Gian Maria Varanini

Maria Albina Federico

Giampietro Berti

Giuliana Ericani

Renata Del Sal

Donata M. Grandesso

Maria Luigia De Gregorio Giovanni Marcadella

Giambattista Vinco da Sesso

Giambattista Vinco da Sesso

Alessandra Magro

Carlo Presotto

Franco Scarmoncin e Lucia Verenini

Renzo Stevan e Eugenio Rigoni

La ricostruzione decisa nel 1441 è fondamentale per la storia dell'edificio. Si trattò di una radicale ristrutturazione e non di una rifondazione. Almeno un dipinto in affresco, preesistente, fu rispettato e si può credere che ciò avvenisse anche per qualche tratto della muratura. Fra le disposizione di esecuzione, inoltre, non compaiono quelle per l'abbattimento dell'immobile e per il trasporto delle macerie. Voci di spesa così importanti non sarebbero mancate nel contratto, se ci fossero state.
Il consiglio cittadino, prendendo atto dello stato rovinoso della loggia e dell'intimazione a provvedere fatta dal podestà Giacomo Badoer, ne decise la rifabbrica. L'ordine podestarile, del 22 luglio 1441, è accompagnato da una serie di prescrizioni di massima, riprese e ampliate nella delibera di approvazione del capitolato d'opera, del 20 agosto 1441.
Nel loro insieme forniscono una relazione sufficientemente organica e mirata – l'unica di cui disponiamo per il XV secolo – sullo stato della loggia immediatamente prima del luglio 1441 e sui criteri della sua trasformazione. Questi, verosimilmente, furono gli stessi che vennero seguiti, più o meno, dopo l'abbandono del lavoro nel 1443 da parte del privato che ne aveva avuto l'incarico e la sua ripresa fino al compimento, a cura del comune.
Condensando le disposizioni (non tutte perfettamente interpretabili, a distanza di secoli) l'operazione si può così globalmente riassumere.
La struttura da rifabbricare era a due piani ovvero a due solai, come si diceva.
Per non pesare sulla precaria finanza comunale, l'onere di edificazione era a tutto carico di un concessionario. In cambio avrebbe ottenuto a titolo di dono o di quasi assoluta proprietà, per sé e per i suoi eredi, due botteghe ricavate nel costruendo vano del pianterreno, sotto il solaio inferiore : all'incirca dove ora stanno i negozi. Si potevano qui vendere solo merci di buon odore, come articoli di drogheria e tessuti, con l'esclusione dichiarata delle nauseabonde attività di concia delle pelli e del cuoio. Una clausola del capitolato estendeva i diritti del concessionario ad un non meglio ubicato “luogo di sopra” che non poteva però servire di abitazione ne' ospitare laboratori rumorosi come quelli di vasaio, fabbro e battilana.
La collocazione è ambigua perché, escludendo l'aula ufficialmente riservata alle pubbliche funzioni, come “luogo di sopra” non resterebbe che la soffitta, non sai da dove e come raggiungibile per gli artigiani e lavoranti e per il traffico delle merci : eventualmente dall'esterno, con un accesso di servizio di cui però nulla si dice.
L'edificio “tutto all'intorno” andava chiuso con muri dei quali alcuni erano sicuramente in opera, come si è visto, e non sappiamo se e come furono accomodati o rinforzati o parzialmente rifatti.
Per “montare sulla loggia”, sopraelevata di un piano rispetto alla strada e alla piazza, si dovevano fare “una o due scalette di pietra”.
“Una scala e un passaggio per andare all'orologio e alla restante parte del solaio” (superiore) erano da sistemare nel settore in alto della loggia, dentro la sala, come ritengo. L'orologio, forse provvisto di una protezione e da controllare con ogni attenzione “per poterlo adoperare come si fa adesso”, stava dunque nella soffitta o in una sua pertinenza, sotto il coperto dello stabile, mantenuto con cura per evitare le infiltrazioni di pioggia, dichiaratamente temute.
