Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Come si avrà modo di esporre con un minimo di ampiezza nel successivo paragrafo, l’economia bassanese del Trecento è fondamentalmente, e resta, un’economia agraria; lo sviluppo dell’artigianato e della manifattura tessile è per quanto possiamo vedere quasi esclusivamente quattrocentesco, e beneficia in particolar modo della ripresa demografica generalizzata post 1450.[41] Ma le vicende politiche la condizionano pesantemente: Bassano scopre la propria debolezza territoriale e vede restringersi la propria area di influenza, la “campagna”. Il distretto bassanese è ridotto ad un sottile nastro lungo la riva sinistra del Brenta; sproporzionatamente piccolo anche per un centro che non superava probabilmente i 2500-3000 abitanti. A occidente il grande fiume è per molto tempo un confine anche politico, un metro al di là del ponte (Angarano è un borgo separato, che fa capo al potere vicentino-scaligero); anche a oriente i confini trevigiani, peraltro mal definiti, sono vicinissimi al centro abitato. La fortezza di Cittadella chiudeva il suo territorio a sud. Come se non bastasse, anche Solagna, San Nazario e Cartigliano già negli ultimi anni del dominio padovano cominciarono a richiedere maggiore autonomia economica, affermando di essere tenute solo al pagamento di parte del salario del podestà inviato da Padova e non di altri “dazi, telonei e collette” imposte dai Bassanesi.[42] In queste condizioni, il (possibile) inserimento nella “economia di distretto” padovana nel plurisecolare periodo di dipendenza politica dalla città del Santo aveva costituito per Bassano un limite pesante ma anche una chance. Quella posta in atto dalle città venete nel Duecento e nel Trecento è una politica economica abbastanza incisiva, a prescindere dalle caratteristiche dei regimi politici, e quella padovana non fa eccezione.[43] Lo sforzo che nel glorioso cinquantennio del governo popolare (dagli anni Sessanta al 1311) il comune di Padova compie per assimilare Bassano (al pari di Lonigo, l’importante castello del Vicentino al confine con il territorio di Verona) è evidente per esempio in materia di annona: «Leonicenses et Baxanenses et ville eis circunstantes» - dunque, anche le loro podesterie - «subiaceant dictis bannis et ordinamentis dicte angarie masinature»[44], recita un provvedimento del 1306. Segni di un intensificarsi dei traffici in direzione della città del Santo possono cogliersi anche nelle reformationes patavine concernenti l’esenzione dei dazi per i mercanti che transitavano per il ponte sul Brenta e la Via Nova (l’attuale percorso Ponte Vecchio-Via Roma-Via Beata Giovanna), per dirigersi a Cittadella e Padova. In certa misura, può esser letto in questa direzione anche il frequente coinvolgimento di Bassano nelle operazioni di riassetto della viabilità tra Limena e gli argini del fiume a nord di Padova, in quanto appartenente al quartiere di Pontemolino del distretto padovano.[45] La scelta, del resto, era obbligata, e i decenni successivi l’avrebbero confermato. Si è già ricordato che la riva destra del Brenta, compresa Angarano e le sue fortificazioni, continuava ad essere soggetta direttamente a Vicenza (pur essa “custodita” tra 1268 e 1311 dai Padovani). In quanto «cives paduani» (lo statuto del 1295 è promulgato «ad honorem civitatis et populli paduani»), i Bassanesi ambivano a non sottostare più, e anzi a non presentarsi al cospetto delle autorità civili ed ecclesiastiche vicentine (neppure al vescovo, per l’infeudazione delle decime).[46] Anche durante il ventennio scaligero, dal Vicentino non si chiede che l’esenzione dal dazio su vino, uve e cereali transitanti per il ponte sul Brenta, ed era una delle concessioni a cui tenevano di più; Cangrande I la concede nel 1328.[47] Quanto a Treviso, la traumatica fine del dominio albericiano[48] aveva spezzato il nesso tra il pedemonte e Bassano, creando a Romano d’Ezzelino un confine che in precedenza non esisteva. Naturalmente, fu inevitabile scendere a patti, per assicurarsi il transito delle merci: è importante in questa prospettiva la concessione del comune di Treviso ai Bassanesi del transito di biade e vino per la chiusa di Quero (sul Piave, in direzione di Belluno), previo pagamento della muda (1307).[49] E simili provvedimenti si ripeterono negli anni successivi, incentivati forse dalle necessità di guerra: nel marzo del 1314, poi, due ambasciatori bassanesi, il medico Domenico e Perenzano Blasi, si recarono nella città del Sile per richiedere il permesso di transito per biade e vettovaglie, nonchè la cattura di banditi rifugiatisi nel territorio di Romano.