loro coro, dove officiavano, la manifattura del quale era alla mosaica, e rendeva quella più angusta ed oscura alla forma delli Tempi sacri antichi»[109]. Si tratta del coro, tipico dei tempi francescani – un esempio residuo è nella chiesa francescana di Santa Maria dei Frari a Venezia – probabilmente in legno, decorato in oro “alla mosaica”: la terminologia non consente di capire esattamente le caratteristiche tecniche della costruzione anche se con il termine mosaico Chiuppani, poche righe più sotto aveva inteso esattamente quello che è, cioè una superficie a tessere colorate «che faceva ciello all’altare»[110]. Il coro venne rimosso nel 1714[111] e trasferito dietro l’altare maggiore nel vano absidale. Ad una data non lontana dalla metà del secolo appartiene anche la decorazione interna di un importante edificio della città, collocato a cerniera tra le due piazze maggiori, nell’area tangente al vallo della prima cerchia di mura, lo «zirone» di cui parlano ripetutamente i documenti del Codice Ezzeliniano[112]. La porzione più antica del parato decorativo esterno, tracce di una fascia decorativa con un motivo “a can corrente” di pieno Duecento (fig.32),

MotivoVegetale

32. Motivo vegetale, affresco, inizi del XIV secolo. Bassano del Grappa, piazza Garibaldi 5-7 facciata.
Il motivo vegetale, che sottolineava il coronamento, i solai e le ghiere degli archi,  costituisce il primo strato della decorazione della facciata recuperata dal recente restauro.

doveva estendersi lungo un coronamento e, per assimilazione con edifici consimili a Verona[113], colorare gli intonaci esterni di una casa torre o di un edificio fortificato delle mura. La destinazione civile, e non di rappresentanza, è testimoniata dalla decorazione interna, recentemente scoperta[114], nella quale si distinguono due fasi, corrispondenti a due stanze, la prima, a sud, di primo Trecento, dipinta forse in due fasi, tutta in un ambito di cultura guarientesca, comprendente un parato a finto tessuto che copre l’intera stanza (fig.33)

Decorazione

33.34. Decorazione a finto tessuto con Santa Lucia. Crocifissione (particolare), affresco, secondo quarto del XIV secolo. Bassano del Grappa, piazza Libertà 5-7. Casa Pasqualon, stanza a sud.
Due grandi ambienti al piano nobile dell’edificio sono decorati  a finto tessuto entro il quale sono inserite alcune figurazioni, tutte di ambito guarientesco.

ed, in una nicchia, la Santa Lucia e Santa Caterina e, leggermente posteriore, una Crocifissione, mutila (fig.34). Una seconda stanza a nord, di secondo Trecento, posteriore al 1370, attestato da una data non completa, presenta figure femminili sotto un portico a colonne, identificate dai tituli entro cartigli sopra le teste come le Virtù, tratteggiate con sintetica linearità, esempio provinciale di decorazione profana, così rara tra gli affreschi veneti di secondo Trecento (fig.35).

VirtuAffresco

35. Virtù, affresco, ottavo decennio del XIV secolo. Bassano del Grappa, piazza Garibaldi 5-7. Casa Pasqualon, stanza a Nord.
Una teoria di figure femminili sotto un portico a colonne, identificate ne Le Virtù decora la seconda stanza, attestate da una data mutila, all’ottavo decennio del XIV secolo.

Di epoca carrarese, contemporaneo ai grandi camini realizzati per volontà di Francesco da Carrara il Vecchio nel castello di Monselice alla metà del Trecento da parte di maestranze ancora padovane è il grande camino di casa Sartori-Moritsch[115](tav.19), privo della porzione sommitale resecata nei cambiamenti dei solai dell’edificio che insiste nell’area che da piazzotto Montevecchio portava al Terraglio, area interessata, forse dalle proprietà dei Da Romano, sequestrate ad opera dei da Carrara. Si tratta di una costruzione peculiare della tecnologia carrarese del Trecento, un grande corpo aggettante che prendeva l’intera parete, rastremandosi verso l’alto e chiudendosi in una bocca semiarcata tendente al basso. L’intero corpo è decorato architettonicamente con nicchie dipinte ed archetti con colonne in ceramica invetriata, nei toni consueti della maiolica trecentesca, giallo e verde, nelle modulazioni tipiche di quella tecnologia. Ai lati nicchie arcuate a tutto tondo riprendono la decorazione del camino. Ma un altro episodio pittorico di stretta matrice culturale carrarese interviene nella seconda metà del secolo, la tarda presenza di Guariento a Bassano, che vi torna, dopo il 1360, per il Crocifisso piccolo per l’Arcipretale di Santa Maria in Colle[116](tav.20). Di forma complessa e non simmetricamente impostata, la Croce ospita nel tabellone centrale il Cristo inchiodato alla croce infissa nel Golgota, con i piedi sovrapposti sul suppedaneo. A sua volta, i tabelloni dei bracci presentano un allargamento alla base ed un restringimento sulle estremità con una conseguente elevazione dell’intero manufatto. Rispetto alla giovanile croce del 1331, la forma differente consente a Guariento di modificare lo spazio interno, di collocare le figure di angolo e di avvicinare i busti di Maria e di san Giovanni verso le braccia del Cristo, lasciando un ampio campo libero verso l’esterno, decorato solamente dalla foglia d’oro. Diversamente, nel tabellone in alto, l’ampliamento dello spazio gli permette di allargare la figura di Dio padre, accentuando la volumetria post-giottesca della figura. Pur nella tradizionale iconografia non si può non notare che l’accentuato hanchement del corpo e una certa secchezza esecutiva fanno risaltare l’intenso patetismo del volto. La medesima scelta espressiva caratterizza le diafane figure della Madonna e del san Giovanni, nelle quali il disegno manierato delle pieghe – si notino l’asola del manto accanto alle mani della Madonna e la sprezzatura sulla manica e sullo scollo del san Giovanni – si accompagna ad un forte sbattimento delle luci con la creazione di profondi scuri sui volti e sulle mani. Tale espressività ed il patetismo del Cristo costituiscono la caratteristica stilistica di Guariento nella sua produzione tarda, post 1361, ante 1365, in prossimità della grande decorazione dell’abside della chiesa degli Eremitani a Padova, con la quale sono istituibili riscontri precisi: il san Giovanni, dai grandi occhi sul viso scavato ed illuminato sul naso è fratello dei Santi del Giudizio Universale dell’abside. Le variazioni nei profili della carpenteria, funzionali a scelte compositive, l’impostazione delle figure nello spazio in diagonale, la secchezza disegnativa che diviene raffinata eleganza nelle mani e da ultimo l’uso di colori spenti e pastello segnalano l’apertura dell’ultimo Guariento bassanese ad un linguaggio più moderno. 

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