Sopratutto rilevanti, sotto il profilo architettonico, sono le previsioni per l'aula (la nostra) destinata alle pubbliche incombenze.
Il solaio inferiore, il primo dal basso, si applicava a una risega di muro “dove adesso ci si siede” (dove al presente se senta, in veneto), con chiaro riferimento a una rientranza nel muro d'ambito che, di conseguenza, preesisteva sulla via Matteotti, dove sedevano gli operatori di ogni genere che frequentavano la loggia. Nel progetto originario, prima di una modifica del 1442, si trovava plausibilmente poco sotto l'attuale piano di calpestio.
In parziale contrasto con altre, sopra riportate, questa indicazione sulla quota della risega e quindi del solaio potrebbe segnalare che non ogni settore d'uso della loggia insisteva sullo stesso livello, prima del 1441. Se la lettura è corretta, un piano di appoggio dei sedili nell'aula risultava rialzato rispetto alla base del locale. La coerenza fra tutte le notizie di cui disponiamo è un obiettivo ancora da raggiungere, come in questo caso.
Su tre o quattro colonne di pietra (sono adesso tre), indubbiamente piazzate sul nuovo solaio, andavano posti (sopra il capitello o più in su ?) due bordonali di larice, di sostegno a un impalcato a doppia orditura, concluso a tavole e cantinelle, dipinte a riquadri.
Le aperture sulla piazza e sulla strada, intelaiate anche dalle colonne, furono definite con l'intervento del 1441. Non si precisa mai se queste finestrate fossero concluse ad arco. Per chi procedeva all'operazione non c'era bisogno di specificare : doveva trattarsi di una cosa ovvia.
Il concessionario era tenuto ad arredare l'interno con banchi di contorno, di buona qualità. Avrebbe inoltre ricavato nell'ambiente, non si dice dove, una comoda cancelleria comunale che, si è visto, funzionava qui anche prima.
La conclusione dei lavori era fissata nell'agosto del 1442 oppure, seguendo un'altra designazione, al maggio dello stesso anno, in anticipo. La penalità per inadempienza, non trascurabile, era di 500 lire di denari piccoli, ripartibili fra il comune, il podestà e lo stato veneziano (la cosiddetta Signoria). E' questo un caso fra i pochi o forse l'unico in cui l'autorità centrale interviene, se pure in maniera indiretta, nella gestione della loggia, condividendo la penalità per mancato rispetto del contratto.
Non risulta che Venezia abbia imposto un modello per la costruzione o adattamento delle logge pubbliche di terraferma. Esse, di fatto, avevano in comune alcuni caratteri edilizi che rispondevano ad analoghe richieste d'uso. Le condizioni spaziali della loro costituzione, tuttavia, non erano state le stesse dappertutto. Le logge dei centri minori paragonabili a Bassano, come Marostica e Asolo, facevano corpo con la sede del comune. Questa di Bassano, invece, è nata isolatamente, per circostanze urbanistiche particolari, e solo dopo secoli, all'inizio del Settecento, è stata immedesimata nel nuovo Palazzo Municipale.
Andrea Dossi del fu Emanuele da Parma si aggiudicò l'appalto per la fabbricazione della loggia, il 20 agosto 1441. Il comune conservava un diritto eminente sull'immobile riconosciuto dall'appaltatore col versamento annuale di un canone, simbolico ma perenne, di 10 soldi, cioè di mezza lira.
Notabile, notaio, talvolta registrato come cancelliere del comune, Andrea Dossi apparteneva a una famiglia di buona condizione immigrata da Parma al tempo della dominazione viscontea, nell'ultimo decennio del Trecento, e suo padre era stato anche un prestatore di denaro, censurato dalla Chiesa.