[50] Ma le relazioni restarono molto precarie, come mostrano i numerosi esempi di rappresaglie (il diritto per una comunità danneggiata di rivalersi in modo indiscriminato sui concittadini del danneggiante) attuati dal comune di Treviso contro cittadini bassanesi.[51] Il moltiplicarsi di simili provvedimenti nei confronti di Feltre e Bassano, cittadine da poco sottomesse a Cangrande, nonchè il loro diffondersi per tutta la Marca,[52] dimostra inoltre quanto la guerra influenzasse negativamente l’attività commerciale. Nella seconda metà del secolo, Francesco il Vecchio compie alcune scelte significative, anche se non del tutto coerenti. Per un verso, infatti, riguardo ai rapporti tra Padova e Bassano si orienta in una direzione diversa rispetto a quella linea della “assimilazione” che aveva seguito, fra Due e Trecento e nei primi anni del Trecento, il comune padovano. Infatti la politica daziaria carrarese, così come emerge dal codice degli statuti daziari redatto attorno al 1360, riconosce realisticamente l’irriducibilità di Bassano e del suo territorio (per definire il quale si usano i termini potestaria e districtus) al distretto padovano, rispetto al quale il governo signorile compiva in quegli anni uno sforzo notevole di organizzazione e di disciplinamento. Nella normativa daziaria, in effetti il governo carrarese eccettua costantemente «Baxianum cum villis subieptis <così> potestarie ipsius terre» dagli obblighi verso gli appaltatori dei dazi padovani, ai quali sono soggetti tutti gli altri distrettuali padovani. Si tratti della tessitura del lino, del dazio relativo ai legumi o alla paglia o alla carne, o del dazio della macina, il discorso non cambia; la sola eccezione riguarda l’imposizione del sale. Non meno significativo è il fatto che alcune operazioni di controllo anagrafico concernenti il dazio della macina avvengano parallelamente, ma con procedure distinte, nella podesteria di Bassano, e nel distretto padovano; ciò che presuppone un riconoscimento esplicito della separatezza giurisdizionale della cittadina.[53] Più ambiguo e di non facile interpretazione sembra invece un altro noto provvedimento preso dal signore padovano, che negli anni Sessanta (l’anno preciso non è noto) promuove la costruzione di quel canale, poi detto aqua Rosate, che doveva irrigare le campagne tra Bassano e Cittadella con acque prelevate dal Brenta.[54] C’è un’ottica padovana in questa iniziativa, perché a beneficiare dell’iniziativa furono anche e soprattutto le campagne poste a valle (inferior stabat lupus); e non sembra dalle fonti a disposizione che l’operazione possa testimoniare una nuova concezione del territorio e dello stato. L’iniziativa ovviamente non piacque a tutti i Bassanesi, decisamente legati ad una concezione municipale dei diritti sulle acque del Brenta e ad una loro gelosa conservazione. Fortemente legato al potere politico, e dunque sostanzialmente al di fuori del controllo degli operatori locali, è anche un altro aspetto significativo dell’economia bassanese, sul quale si desidererebbe sapere di più – ma la congiunta già lamentata debolezza delle fonti notarili e dell’archivio comunale lo impedisce –: quello del commercio del legname, che si lega evidentemente al Brenta e al controllo delle chiuse. È significativa l’espressione usata nel trattato di pace tra Venezia e Padova del 1312: «Item comune Padue provideat et ordinet quod lignamen possit conduci de partibus Bassani et ab inde supra per Brentam versus Clugiam et mare cum solito datio comunis Padue, videlicet XII denarios parvorum pro libra ipsius lignaminis».[55] Il riferimento alle «partes Bassani» (e non solo al legname fluitato da «supra») potrebbe forse suggerire che anche i boschi delle scoscese pendici della bassa Valsugana erano sfruttati. Nello stesso senso va interpretata un’indicazione tariffaria contenuta nello Zibaldone da Canal, un importante testo mercantile veneziano: nell’elenco delle «merchadantie… como elle se de’ metere in nave… che se nolliçasse a millier» cita anche le «asse de Bassan XX per millier». Bassano “battezza” dunque una tipologia di legname riconoscibile per qualità e quantità, che almeno parzialmente viene ri-esportata, ed è notevole che in questo testo soltanto di un’altra zona di provenienza del legname (l’Istria) si faccia menzione esplicita.[56] Il legname proveniente da Bassano è trasportato persino ad Asolo per lavori al castello.[57]

Questo sito usa cookies per il proprio funzionamento (leggi qui...)