Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

Giambattista Verci fu insieme storico ed erudito, ma con risultati diversi. Se infatti nella storiografia il suo contributo risulta piuttosto limitato, ben lontano dalla lezione del Muratori a cui pur si ispirava, nel campo dell’erudizione i suoi meriti non sono mai stati messi in discussione e la sua opera, ampia e rilevante, mantiene tuttora una sua validità. Travagliata fu la sua vita, posta «sotto la costellazione di un perverso destino», come ebbe a dire egli stesso, evidentemente esagerando, nelle sue Memorie, tanto propense ai lamenti di chi si sente vittima quanto imbevute di umori rancorosi soprattutto nei confronti dello zio arciprete[20]. Nato nel 1739 a Bassano da una famiglia di rango, ebbe un’infanzia infelice e un’adolescenza ancor più turbolenta (fig.6).

6FrancescoRobertidis

6. Francesco Roberti dis.- Domenico Conte inc., Giambattista Verci,  acquaforte e bulino. Bassano del Grappa, Museo Biblioteca Archivio, Inc. Bass. 4519.

Dedito al gioco e a cattive compagnie, giunse a rubare cento zecchini all’odiato zio arciprete, che per riportarlo sulla retta via lo spinse ad abbracciare la carriera ecclesiastica, da lui però abbandonata dopo pochi anni di studio al Seminario di Vicenza e di Padova. Contrastato dalla famiglia e poco sereno fu anche il suo matrimonio e povera di soddisfazioni la sua vita lavorativa di correttore di bozze presso i Remondini o di impiegato comunale in varie mansioni. Anzi proprio da quest’ultimo ruolo gli derivò la disgrazia più clamorosa della sua vita. Quando infatti era massaro del Monte di pietà, fra il 1780 e il 1782, fu accusato di peculato e incarcerato per alcuni mesi, anche se poi poté dimostrare la propria innocenza. Amareggiato e deluso, nutrì così astio nei confronti dei suoi concittadini e della sua città, e morì nel 1795 a Rovigo, dove fu sepolto. Il fulcro della sua ricerca, costituita da una ventina di opere, che nonostante le traversie della vita riuscì a comporre, è la storia bassanese, anche se agli inizi aveva tentato con scarso successo la via del romanzo galante con la Istoria di Delj, o sia avventure curiose di un Turco (1771). Con una scrittura piatta e noiosa e con un intreccio ingenuo e complicato sono narrate in prima persona le peripezie di un giovane turco, figlio però di madre francese da cui è vissuto lontano, il quale si innamora di una fanciulla destinata a infoltire l’harem di un vecchio facoltoso. Modesto fu anche l’esordio in campo storico nel 1770 con il Compendio istorico della Città di Bassano. Ben più rilevante dal punto di vista metodologico fu, a distanza di qualche anno, nel 1776 la Lettera di un anonimo sulla origine di Bassano. In essa il Verci, che sceglieva l’anonimato perché era consapevole delle critiche che le sue tesi avrebbero suscitato, smontava senza pietà la consolidata leggenda della mitica fondazione di Bassano, facendola risalire soltanto al secolo X, come risulta dalla documentazione storica. La stessa tesi è ribadita con maggior vigore nel saggio Dello stato di Bassano intorno al mille (1777), dove il Verci tenta, seppure in modo disorganico, di delineare il quadro istituzionale della città medievale. Nel frattempo lo studioso s’era reso benemerito delle tradizioni patrie ripubblicando opere di autori bassanesi corredate di note biografiche: Rime scelte d’alcuni poeti bassanesi che fiorirono nel secolo XVI nuovamente raccolte, e delle loro vite arricchite (1769) e LAZARI BONAMICI BASSANENSIS Carmina et epistolae una cum eius vita (1770). Aveva composto anche due opere esemplari per la storia della cultura attenta alle articolazioni locali, anche se frammentarie e aneddotiche, nonostante l’impegno della ricerca documentaria: Notizie intorno alla vita e alle opere de’ pittori scultori e intagliatori della città di Bassano (1775), in cui più di un terzo delle 328 pagine complessive è dedicato a Jacopo Bassano e Degli scrittori bassanesi. Notizie storico-critiche (uscite a più riprese a Venezia fra il 1772 e il 1776 in «Nuova raccolta di opuscoli scientifici e filologici»), in cui gli autori sono ordinati seguendo l’ordine alfabetico dei loro nomi di battesimo. Sotto forma di lettera in latino e di dissertazione uscirono nel 1779 e nel 1783 due studi di numismatica: De monetis Veronensibus praesertim sub Ezelino conflatis Epistolae e Delle monete di Padova. Dissertazione di G. Verci. Ma è soprattutto nelle sue opere maggiori, la Storia degli Ecelini e la Storia della Marca Trivigiana e Veronese, che l’influenza dell’attenta lettura del Muratori si fa sentire con risultati evidenti. Nella Storia degli Ecelini, attraverso una ricerca documentaria sistematica, sostenuta anche dal carteggio con molti studiosi di vaglio, il Verci perviene ad un preciso obiettivo di revisione storiografica: la figura di Ezzelino è finalmente liberata dalle incrostazioni leggendarie e dall’alone di crudeltà che la storiografia guelfa aveva tramandato, e si prospetta come quella di un uomo politico abilmente inserito nelle lotte del suo tempo per perseguire un piano di espansione e di dominio. L’opera, pubblicata a Bassano nella stamperia Remondini nel 1779, è articolata in tre volumi: nei primi due è narrata la vicenda della famiglia da Romano, dalla sua apparizione in Italia al barbaro massacro degli ultimi esponenti, Alberico e i suoi figli, entro il panorama della storia italiana del secolo XIII; nel terzo volume, intitolato Codice diplomatico eceliniano, un vero gioiello storiografico, tuttora indispensabile per gli studiosi, vengono presentati ben 307 documenti disposti in ordine cronologico, la cui consultazione è resa più agevole da un valido indice. La Storia della Marca Trivigiana e Veronese, pubblicata a Venezia, presso Giacomo Storti, in 20 volumi dal 1786 al 1791, fu concepita come continuazione della Storia degli Ecelini. In realtà il lavoro, assai frammentario e dispersivo, senza un’idea unificatrice, quale era stata nell’opera precedente la volontà di cancellare la leggenda del tiranno Ezzelino, non riscosse fra gli studiosi il successo sperato. Gli viene concordemente rimproverata tanto la modestia della forma quanto la limitatezza delle ipotesi interpretative di fondo; ma gli si riconosce lo straordinario impegno nella ricerca delle fonti, i cui dati in qualche caso sono materialmente conservati solo grazie a lui (sono infatti riportati ben 2183 documenti compresi tra il 793 e il 1464). L’opera d’altra parte fu scritta quando le circostanze dolorose della sua esistenza lo portavano a una visione ancor più pessimistica e risentita anche nei confronti di quella Bassano a cui aveva dedicato tutte le sue migliori energie intellettuali. Così si esprimeva infatti nella Prefazione del primo volume (p. XXI): «Io certamente vivo in un paese, che più per la mercatura e pel commercio par fatto che per le lettere, e la mancanza di una publica biblioteca, e la carestia di ogni libro necessario e occorrente a’ miei studi, mi dovettero rendere il lavoro tanto difficile e malagevole, quanto nol può credere, se non chi per prova ne fa l’esperienza».   

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