Il 17 marzo 1442, a lavoro avviato, gli fu concesso di elevare la loggia (il solaio inferiore) di poco più di 17 cm. (mezzo piede) per aumentare la capienza, si capisce, delle (sue) sottostanti botteghe. Il rialzo, si ripete, non doveva superare un segno rosso sotto il piede di S. Marco, lì dipinto. Il 23 settembre, suo malgrado ma ottenendo una proroga della scadenza, si impegnò a chiudere con un bordo alto mezzo mattone il ciglio dell'aula verso la via Matteotti, per quanto interpreto, dove andavano gli scanni per sedere.
Da questa data fino al giugno dell'anno dopo, ormai largamente oltrepassati i termini contrattuali di realizzazione, è tutto un rincorrersi di proposte del Dossi, di cui si risparmia il puntuale commento, per cedere alla città l'immobile non ancora finito, in tutto o in parte e configurando diverse ipotesi.
Il concessionario era gravato da debiti verso Venezia per aver assunto l'appalto di un dazio statale non andato a buon fine e non poteva ultimare l'opera.
Finalmente, il 13 giugno del 1443 il consiglio comunale, a maggioranza di 14 contro 9, deliberò l'acquisto della struttura incompiuta al prezzo di 800 lire di denari piccoli da misurare, per confronto, sul valore della moneta all'epoca e sul correlato potere di acquisto. In quella seduta Andrea era cancelliere comunale e poteva contare su amicali consensi e sulla preoccupazione, espressamente richiamata, che l'orologio subisse danni nel prolungarsi della sospensione dei lavori. Nello stesso giorno, fu istituita una commissione di tre consiglieri comunali che avrebbe provveduto al compimento della loggia. Aveva facoltà di abbassarla, quando lo giudicasse opportuno, all'evidente scopo di contenere i costi.
Non conosciamo quanta parte dell'impianto fosse stata realizzata, alla data del 13 giugno 1443. Certamente in opera era la zona delle botteghe. Nel corso delle trattative, il 3 maggio 1443 Andrea prospettava al comune la cessione dell'edificio dal primo solaio in su, a segno che gli ambienti superiori non erano ancora stati sistemati o adeguatamente terminati.
Il credito del già appaltatore, salito a 900 lire, era ancora da saldare tra marzo e maggio del 1444. Gravata dall'annuale tributo a Venezia, istituito nel 1434, non volendo imporre altre imposte ma temendo le rivalse giudiziarie del richiedente, l'amministrazione pensava di farvi fronte con gli introiti della vendita a privati delle 3 botteghe (non più 2, come nell'accordo iniziale) di cui era diventata proprietaria con la compra dal Dossi. In alternativa, paradossalmente, avrebbe assolto l'impegno attribuendo proprio ad Andrea Dossi la disponibilità delle botteghe (i loro diritti livellari, equiparabili a una proprietà o quasi) con gli annessi cespiti d'affitto. Queste due ipotesi furono entrambe approvate dal consiglio, il 3 maggio 1444, a maggioranza di 24 contro 2 ma non si sa quale delle due fu poi scelta, in maniera non irrilevante per il completamento e la gestione dell'intero stabile.
Non sappiamo quando e come il lavoro fu terminato, presumibilmente entro due anni, in una situazione di penuria di cassa. E' ragionevole supporre che, nonostante le incertezze, il comune seguisse più o meno la traccia del progetto iniziale che abbiamo analizzato, definito tra luglio e agosto del 1441. Le colonne di pietra e la loro collocazione sopra il primo solaio, dove ancora si ritrovano – le stesse o altre in sostituzione o su punti diversi, poco importa - sono per esempio chiaramente previste nel capitolato allora convenuto a cui si attenne chi eseguì la parte dell'opera che restava da fare.
In conclusione, non si dovrebbe sbagliare di molto ammettendo che la loggia, al suo compimento, si allineasse in altezza col soffitto attuale dell'aula, escludendo dal calcolo la copertura del tetto e perciò la soffitta con l'orologio. Non ho finora trovato notizia di una sua sopraelevazione, fra il 1443 e il 1512.

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